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Parte V - Capitolo 2: Marne bituminose (Il Bacino del M...

Parte VI - Capp. 1 e 2: Idrologia superficiale e sotter...

Parte V - Capitolo 3: Prospettive gassifere e petrolifere delle Marche settentrionali


Il problema che mi propongo con questo capitolo è certamente vasto e per la sua impostazione occorre tener presente, oltre le conoscenze geologiche esposte nelle pagine precedenti, quelle delle regioni contermini e l'esperienza che si è venuta acquistando in questo campo nel resto d'Italia e altrove.

Perciò per giudicare delle possibilità pratiche della nostra regione passeremo in rassegna qui sotto i vari presupposti fondamentali per l'adunamento degli idrocarburi e cioè permeabilità, coperture, strutture, condizioni paleogeografiche, bacini di sedimentazione, storia orogenetica, ecc. non limitandoci al solo bacino del Metauro, ma estendendo, come è necessario, il nostro esame a tutte le Marche settentrionali (a).

(a) In un mio precedente lavoro (218) mi sono già intrattenuto sulle prospettive che presenta la regione marchigiana nei riguardi degli idrocarburi. Ad esso rimando per un completamento delle notizie esposte in questo capitolo.

Le manifestazioni superficiali

Queste non hanno valore diretto per orientare le ricerche o addirittura, come si faceva un tempo, per consigliare l'ubicazione dei pozzi, ma solo un valore indiretto in quanto ci consentono di supporre l’esistenza nella regione di accumuli eventualmente sfruttabili. Cioè non la zona dove esse compaiono, per la quale rappresentano generalmente un fatto negativo, ma quelle contermini a distanza maggiore o minore in diretta continuità geologica, dove si verificano le condizioni adatte all'accumulo, e senza manifestazioni superficiali, possono rivelarsi adatte a una ricerca. Le manifestazioni quindi indicano solo delle probabilità di adunamenti in zone più o meno lontane o in formazioni più o meno profonde. Rappresentano però sempre un elemento di conoscenza necessaria.

Elenco qui sotto le manifestazioni superficiali citate dagli AA. (14, 33, 35) per le Marche Settentrionali dalla vallata del Foglia a Recanati. Per l'ubicazione rimando ai relativi numeri della figura.

1. Dintorni di Mondaino; acque salate con gas connesse con la formazione messiniana.

2. Montecalvo in Foglia; acque salate con gas dal Pliocene Inferiore.

3. Torrente Schieti, a N di Urbino, piccole emanazioni di gas da una sorgente solforosa; si trova presso il torrente a q. 170 a S dell'abitato di Schieti; dalle argille con intercalazioni sabbiose del Messiniano.

4. Dintorni di Urbino; deboli impregnazioni d'olio nel Bisciaro (manca l'ubicazione precisa).

5. Valzangona, tracce di gas nelle acque minerali solfidriche e salsoiodiche dello stabilimento; dalla formazione messiniana.

6. Carignano, idem.

7. Foci del Metauro; si sarebbero riscontrati entro mare gorgoglii di gas.

8. Dintorni di Sorbolongo, piccole saltuarie emanazioni di gas da una sorgente di acqua salata nel fondo del Fosso dell'Acqua Salata; dalla serie argillosa e arenacea del Pliocene inferiore.

9. S. Savino, tracce di gas nelle acque solfidriche provenienti dalla formazione gessoso-solfifera.

10. Canneto, idem.

11. Cabernardi e Percozzone, notevoli emanazioni di gas rinvenute durante i lavori di coltivazione delle miniere di zolfo.

12 e 13. Dintorni di Fratte Rosa e S. Lorenzo in Campo, acque salate con tracce di gas; dalla serie marnoso molassica del Pliocene inferiore.

14. Fosso Brugiata, bollicine di gas dal fondo del fosso omonimo connesse con la serie del Pliocene medio.

15. Fosso Acquanera, presso Castiglioni in Comune di Arcevia, debole saltuario gorgoglio di gas da due piccole sorgenti di acqua salata; dal Pliocene inferiore.

16. Vaccarile, sul fondo del fosso a circa 1 km a NE del paese, sorgentella solfidrica un po’ salata con saltuarie bollicine di gas; dal Pliocene medio.

17. Fosso del Cavallo, fra Filetto e S. Angelo a SSW di Sinigallia, acqua minerale con poco gas dalla formazione gessoso-solfifera.

18. Sinigallia, da un pozzo ordinario per acqua profondo 16 m perforato presso il torrente Misa, leggere emanazioni di gas provenienti forse dal Pliocene medio-sup.

19. Fosso S; Angelo a S di Sinigallia sotto mandriola, leggera emanazione di gas da un pozzo ordinario di m 8 approfondito mediante perforazione di m 40; forse dal Pliocene medio.

20. Case Safaranara a SSW di Poggio S. Marcello, acque salate solfidriche con tracce di gas dal Pliocene inferiore.

21. Molino Urbani presso Moie, acqua salata con incerti segni di gas dalle alluvioni dell'Esino, proveniente dalla formazione gessoso-solfifera.

22. Contrada Calapigna, presso Monte Roberto, salsa con emissione di gas dal Pliocene inferiore.

23. Bollitori di S. Paolo di Jesi, 2 salse con emissione di gas, una delle quali ora asciutta dal Pliocene inferiore.

24. Paterno di Ancona, sulla destra del Fosso del Vallone si ebbe un notevole sviluppo di gas valutato a 2000 mc al giorno durante la perforazione di un pozzo di ricerca a m 60 di profondità; dal Pliocene inferiore.

