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Premessa all’indagine sugli alberi monumentali del baci...

Alberi monumentali del bacino del Metauro - generalità


Fin dai tempi antichi gli uomini attribuirono agli alberi un preciso significato allegorico, identificandoli come l'essenza stessa della vita. A maggior ragione esemplari arborei di notevoli dimensioni destarono interesse, considerazione e addirittura venerazione presso tutti i popoli ed in tutte le epoche. Eventi climatici e meteorologici negativi, incendi, processi erosivi e fattori biotici naturali avversi (in particolare attacchi parassitari) condizionano la sopravvivenza degli alberi; lo stesso aumento della chioma pone, col tempo, problemi, dato che risulta sempre più difficile riuscire a spingere ad altezze maggiori la linfa grezza prelevata dal terreno con le radici, in opposizione alla forza di gravità.

E' fuor di dubbio, comunque, che il principale fattore limitante è rappresentato, nell'ultimo millennio, dall'uomo: le esigenze economiche (valore del legno, necessità di combustibile ecc.) hanno portato, nella maggior parte dei casi, nei secoli scorsi, alla soppressione di esemplari colossali, visti come cospicua fonte di guadagno; la logica economico-forestale, al contrario di quella naturalistica, non ammette che in un bosco si conservino alberi in piena maturità: occorre tagliare, guadagnare, fare spazio per le generazioni successive all'interno del bosco. Qualche esemplare arboreo grande ed annoso, tuttavia, si è salvato, spesso proprio grazie alla considerazione di cui godeva presso le comunità locali: sovente era luogo d'incontro, a volte sotto le sue fronde si svolgevano feste religiose o civili, mercati, vi veniva amministrata la giustizia, e così via.

In Italia buona parte degli alberi monumentali è situata all'interno di parchi e giardini, sia pubblici sia privati, in situazioni in cui i motivi d'interesse estetico-affettivi hanno prevalso su quelli di natura economica. Nei boschi, e in generale negli ambiti naturali, tali presenze compaiono sporadicamente. Solo negli ultimi decenni si sono accentuate la concentrazione massiccia delle attività industriali nelle città o nelle loro prossime adiacenze, e la sostituzione del legno, come combustibile, con il metano e i derivati del petrolio. Nei periodi precedenti, invece, interi boschi vennero periodicamente saccheggiati, in particolare per alimentare i forni degli opifici, si trattasse di attività connesse con l'estrazione dei minerali, la metallurgia o l'industria del vetro. Anche eventi bellici portarono allo sfruttamento intensivo dei boschi o addirittura all'eliminazione di grandi alberi visti come ostacoli all'attività di sorveglianza e controllo del territorio: in questo caso ogni esigenza culturale od affettiva venne bellamente calpestata. Si comprende, quindi, come alberi grandi ed annosi costituiscano oggi un'eccezione, non certo la regola, nei boschi italiani.

Non si deve pensare che la sopravvivenza di esemplari arborei vetusti sia frutto solo del caso o di un'attenzione particolare da parte della comunità locale: essi sopravvivono per secoli alle avversità naturali in quanto risultano provvisti di particolari doti di vitalità e longevità codificate a livello genetico (alla stessa stregua di un essere umano che superi il secolo di vita). Tanti sono i motivi d'interesse dei "patriarchi" arborei e molteplici le motivazioni che devono indurre a conoscere al miglior livello possibile un simile patrimonio: ovviamente oggi devono prevalere le giustificazioni bioetiche, culturali in senso lato, didattiche, affettivo-emozionali.

Da ciò deriva la liceità di un'indagine territoriale volta a censire simili presenze di pregio, che, oltre a tutto, possono configurarsi come occasioni di promozione economica, nella misura in cui possano destare l'interesse di un turismo sensibile. Un esempio per tutti: il "Castagno dei cento cavalli", nel Comune di Sant'Alfio, in provincia di Catania, alle falde dell'Etna: si tratta di tre immani blocchi arborei, per il più antico dei quali è ipotizzabile un'età di poco inferiore al millennio (altri documenti accennano a 2000 e più anni, tesi che sarebbe sostenibile se effettivamente i tre blocchi fossero i resti di un unico immenso tronco: la circonferenza complessiva, in tal caso, sarebbe di 65 metri).

Ebbene: gli esemplari sono meta di un pellegrinaggio quotidiano da parte di numerosissimi turisti, che alimentano anche un piccolo commercio, indubbiamente benefico per la comunità locale.

La ricerca degli alberi monumentali sul territorio va condotta attraverso le seguenti fasi: Indagine bibliografica (ci si può rivolgere alle biblioteche dei Dipartimenti ed Istituti di discipline botaniche). Analisi dei dati disponibili presso il Corpo Forestale. Indagine presso gli abitanti in sede locale. Investigazione diretta sul territorio, anche al di fuori di strade e sentieri. Individuazione, come limite minimo di circonferenza del tronco, per l'inserimento nell'inventario, del valore di 2 metri, misurato all'altezza convenzionale di 130 cm dal suolo. Si suggerisce di optare per questo valore di circonferenza in quanto si ritiene che un diametro di 60-70 cm corrisponda per lecci, querce da sughero, latifoglie e, a maggior ragione, conifere, ad un'età superiore al secolo. In tal modo si effettua, in pratica, un censimento di tutti gli alberi quanto meno centenari. Si è deciso di dare il massimo rilievo al dato "circonferenza" in quanto l'accrescimento in spessore del fusto è continuo nel tempo, pur riducendosi con l'età e con la conseguente diminuzione di vitalità; viceversa l'altezza e soprattutto l'ampiezza della chioma, oltre che difficilmente misurabili, tendono a subire una riduzione con la senescenza e le ingiurie portate da parassiti, fulmini, avversità meteorologiche (aridità prolungata, venti impetuosi, galaverna, gelicidio, caduta di neve pesante ed acquosa, tipica di rilievi prossimi al mare e così via).

