Beni storici e artistici
Fossombrone: i mulini urbani
L'edificazione di un mulino rappresentava un'ingente spesa, non tanto per l'edificio in sé,
quanto per tutti i lavori ad esso collegati.
Era infatti necessario costruire sul fiume o sul torrente una briglia abbastanza solida da resistere alle piene, scavare un canale adduttore di dimensioni variabili (lunghezza, larghezza, profondità) in rapporto alla portata dell'acqua e dotato di paratoie per il troppo pieno con i relativi canali di rientro nell'alveo fluviale, provvedere alla installazione dei macchinari necessari alla molitura, comprese le costosissime macine di granito, che spesso venivano importate da fuori regione.
Alcuni comuni marchigiani avevano provveduto fin dai primi secoli dopo il Mille a realizzare propri mulini, dove erano obbligati ad andare a macinare sia i cittadini, sia i contadini del distretto, cioè del territorio sottoposto al diretto dominio della città.
In questo caso il Comune esercitava a proprio vantaggio il "diritto di banno", che era uno strumento tipico del potere feudale.
Nel contado, in quella parte cioè del territorio comunale che si era via via aggiunto con la conquista, la dedizione o la transazione dei vari castelli passati così alla città, spesso erano già in funzione altri mulini, di solito di origine religiosa (abbati, vescovi, canonici) o signorile.
Naturalmente in essi continuò l'attività molitoria di grano e biadami secondo le norme stabilite per tutti dagli Statuti Cittadini, che rappresentavano ad un tempo la garanzia per il cittadino-consumatore e dall'altro per i proprietari e per gli affittuari o cottimari dei singoli molini. Anche gli Statuti di Fossombrone regolano e disciplinano tutta la materia, prevedendo anche una serie di punizioni severe per coloro che danneggiano i mulini, i vallati ecc..., data l'importanza eccezionale che dette strutture rappresentavano per l'intera comunità.
Nel territorio forsempronese alcuni mulini furono edificati dalle abbazie benedettine di S.Cristoforo del Castellare (quello della Ghiera a Piandirose di S.Ippolito), di S.Maria in Lastreto (a Torricella) e di S.Maurenzo (a S.Lazzaro), mentre altri vennero costruiti per iniziativa pubblica, ma anche su base multiproprietaria indivisa.
Non siamo in grado di definire la data di costruzione dei mulini urbani di Fossombrone, ma essi dovrebbero risalire all'XI o al XII secolo, allorché la forte pressione demografica obbligò certamente ad aumentare il numero dei mulini ovvero a rafforzare e potenziare quelli esistenti.
Sappiamo che i Malatesti, fattisi signori a partire dal 1336 in modo stabile della città di Fossombrone e del suo contado, cercarono ripetutamente attraverso i loro procuratori di acquisire a vario titolo i mulini del Metauro e dei suoi affluenti (1).
Nei patti di compra-vendita delle città di Pesaro e Fossombrone, siglati il 15 gennaio 1445 fra Galeazzo Malatesti da una parte, Alessandro Sforza e Federico da Montefeltro dall'altra, al capitolo 7 si legge testualmente:
"Che la Magnifica et eximia Madonna Isabetta da Varano, et el Mag.co et Eximio m.re Gedolo Suo figliolo debbano possedere e liberamente avere tutti li Mulini, et altri edifitii, possessioni, e Case che el prefato S.re Galeazzo ha in Fossombrone, et in lo terreno di Fossombrone"(2). Alcuni dei mulini posti nelle vicinanze di Fossombrone, specialmente quelli di San Lazzaro e Piancerreto, subirono una precoce decadenza, forse perché collocati troppo vicini all'alveo del Metauro, e vennero abbandonati, mentre quelli cittadini furono potenziati.
Ecco la descrizione che ne fa lo studioso forsempronese Tommaso Azzi (1561-1611) nel 1592.
"Sotto i magazzini della nostra Comunità ci stà la pesa del grano, che reca molta utilità a tutti, che conducano i lor grani a macinare ne molini, a noi comodissimi, del nostro Metauro l'acqua del quale serve etiandio per far oglio, voltar ruote per assottigliar ferri, seghe per segar legnami, et per muover tutti quegli ordegni, che sono necessarij per far carta, che si fà in due cartare poco lontane dalla città. Serve anco con più utile ad ogni bisogno de nostri mercanti di lana, come de corami, che per ciò ne habbiamo assai" (3). Anche successive descrizioni di Fossombrone riportano l'importanza delle acque del Metauro, "che macinano d'ogni tempo" grazie alla loro portata costante anche in estate, mentre i ruscelli entravano in crisi idrica cosicchè le "macinate" si riducevano di numero.
Una delle sei porte della città medievale era chiamata "Porta Molendinorum" ed era presidiata da due "custodes", assunti con incarico annuale, mentre una delle quattro pianure adiacenti a Fossombrone, e più precisamente quella posta a sud-est, era chiamata durante il periodo malatesiano "Planus Molendinorum" ad ulteriore dimostrazione dell'importanza che il complesso dei mulini urbani aveva raggiunto sia sotto l'aspetto economico, sia sotto il profilo dell'immaginario collettivo.