25. Aspio, frequente emissione di gas dalle acque minerali dello stabilimento.

26. Grotta degli Schiavi, sotto il Monte Conero, a qualche centinaio di metri dalla Costa i marinai avrebbero osservato in superficie manifestazioni di gas.

27. Spiaggia di Numana, bolle di gas forse però provenienti da decomposizioni di alghe.

- Apiro, nel Fosso 600 m a NNE di Serronchia vi è una salsa saltuariamente attiva; dal Messiniano.

- Molino di Recanati, sulla sponda sinistra del Fiume Potenza, gorgoglio intenso di gas da un'acqua salata, dal Quaternario inferiore.

- Fontespina, a 250 m dalla spiaggia entro mare chiazze oleose nerastre e bolle di gas; anche ciottoli della spiaggia presenterebbero spalmature di bitume.

A queste bisogna aggiungere le numerose manifestazioni di gas e tracce oleose incontrate durante i lavori di ricerca e di coltivazione dello zolfo e le impregnazioni bituminose, su cui mi sono intrattenuto nel capitolo precedente. Aggiungo, però a titolo puramente informativo dato che la notizia non è controllata, che si sarebbero verificate salse temporanee nella zona di Caminate (Fano) in occasione del terremoto del 1929.

Si potrebbe anche ricordare molte altre manifestazioni nelle regioni contermini settentrionali e occidentali, ma per la maggior parte esse sono connesse o ancora con la serie messiniano-eopliocenica o con la formazione marnoso-arenacea romagnola o talora con le argille scagliose; non servono quindi a darci ulteriori elementi. Si può però accennare a una notevole emissione di gas, ricco di idrocarburi superiori, dai calcari marnosi e arenacei dell'Elveziano nei pressi di Caioleto (S. Agata Feltria) e a tracce di gas in una sorgente solfidrica nella formazione marnoso-arenacea umbra dei dintorni di Città di Castello.

Da quanto si è finora esposto si può così riassumere la distribuzione stratigrafica delle manifestazioni superficiali:

Quaternario-Pliocene sup. e medio, rare manifestazioni limitate alla regione costiera a S del Metauro.

Pliocene inf., molto frequenti specialmente a S del Metauro.

Messiniano, sono molto diffuse in tutta la regione esaminata con tracce varie di olio, bitume e gas.

Tortoniano, solo impregnazioni bituminose nella parte più alta della serie; per il rimanente non è sicura la presenza di manifestazioni.

Elveziano-Langhiano, nella facies marchigiana sono scarse, inoltre esse fuoriescono forse solo occasionalmente da questi terreni seguendo faglie, mentre devono avere origine da orizzonti più antichi: mancano praticamente nella facies umbra.

Paleogene, sono ignote manifestazioni.

Cenomaniano sup. limitate allo strato bituminoso descritto (pag. 161) che però non ha importanza trattandosi di uno scisto bituminoso (Oilshale).

Albiano, impregnazioni bituminose negli strati a Fucoidi (pag. 160) di valore analogo alle precedenti.

Cretaceo inf.-Giura-Trias sup. sono ignote manifestazioni.

Circa i rapporti fra manifestazioni e strutture si può osservare che la grande maggioranza degli indizi superficiali del Tortoniano sup.-Messiniano si trova sui fianchi delle sinclinali dove l'erosione ha denudato le contigue anticlinali; si tratta cioè di manifestazioni di strato. Invece le mineralizzazioni del Pliocene e Quaternario sono legate più spesso a faglie di varia entità.

Si può anche supporre con buon fondamento che il Tortoniano sup.-Messiniano rappresentino una serie naftogenica sia per il gran numero e tipo di manifestazioni sia per la facies dei terreni. Quindi gli idrocarburi contenuti in queste formazioni avrebbero subito solo migrazioni primarie con successivi spostamenti relativamente modesti e in gran parte orizzontali in rapporto alla permeabilità e giacitura degli strati. Gli idrocarburi contenuti nel Pliocene e Quaternario devono invece essere pervenuti in questi terreni in seguito a migrazione verticale dal Tortoniano sup.-Messiniano. Eccetto forse quelle della formazione marnoso-arenacea umbro-romagnola, provengono invece da terreni più antichi, forse dal Cretaceo, le poche manifestazioni connesse con le formazioni pretortoniane.

Permeabilità delle rocce

Un buon numero delle manifestazioni citate e la totalità di quelle bituminose ed oleose sono connesse con rocce marnose, che anche se assai intensamente mineralizzate non sono in grado di permettere produzioni, dato il loro forte potere di ritenzione. La scarsezza di manifestazioni in sabbie e molasse è spiegabile con l'assenza di protezione e col dilavamento subito da queste roccie. Ma tralasciando le manifestazioni vediamo quali terreni offrono una permeabilità sufficiente e quindi qualora impregnati sian in grado di cedere idrocarburi.

Non ho intenzione di esporre qui dati precisi sulla permeabilità dei terreni, in quanto queste sono misurabili con precisione solo su campioni prelevati in profondità e sui quali le acque superficiali non abbiano esplicato o quasi la loro azione cementante, come si verifica presso la superficie. Sulla base di quanto ho detto al primo capitolo di questo lavoro elencherò semplicemente i vari complessi permeabili della serie stratigrafica.