Un caso particolare è quello di tronchi ravvicinati ma in origine separati e poi concresciuti insieme a seguito del loro ingrossamento. Anche gruppi di esemplari così conformati possono assumere una connotazione estetica di tutto rilievo. Di particolare importanza è la corretta individuazione della zona del colletto, punto di contatto tra apparato radicale e fusto, da cui si deve partire per misurare i 130 centimetri al cui livello effettuare la misurazione della circonferenza. Il problema, inesistente per gli alberi giovani, può essere complesso per quelli annosi, sia ubicati in piano, sia soprattutto su terreni in pendio. In effetti anche in una zona pianeggiante, con i secoli l'erosione tende ad abbassare il livello del terreno (superando le doti consolidatrici e di "creazione" di suolo che la vegetazione possiede); a maggior ragione il processo si verifica su terreni inclinati, nei quali il ruscellamento delle acque piovane, ripetuto per decenni e per secoli, ha condotto a registrare una netta differenza tra il lato a monte e quello a valle del medesimo tronco: il dislivello può superare, in alcuni casi, il metro. La stessa tendenza del fusto a fare da argine contro il trasporto solido operato dalle acque piovane, può condurre al risultato di un'obliterazione del colletto da parte di detriti, successivamente consolidatisi, e alla conseguenza di un ulteriore innalzamento del terreno in corrispondenza del lato a monte del tronco medesimo. Il contrario tende a verificarsi sul lato a valle. In definitiva, ove sussistano le condizioni anzidette, il colletto può essere identificato con minore difficoltà in corrispondenza di una posizione laterale. Spesso, a livello del colletto, si constatano comunque cambiamenti di rugosità o di disposizione di placche della corteccia e l'individuazione è agevolata.

E' necessario, in ogni caso, mettere a frutto doti di esperienza e di precisione (che sconfina nella pignoleria), per avere la garanzia di acquisire dati non falsati da un'errata individuazione di partenza. Identificata senza ombra di dubbio la circonferenza corrispondente al colletto, sarà facile misurare l'altezza di 130 centimetri. A questo punto si può adottare un metodo di misurazione speditivo: piantare superficialmente un chiodino, in un punto di questa circonferenza, inserirvi l'occhiello di una rotella metrica e procedere ad effettuare la misurazione della circonferenza, muovendosi effettuando il periplo del tronco e controllando costantemente che la fettuccia della rotella metrica rimanga orizzontale.

Il censimento e la misurazione di alberi scenografici ed annosi ha un indubbio valore didattico: in questa ricerca possono essere coinvolti, in particolare, gli studenti delle locali scuole medie: si può essere certi che si verrà gratificati da un impegno che sconfina nell'entusiasmo. Ovviamente l'indagine andrà condotta sotto la supervisione di una persona competente.

Purtroppo, con l'età, è inevitabile che compaiano sul tronco di esemplari arborei plurisecolari sia marcescenze sia attacchi fungini. Intervenire o meno è una scelta che va affrontata pragmaticamente: non sempre l'inerzia si configura come applicazione dei principi della bioetica, anzi, a giudizio di chi scrive, è vero il contrario. Nel caso di attacchi fungini si deve provvedere ad asportare i corpi fruttiferi sporgenti all'esterno del tronco e dei rami; è bene anche procedere al trattamento con fungicidi (ormai la chimica pone a disposizione diverse sostanze, assai tossiche per i funghi lignivori e ben tollerate dalle piante superiori). Tali preparati vanno iniettati nel fusto, non certo nebulizzati sulla chioma. Le marcescenze possono essere trattate secondo gli accorgimenti della dendrochirurgia: preliminarmente va risanata, per quanto possibile, la cavità marcescente con un'operazione detta "slupatura", che di regola si compie con martello e scalpello (esistono ditte specializzate nella cura delle piante che hanno assunto nel loro organico dei "free-climbers"); successivamente va realizzato un cappellaccio di lamiera zincata che funga da tetto e ripari la svasatura dalle acque piovane (l'umidità è foriera di marcescenze ulteriori); al di sotto si può porre una grata verticale, sempre in materiale antiruggine, a maglie molto fini, in modo che sia garantita l'aerazione ma che venga impedito l'ingresso e l'accumulo di necromassa vegetale minuta: questa, andando in disfacimento, potrebbe creare una sorta di lettiera idonea ad accogliere nuovi miceli fungini. Eventualmente, sotto la marcescenza risanata, si può creare un collegamento con tubo di drenaggio che, sporgendo all'esterno del tronco, convogli all'esterno quelle acque piovane che, in una giornata ventosa, riuscissero ad entrare all'interno della marcescenza, eludendo la protezione del cappellaccio di lamiera zincata soprastante. A questo punto, buona ricerca.

(Tratto da: Natura e Società, Federazione Nazionale Pro Natura, n.4/2000)

 


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.2001
    Ultima modifica: 23.07.2009

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