Era infatti necessario costruire sul fiume o sul torrente una briglia abbastanza solida da resistere alle piene, scavare un canale adduttore di dimensioni variabili (lunghezza, larghezza, profondità) in rapporto alla portata dell'acqua e dotato di paratoie per il troppo pieno con i relativi canali di rientro nell'alveo fluviale, provvedere alla installazione dei macchinari necessari alla molitura, comprese le costosissime macine di granito, che spesso venivano importate da fuori regione.
Alcuni comuni marchigiani avevano provveduto fin dai primi secoli dopo il Mille a realizzare propri mulini, dove erano obbligati ad andare a macinare sia i cittadini, sia i contadini del distretto, cioè del territorio sottoposto al diretto dominio della città.
In questo caso il Comune esercitava a proprio vantaggio il "diritto di banno", che era uno strumento tipico del potere feudale.
Nel contado, in quella parte cioè del territorio comunale che si era via via aggiunto con la conquista, la dedizione o la transazione dei vari castelli passati così alla città, spesso erano già in funzione altri mulini, di solito di origine religiosa (abbati, vescovi, canonici) o signorile.
Naturalmente in essi continuò l'attività molitoria di grano e biadami secondo le norme stabilite per tutti dagli Statuti Cittadini, che rappresentavano ad un tempo la garanzia per il cittadino-consumatore e dall'altro per i proprietari e per gli affittuari o cottimari dei singoli molini. Anche gli Statuti di Fossombrone regolano e disciplinano tutta la materia, prevedendo anche una serie di punizioni severe per coloro che danneggiano i mulini, i vallati ecc..., data l'importanza eccezionale che dette strutture rappresentavano per l'intera comunità.
Nel territorio forsempronese alcuni mulini furono edificati dalle abbazie benedettine di S.Cristoforo del Castellare (quello della Ghiera a Piandirose di S.Ippolito), di S.Maria in Lastreto (a Torricella) e di S.Maurenzo (a S.Lazzaro), mentre altri vennero costruiti per iniziativa pubblica, ma anche su base multiproprietaria indivisa.
Non siamo in grado di definire la data di costruzione dei mulini urbani di Fossombrone, ma essi dovrebbero risalire all'XI o al XII secolo, allorché la forte pressione demografica obbligò certamente ad aumentare il numero dei mulini ovvero a rafforzare e potenziare quelli esistenti.
Sappiamo che i Malatesti, fattisi signori a partire dal 1336 in modo stabile della città di Fossombrone e del suo contado, cercarono ripetutamente attraverso i loro procuratori di acquisire a vario titolo i mulini del Metauro e dei suoi affluenti (1).
Nei patti di compra-vendita delle città di Pesaro e Fossombrone, siglati il 15 gennaio 1445 fra Galeazzo Malatesti da una parte, Alessandro Sforza e Federico da Montefeltro dall'altra, al capitolo 7 si legge testualmente:
"Che la Magnifica et eximia Madonna Isabetta da Varano, et el Mag.co et Eximio m.re Gedolo Suo figliolo debbano possedere e liberamente avere tutti li Mulini, et altri edifitii, possessioni, e Case che el prefato S.re Galeazzo ha in Fossombrone, et in lo terreno di Fossombrone"(2). Alcuni dei mulini posti nelle vicinanze di Fossombrone, specialmente quelli di San Lazzaro e Piancerreto, subirono una precoce decadenza, forse perché collocati troppo vicini all'alveo del Metauro, e vennero abbandonati, mentre quelli cittadini furono potenziati.
Ecco la descrizione che ne fa lo studioso forsempronese Tommaso Azzi (1561-1611) nel 1592.
"Sotto i magazzini della nostra Comunità ci stà la pesa del grano, che reca molta utilità a tutti, che conducano i lor grani a macinare ne molini, a noi comodissimi, del nostro Metauro l'acqua del quale serve etiandio per far oglio, voltar ruote per assottigliar ferri, seghe per segar legnami, et per muover tutti quegli ordegni, che sono necessarij per far carta, che si fà in due cartare poco lontane dalla città. Serve anco con più utile ad ogni bisogno de nostri mercanti di lana, come de corami, che per ciò ne habbiamo assai" (3). Anche successive descrizioni di Fossombrone riportano l'importanza delle acque del Metauro, "che macinano d'ogni tempo" grazie alla loro portata costante anche in estate, mentre i ruscelli entravano in crisi idrica cosicchè le "macinate" si riducevano di numero.
Una delle sei porte della città medievale era chiamata "Porta Molendinorum" ed era presidiata da due "custodes", assunti con incarico annuale, mentre una delle quattro pianure adiacenti a Fossombrone, e più precisamente quella posta a sud-est, era chiamata durante il periodo malatesiano "Planus Molendinorum" ad ulteriore dimostrazione dell'importanza che il complesso dei mulini urbani aveva raggiunto sia sotto l'aspetto economico, sia sotto il profilo dell'immaginario collettivo.
NOTE
(1) A. Vernarecci, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, Fossombrone 1969, vol.I, pp. 316-18, note.
(2) R. Savelli, Notizie storiche, in AA.VV., Fossombrone nel Ducato di Federico, Urbino 1982, p.16.
(3) T. Azzi, Discorso della città di Fossombrone, Biblioteca Passionei di Fossombrone, Fo.Bi., vol.30, cc.63 e 63v.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.1999
Ultima modifica: 11.11.2004




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