Quaternario marino, Pliocene sup. e medio p.p. Entro questa serie prevalentemente argillosa sono intercalati potenti complessi molassi a notevole sviluppo secondo NW-SE e chiudentesi rapidamente verso NE. Oltre alle molasse già citate (Parte I, Capitolo 1, Paragrafo 17) si possono qui ricordare (per la zona compresa fra Cesano e Potenza) anche quelle di Macerata della base del Pliocene sup., quelle di Monsano, S. Maria Nuova, Filottrano e Montecassiano della parte media del Pliocene sup., quelle di Recanati della base del Calabriano e quelle di Offagna, Osimo, Castelfidardo, Loreto e altre litoranee a S di Ancona del Calabriano e talora dell'Emiliano.

Pliocene medio p.p.inf. Nella parte alta della serie si intercala il potente complesso molassico di Sorbolongo-Fratte Rosa-S. Lorenzo in Campo-Serra dei Conti Montecarotto-Staffolo. Le molasse dominano nella regione costiera fra Pesaro e Fano, nell'anticlinale di S. Costanzo-Scapezzano e in quella di Polverigi. Al tetto del Pliocene inf. e nel Pliocene medio i depositi sabbiosi devono essere assai diffusi anche nella parte più profonda della restante avanfossa marchigiana, per il trasporto al largo dei detriti originati dalla regressione e successiva trasgressione (Parte I, Capitolo 1, Paragrafo 16 e Parte V, Capitolo 3, Paragrafo 4), anche dove la serie è continua.

Messiniano. Le intercalazioni molassiche sono assai diffuse nella serie sovrastante la formazione gessoso-solfifera a N del Cesano; per dettagli rimando a lla Parte II, Capitolo 3, Paragrafo 2. Fra il Cesano e il Musone, ad eccezione della zona compresa fra il M. S. Vicino e il rilievo di Cingoli, le intercalazioni molassiche praticamente scompaiono. A S del Musone, nel bacino maceratese-ascolano (Parte V, Capitolo 3, Paragrafo 5) la serie messiniana raggiunge un enorme spessore (fino a 2700 m) e presenta complessi permeabili specialmente nella parte medio-inf. e in quella sup., separati da altri in prevalenza argilloso-marnosi; gli orizzonti porosi sono però diffusi in tutto il Messiniano tanto che spesso si ha una generale formazione marnoso-molassica di aspetto fliscioide.

Tortoniano. Complessi permeabili, soprattutto limitati alla parte alta della serie, si hanno a N del Cesano specialmente nell'Urbinate, dintorni di Fossombrone e nella zona litoranea fra Cattolica e Fano e talora anche nelle sinclinali interne della catena (Parte II, Capitolo 3, Paragrafo 2); si ripresentano, con i caratteri detti più sopra anche nel bacino maceratese-ascolano.

Eocene medio-inf. e Cretaceo inf. La scaglia rossa e bianca può presentarsi nelle zone di disturbo tettonico, più o meno intensamente fessurata. Però con questa facies del Cretaceo, quale affiora nei rilievi mesozoici metaurensi, offre interesse pratico, quanto lo sviluppo della serie coeva del Conero, dove nel Senoniano sup. compare un calcare detritico-organogeno permeabile (103).

Lias inf. e Trias sup. Il calcare massiccio , quando assume facies oolitica, presenta una notevole porosità, che può raggiungere il 15% e una ottima permeabilità.

Tutti gli altri membri della serie stratigrafica delle Marche settentrionali sono o impermeabili o calcareo-compatti, nel qual caso possono avere tutt'al più una permeabilità per fessurazione.

Coperture

Passo rapidamente in rassegna qui sotto i termini stratigrafici impermeabili capaci di determinare e proteggere eventuali accumuli di idrocarburi, procedendo anche qui dall'alto al basso della serie.

Quaternario marino, Pliocene sup. e medio. Le argille così databili rappresentano indubbiamente la serie impermeabile più continua e potente che in ogni caso, salvo non vi siano grandi faglie recenti o in atto, offre una protezione sicura. I complessi sabbiosi intercalati qua e là e ricordati al paragrafo precedente non diminuiscono mai la capacità di copertura della serie dato il sempre notevole spessore delle argille interposte. Anzi questi orizzonti porosi così ben protetti si trovano in condizioni assai favorevoli per accumuli strutturali o per chiusure laterali stratigrafiche.

Pliocene inf. Nella porzione della serie esiste un complesso argilloso assai importante per la sua continuità stratigrafica col sottostante Messiniano e per la sua grande diffusione. Solo nella zona litoranea fra Cattolica e Fano e, in parte, nell'anticlinale di S. Costanzo-Scapezzano esso viene quasi completamente sostituito da una serie in gran prevalenza molassica. Queste argille fra Misa e Musone possono ridursi talora a soli 40-50 m, ma generalmente hanno qualche centinaio di metri di spessore. Occorre però avvertire che dove sono state cospicue le erosioni subaeree fra la regressione e la successiva trasgressione del Pliocene medio, lo spessore delle argille in questione può essersi notevolmente ridotto o addirittura annullato; ciò avviene all'orlo interno dell'avanfossa nel tratto maceratese-ascolano e forse in alcuni rilievi costieri sepolti a S di Ancona.

Messiniano. Le argille marnose sono frequenti e talora potenti in gran parte della serie, salvo che nella regione costiera fra Cattolica e Fano (per dettagli rimando a Parte II, Capitolo 3, Paragrafo 2). Nelle serie messiniane poi possono presentarsi spesso delle "trappole" stratigrafiche per passaggi laterali a facies sabbiose. Quando però lo sviluppo delle intercalazioni permeabili diventa troppo cospicuo, la funzione di copertura può essere solo esplicata dalle sovrastanti argille del Pliocene inf., come avviene nella porzione interna dell'avanfossa nel tratto maceratese-ascolano.

Miocene medio e inf., Oligocene ed Eocene sup. Lo Schlier specialmente nella sua porzione più alta e più argillosa (pag. 30) è impermeabile; non può invece offrire protezione il Bisciaro per la sua natura fortemente calcarea. La scaglia cinerea, per il suo notevole contenuto di argilla e il grande spessore costituisce un buon complesso impermeabile (molte sono infatti le sorgenti d'acqua dolce determinate da essa) e quindi una protezione per eventuali accumuli.

Albiano. Le marne a Fucoidi, anche se hanno solo qualche decina de metri di spessore possono offrire per gli stessi motivi una buona copertura. Però la scaglia cinerea e le marne a Fucoidi possono determinare una protezione solo se non intervengono cospicui disturbi tettonici.

Giura sup. e medio e Lias sup. Gli Strati ad Aptici e le marne rossa del Toarciano-Aaleniano per il notevole contenuto marnoso sono talora impermeabili, purché come al solito i disturbi tettonici non siano notevoli. Però date le variazioni notevoli di facies e di spessore di questi terreni esse possono determinare solo coperture locali e da verificarsi caso per caso.

In conclusione le coperture più efficienti anche rispetto al gas sono costituite dalle argille del Pliocene e spesso del Messiniano; le intercalazioni argilloso-marnose dei terreni più antichi possono essere in determinati casi impermeabili all'olio, non sempre al gas.

Conclusioni stratigrafiche

Oltre ai fatti esposti occorre richiamarne qui un altro di notevole interesse e cioè: la serie stratigrafica della regione è perfettamente continua salvo la trasgressione del Pliocene medio della quale ho già parlato (Parte I, Capitolo 1, Paragrafo 16) (a). E' però da tener presente che questa ha un valore del tutto locale ed è limitata agli apici delle strutture più accentuate (S. Costanzo-Scapezzano, Polverigi, Montecarotto, Staffolo, e varie del Maceratese) e all'orlo interno dell'avanfossa marchigiana a S del Torrente Misa.

Quindi alla fine del Pliocene inf. o durante il Pliocene medio non si è avuta una generale regressione, seguita da una generale o quasi trasgressione durante il Pliocene medio; ma il mare pliocenico ha mutato solo di profondità e le coste hanno subito solo scarse variazioni. I bacini sedimentari neogenici marchigiani hanno quindi praticamente conservato, salvo che ai loro margini, la continuità di sedimentazione fino a tutto il Pliocene medio. Queste oscillazioni delle antiche linee di costa non costituiscono generalmente un fattore negativo rilevante, in quanto hanno interessato strutture fortemente sollevate e anche oggi ampiamente erose e quindi già da scartarsi per una ricerca a causa di questi motivi. Rimane però il dubbio che il grande rosario di rilievi sepolti presso la costa adriatica a S di Ancona, messo in evidenza dalle ricerche geofisiche, possa essere stato in certi casi intaccato dall'erosione subaerea durante il Pliocene medio. Si può quindi concludere che la lacuna stratigrafica nel Pliocene medio si presenta in aree assai limitate e che, salvo la riserva accennata, non ha avuto un effetto negativo sensibile circa le possibilità di accumulo nell'avanfossa marchigiana.

Eccetto questo breve e locale hiatus, la serie stratigrafica dal Tortoniano sup. (talora dal Tortoniano inf.) in poi mostra un generale carattere regressivo, accentuandosi in modo particolare dal Pliocene medio in poi. Questo lento e progressivo ritiro del mare dai bacini neogenici marchigiani ha determinato molti orizzonti porosi con probabili chiusure stratigrafiche.

Come ho già detto nella prima parte di questo lavoro i vari complessi molassici e sabbiosi del Neogene marchigiano provengono evidentemente in gran parte dall'erosione della catena. Lo dimostrano la notevole percentuale media del 50% di carbonati fra i costituenti della nostre molasse (73), i microfossili rimaneggiati dal Mesozoico (Parte I, Capitolo 3) e la generale diminuzione delle dimensioni dei granuli e dello spessore dei singoli complessi porosi allontanandosi dalla catena. Ciò spiega come le permeabilità del Tortoniano sup.-Messiniano abbiano la maggiore diffusione, in quanto formatesi in seguito alle prime emersioni della catena ad opera della prima fase diastrofica marchigiana. Anche le sabbie depositatesi fra la fine del Pliocene inf. e il Pliocene medio devono avere una notevole diffusione perchè essere pure sinorogenetiche.

E' però necessario ammettere anche altre provenienze dei materiali terrigeni. Infatti il notevole spessore delle facies molassiche diffuse per tutto il Tortoniano-Messiniano-Pliocene inf. e medio p.p. della zona costiera adriatica (monoclinali costiere fra Cattolica e Fano e anticlinale di S. Costanzo-Scapezzano) deve essere determinato in parte da altri apporti terrigeni (Parte II, Capitolo 3, Paragrafo 2). Questi possono essere stati forniti dalla formazione marnoso-arenacea romagnola o assai più probabilmente da una emersione dell'avanpaese adriatico, sul quale già ci siamo intrattenuti e ritorneremo fra poco. Queste considerazioni hanno un riflesso pratico importante per prevedere la distribuzione e le probabili variazioni dei termini permeabili neogenici entro i bacini di sedimentazione marchigiani (218).

Da quanto si è esposto finora in questo capitolo si possono trarre le prime conclusioni.

Allo stato attuale delle conoscenze la serie del Tortoniano sup.-Messiniano rappresenta l'obbiettivo immediato per la ricerca di idrocarburi nelle Marche, sia per la grande quantità di manifestazioni note, per le sue permeabilità e per l'ottima copertura determinata dai complessi argillosi sovrastanti. Un notevole interesse pratico hanno anche le intercalazioni sabbioso molassiche del Pliocene e in modo particolare quelle della parte alta del Pliocene inf. e del Pliocene medio. Mentre per i termini permeabili miocenici sarà più facile rintracciare eventuali giacimenti strutturali, per il Pliocene dovrà farsi maggior affidamento sulle chiusure stratigrafiche.

La formazione marnoso-arenacea umbra, per quanto mi sia poco intrattenuto si di essa, non può costituire oggetto di indagine, perchè, malgrado le abbondanti permeabilità, manca di coperture sufficienti.

Per una ricerca di rocce più antiche possiamo per ore intravedere possibilità solo in un Cretaceo superiore a eventuale sviluppo calcareo-organogeno, protetto dalla scaglia cinerea. Tale facies però è supponibile solo nella regione litoranea o sotto l'attuale Adriatico. Un indizio per eventuali mineralizzazioni potrebbero essere le impregnazioni bituminose dell'Albiano e Cenomaniano.

Negli Abruzzi sono ben conosciute impregnazioni bituminose fino nei terreni triassici, nelle Marche invece, malgrado i forti disturbi disgiuntivi della catena, sono ignote manifestazioni superficiali nella serie precretacea. Malgrado l'assenza di questo importante elemento, tuttavia sono presenti nella nostra regione permeabilità, coperture e talora anche strutture tettoniche favorevoli per eventuali accumuli in certi casi a profondità non eccessiva.

Naturalmente ho qui tenuto conto dei dati stratigrafici noti dalla geologia della regione, facendo astrazione da quelli supponibili mediante estrapolazioni da grande distanza; cioè ad esempio eventualità di un Miocene medio-inf. od Oligocene sabbiosi, Cretaceo inf. o Giura organogeni; Trias medio o inf. permeabili o addirittura Paleozoico sup. con caratteristiche favorevoli. Si tratta infatti per il momento di ipotesi del tutto gratuite e non sostenute dagli indispensabili dai di fatto.

NOTE

(a) Ho già accennato nella Parte I, Capitolo 1, Paragrafo 3 dell'eventualità di lacune stratigrafiche locali entro la serie giurassica.

Tentativo di sintesi regionale delle Marche esterne (a)

Non ripeterò qui quanto esposto ai capp. II e III della I Parte di questo lavoro, a cui rimando per molte notizie; dovrò invece intrattenermi, per una migliore comprensione dei fatti, su alcuni concetti d'ordine regionale finora non considerati. Anche in questo come nei paragrafi precedenti, l'argomento è

dato fondamentalmente dalla regione compresa fra il Foglia e Recanati (b).

Tre grandi unità geologiche con diversi stili tettonici (v. Parte I, Capitolo 2) e con diversi ambienti di sedimentazione neogenica occupano l'area marchigiana:

I. la zona della formazione marnoso-arenacea umbra;

II. la zona dei rilievi mesozoici;

III. la zona del Neogene esterno.

Tralascio l'esame delle due prime zone. Infatti per una interpretazione dettagliata della prima, che rappresenta, come si è detto, una grande fossa di sedimentazione miocenica a tettonica particolare (Parte I, Capitolo 2, Paragrafo 3) delimitata a NE dai massicci mesozoici interni (Parte I, Capitolo 2, Paragrafo 1), occorrerebbe prendere le mosse dalla Geologia toscana e nordapenninica; ciò che esula da ogni mia intenzione. Sulla porzione metaurense della seconda zona mi sono già a sufficienza intrattenuto, per quella più meridionale rimando ai molti lavori già pubblicati. Si può richiamare qui il concetto che questa seconda corrisponde a una catena a pieghe mesozoiche, con i particolari strutturali già descritti (Parte I, Capitolo 2, Paragrafo 1), e racchiudenti numerosi bacini sinclinali di sedimentazione meso e sopramiocenica.

Vediamo meglio la terza zona, che è quella di reale valore pratico per la ricerca di idrocarburi, prendendo le mosse dal rilievo M. Spadaro-Furlo-Arcevia-S. Vicino-Sibillini (c) e in particolare dal suo margine occidentale.

A N del Metauro questo rilievo affiora come un'anticlinale a nucleo pseudodiapirico di Schlier, per cui non segna, come più a sud, il confine netto fra la seconda e la terza unità geologica marchigiana. Fra i fiumi Metauro e Cesano il nucleo mesozoico presenta, talora più o meno attenuati, i caratteri tettonici già visti per i rilievi interni marchigiani (Parte I, Capitolo 2, Paragrafo 1); cioè il fianco NE del grande rilievo strutturale degrada, sia pure bruscamente con disturbi locali e faglie, ma senza grandi interruzioni sulla terza zona. A S del Cesano i fenomeni disgiuntivi del fianco NE si fanno via via più forti e sono caratterizzati da un grande rigetto inverso, da mancate vergenze verso NE, da sovrascorrimenti, ecc., che interessano talora perfino il Pliocene. Così al margine NE della Montagna della Rossa vi è una grande faglia inversa con un rigetto valutabile ad almeno 1400 m (206 pag. 42), che mette a diretto contatto il Pliocene inferiore con la scaglia rossa. Fra Esino e Tenna gli stessi disturbi si continuano al margine occidentale del S. Vicino e Sibillini.

Si può concludere così che dal Cesano al Tenna e più a S fin oltre il Tronto, l'orlo esterno dei rilievi mesozoici della catena marchigiana è segnato da tutta una serie continua di cospicue faglie inverse e parziali accavallamenti secondo la linea di Arcevia-Serra S. Quirico-Frontale-S. Severino Marche-W di Sarnano-Arquata sul Tronto. Questi disturbi tettonici hanno il carattere di quelli che accompagnano normalmente l'orlo interno delle avanfosse. Sia per questo, sia per la sua storia geologica la terza unità geologica indicata più sopra ha il significato di una vera avanfossa neogenica di sedimentazione con tutti i suoi caratteri peculiari quali: subsidenza, asimmetria dei fianchi, grande spessore dei sedimenti, ecc.

L'avanfossa marchigiana a N del Cesano si attenua rapidamente fino a sparire o quasi in corrispondenza del Metauro per il progressivo alzarsi del substrato. Fra Foglia e Metauro infatti emerge, come si è detto (pag.48) una serie di pieghe anticlinaliche parallele ed affiancate (Cesana, Colbordolo-Vergineto, M. Balante-Cuccurano, Pesaro-Fano) che nel loro insieme costituiscono una sella (d), cui si può dare il nome di sella Furlo-Novilara, degradante verso NE (e) e separante l'avanfossa marchigiana dai bacini di sedimentazione neogenici romagnoli.

Un'altra sella analoga ma con diverso profilo complessivo si può supporre fra l'Esino e il Potenza. Qui infatti emergono all'esterno del grande asse strutturale Furlo-S. Vicino-Sibillini due rilievi mesozoici, M. Acuto di Cingoli (f) e M. Conero, altri due a nucleo Langhiano, Ancona e piega Cupramontana-Domo di Cingoli, e, circa intermedia a queste, l'anticlinale a nucleo affiorante Messiniano di Polverigi. A differenza però della sella Furlo-Novilara, che come ho detto ha il massimo rialzo a SW e il minimo a NE, questa sella, che chiamerò Cingoli-Conero, ha i massimi rialzi agli estremi e il minimo nella zona media. La sella Cingoli-Conero, la cui probabile esistenza è confortata da altri fatti geologici osservabili sul terreno, permette di suddividere l'avanfossa marchigiana in due bacini di sedimentazione: quello nordmarchigiano e quello maceratese-ascolano.

Il margine esterno del bacino nordmarchigiano è determinato dalla anticlinale di S. Costanzo-Scapezzano, che forse si riallaccia a quella di Polverigi (Parte I, Capitolo 2, Paragrafo 2); quello del bacino maceratese-ascolano è stato recentemente scoperto mediante la prospezione geofisica, in una lunga dorsale sepolta sotto i terreni del Pliocene e Quaternario marini. Tale dorsale si raccorda a N con le pieghe di Ancona e del Conero e decorre assai disturbata verso SE lungo la costa maceratese e con una leggera obliquità rispetto a questa.

Resta però il problema se questi rilievi emersi e sepolti segnano veramente il limite esterno dell'avanfossa marchigiana oppure solo dei due bacini nominati. La seconda ipotesi, per le varie ragioni che dirò risulta la più probabile e quindi occorre ammettere l'esistenza entro l'area dell'attuale Adriatico di altri bacini sedimentari, sempre nell'ambito dell'avanfossa marchigiana e ricercare il margine esterno di quest'ultima e l'avanpaese antro mare a qualche decina di chilometri dalla costa attuale.

Vari fatti ci permettono di supporre l'esistenza di un altro bacino di sedimentazione periadriatico, entro mare, fra le traverse di Rimini e Ancona. Anzitutto le varie strutture più prossime alla costa attuale non hanno nessuna il carattere di avanpaese, neppure il Conero che è un vero elemento appenninico come dimostra la sua serie stratigrafica e la sua struttura (103); una tale funzione è poi assolutamente inammissibile per le pieghe di Cattolica-Fano e S. Costanzo-Scapezzano. A NE le due selle Fano-Novilara e Cingoli-Conero sono delimitate da faglie di sprofondamento che inducono ad ammettere l'esistenza all'esterno di esse di bacini di sedimentazione. D'altronde l'avanfossa romagnola quasi ora completamente coperta dalle alluvioni padane non può bruscamente interrompersi in corrispondenza delle coste romagnole ma per lo meno prolungarsi a cingere il rilievo di Cattolica-Fano. Infine già abbiamo supposto per altre vie (Parte I, Capitolo 1, Paragrafo 18 e Parte IV, Capitolo 2) rilievi cristallini sotto l'Adriatico, i quali sial per la composizione litologica, sia per la loro posizione possono realmente costituire l'avanpaese appenninico marchigiano. Questo avanpaese avrebbe alimentato la sedimentazione terrigena grossolana del Tortoniano-Messiniano-Eopliocene fra Cattolica e Fano e i conglomerati a ciottoli cristallini della base del Pliocene medio e anche oggi fornisce la "rena terebrante" esso sarebbe in relazione con i fondi rocciosi al largo di Sinigaglia e forse con la fascia di "sabbioni", che corre parallelamente alla costa a una distanza di 25-28 km circa (Parte IV, Capitolo 2).

Possiamo ora brevemente sintetizzare quanto si è esposto in questo paragrafo e in precedenza. La catena appenninica marchigiana (2° unità strutturale) con tipico stile a pieghe e a faglie e con le particolarità tettoniche dette (parte I, Capitolo 2) è orlata all'esterno da un'ampia avanfossa di sedimentazione neogenica (3° unità strutturale), che a sua volta è delimitata all'esterno da un avanpaese almeno in parte cristallino-metamorfico. Nell'avanfossa marchigiana (delimitata a N rispetto ai bacini preapenninici romagnoli della sella Furlo-Novilara) sono distinguibili tre grandi bacini di sedimentazione: nord marchigiano, maceratese-ascolano, periadriatico-marchighano. I primi due più o meno nettamente separati fra loro dalla sella Cingoli-Conero sono oggi in terraferma, il terzo è sottomarino. Quest'ultimo, separato rispetto agli altri due dai rilievi litoranei di Cattolica-Fano, S. Costanzo-Scapezzano, Ancona, Conero e altri sepolti più a S, è forse in continuità con l'avanfossa romagnola (g). Nella Tav. IX ho cercato di schematizzare questi bacini di subsidenza.

Rimandando a lavori già pubblicati (217, 218) per molti altri fatti interessanti, mi limito qui ad alcune notizie complementari. Tutte le pieghe marchigiane hanno un netto e costante parallelismo (h), sia nella catena sia nell'avanfossa, e spesso sono allineate a rosario secondo grandi assi strutturali. Però fra la displuviale Conca-Foglia e la sella Cingoli-Conero hanno un orientamento NW-SE, a S di quest'ultima ne acquistano un altro NNW-SSE. Cioè questa sella corrisponde all'incirca anche a un asse di leggera torsione tettonica. A N dello spartiacque Conca-Foglia fino al Forlivese si ha invece nel Neogene esterno il sovrapporsi di due direttrici tettoniche, quelle nord-marchigiane e quelle nord-appenniniche. Quindi la sella Furlo-Novilara ha importanza dal punto di vista paleografico per delimitare le aree di subsidenza e segna anche il limite di orientamenti strutturali regionali.

I bacini sedimentari si sono individuati col Tortoniano in relazione con la prima fase diastrofica della regione, ma è stato solo con la fine del Pliocene inferiore che si sono accentuati e delimitati definitivamente. Il bacino nordmarchigiano alla fine del Pliocene superiore era ormai emerso; in quello maceratese-ascolano vi fu abbondante sedimentazione marina per parte del Quaternario; in quello periadriatico la sedimentazione perdura tuttora. L'esame del generale carattere regressivo delle serie postelveziane in rapporto con le fasi orogenetiche e con lo sviluppo dei bacini di sedimentazione sarebbe interessante ma mi porterebbe ad esporre dati troppo numerosi e dettagliati per questa sede.

NOTE
(a) Intendo qui, come anche in precedenza, i due termini "interno" ed "esterno" rispetto alla catena appenninica e alla sua vergenza generale.
(b) Per una migliore comprensione e una più ampia esposizione dei tratti fondamentali della geologia regionale marchigiana rimando a un mio precedente lavoro (217) e alla carta tettonica che lo accompagna.
(c) Ho già detto (Parte I, Capitolo 2, Paragrafo 2) che questo non è un'unica struttura anticlinalica ma un enorme rosario di anticlinali con molte culminazioni.
(d) Col termine di sella indico un sollevamento medio del substrato indipendentemente dalle pieghe che lo interessano e che possono considerarsi dei fatti locali. Tale sollevamento è trasversale rispetto all'avanfossa e ne interrompe la continuità longitudinale.
(e) Il degradare ininterrotto da SW verso NE delle pieghe che interessano questa sella è assai evidente, per cui queste, malgrado le varie faglie longitudinali assumono un assetto generale di pieghe a gradinata. Infatti da SW verso NE incontriamo il rilevo del Furlo a nucleo affiorante triassico, l'anticlinale della Cesana con nucleo eocretaceo, quella di Colbordolo-Vergineto con nucleo oligocenico; il pseudodiapiro di Schlier di Cuccurano e infine le anticlinali costiere fra Pesaro e Fano a nucleo affiorante messiniano-eopliocenico.
(f) Il rilievo di M. Acuto di Cingoli ha un marcato arrovesciamento verso NE e faglie longitudinali analoghe a quelle viste per i rilievi mesozoici della catena. Inoltre presenta segni evidenti di un parziale accavallamento verso NE che si è ripercosso anche nelle pieghe neogeniche immediatamente più orientali (Cupramontana-Domo, Montecarotto-Staffolo, Treia- Pollenza).
(g) Ad evitare equivoci qui e altrove credo necessario aggiungere che col termine di bacini sedimentari intendo essenzialmente delle aree di subsidenza ben delimitate e distinte fra loro e non identifico con questi limiti quegli degli antichi mari. Infatti fra i mari neogenici che coprivano i vari bacini marchigiani le comunicazioni furono sempre amplissime (soprattutto fra quelli nordmarchigiano e maceratese-ascolano). Cioè attribuisco al concetto di bacino sedimentario un significato strutturale regionale anziché solo paleografico, che qui è secondario.
(h) Ciò naturalmente non toglie che, come si è detto, (Parte I, Capitolo 2, Paragrafo 2), le pieghe spesso confluiscano fra loro o si associno variamente.

Possibilità di accumuli nelle Marche settentrionali

Dopo questo sguardo d'insieme e con i molti altri elementi esposti precedentemente possiamo ora esaminare quali e dove siano le possibilità di ricerca per idrocarburi nelle Marche settentrionali. Si è già stabilito (paragrafo 4 di questo capitolo) che la serie tortoniana-messiniana-pliocenica presenta il maggior interesse pratico immediato; cerchiamo qui di individuare le zone di probabili accumuli, cioè dove detta serie si trova con le sue permeabilità e con le coperture in anticlinali o altri tipi di chiusure non erose.

La formazione marnoso-arenacea umbra (1° unità strutturale), per quanto comprenda anche il Tortoniano sabbioso-arenaceo, è priva di interesse, almeno allo stato attuale delle conoscenze, perchè manca di coperture impermeabili.

Anche nel Tortoniano e Messiniano delle sinclinali interne della catena (2° unità strutturale) si può escludere la possibilità di adunamenti, in quanto questi terreni occupano solo il fondo delle sinclinali e sono privi di una copertura efficiente (il Pliocene è sempre assente). Anche eventuali chiusure laterali stratigrafiche determinate dalle intercalazioni argillose sui fianchi di queste sinclinali non possono aver interesse perchè, a parte la limitata estensione della superficie eventualmente drenata, tutti i terreni porosi sono stati ampiamente dilavati e invasi dalle acque superficiali. Si può quindi concludere che tutta la regione marchigiana a SW del rilievo Furlo-S. Vicino-Sibillini non ha importanza pratica per una ricerca di idrocarburi nel Neogene.

Si presentano invece notevoli prospettive nella serie tortoniana-messiniana-pliocenica dell'avanfossa (3° unità strutturale). La presenza qui di bacini di sedimentazione neogenici con i caratteri noti (persistenza di sedimentazione, subsidenza, plicazioni tarde, assenza di trasgressioni cospicue, ecc.) è già di per sè un elemento del massimo interesse. E' però necessario un esame più dettagliato, che come al solito limiteremo alla regione fra il Foglia e Recanati.

Fra il Foglia e il Metauro si stende la cosiddetta della Furlo-Novilara, dove si ripetono le condizioni negative già viste per la catena mesozoica. Infatti tutte le anticlinali sono prive di copertura e molto erose e hanno il nucleo affiorante nel Messiniano o in terreni più antichi. Resterebbe perciò anche qui come unica possibilità la presenza di chiusura stratigrafica sui fianchi delle sinclinali, alcune delle quali, come quelle di Montecalvo in Foglia-Isola del Piano-Ponte degli Alberi e Tomba di Pesaro-M. delle Forche, avrebbero forse sufficienti coperture argillose. Neppure queste però offrono sufficienti garanzie.

A S dell'asse vallivo del Metauro si stende il bacino di sedimentazione nordmarchigiano dove abbiamo tre possibilità per la ricerca:

1) entro le pieghe a nucleo affiorante eopliocenico;

2) sui fianchi delle pieghe precedenti;

3) al disotto della estesa copertura argillosa meso e soprapliocenica.

La prima possibilità si verifica nel prolungamento a SE del Metauro del rilievo Colbordolo-Vergineto (che per ondulazioni assiali potrebbe anche offrire chiusure strutturali), nel tratto settentrionale dell'anticlinale S. Costanzo-Scapezzano e nelle pieghe di Montecarotto-Staffolo e di Polverigi. In tutte queste le eventuali coperture sono affidate a priori limitati accumuli di gas.

Sui fianchi di queste pieghe si ha la protezione del Pliocene inf. e medio argillosi. Si presenta perciò l'eventualità di accumuli sia pur modesti o per chiusure stratigrafiche (variazioni laterali di facies) o strutturali (ondulazioni secondarie dei fianchi, faglie longitudinali).

Fra le pieghe nominate si stende ininterrotto il Pliocene medio argilloso e per un buon tratto anche il Pliocene superiore pure argilloso (Parte I, Capitolo 1, Paragrafo 16), che come ho detto costituiscono le coperture più efficienti. E' proprio qui che una ricerca ha le prospettive migliori in quanto è più che probabile (e vari indizi lo confermano) il ritrovamento di pieghe chiuse ben protette con buone possibilità di accumuli d'idrocarburi. La zona di interesse pratico è all'incirca così delimitata: costa adriatica a S di Numana-Numana-Polverigi-S. Angelo (a NW di S. Costanzo)-Montemaggiore al Metauro-Sorbolongo-Barbara-S. Paolo di Jesi-Treia-Loro Piceno; quindi si estende ampiamente nell'Ascolano fra la costa e la congiungente Loro Piceno-Maltignano sul Tronto. Entro questi limiti però dobbiamo ritenere di modesto valore la porzione compresa fra il Metauro e il Cesano per il generale andamento strutturale con progressivo sollevamento verso NW.

La zona così definita presenta ottimi requisiti per una ricerca entro il Neogene soprattutto per le cospicue coperture e il favorevole assetto tettonico. Gli orizzonti nei quali possono verificarsi gli adunamenti di idrocarburi sono quelli del Tortoniano sup. e del Messiniano e quelli del Pliocene medio e della parte alta del Pliocene inf.; le altre intercalazioni sabbiose della serie pliocenica hanno un interesse secondario. Tenendo conto che le permeabilità tendono a diminuire da occidente verso oriente, le anticlinali più interne saranno le più propizie anche perchè meno profonde. Le emersioni avvenute fra Pliocene inf. e medio possono aver avuto un effetto negativo, come si è detto, sui rilievi costieri. Oltre alle chiusure puramente strutturali devono giuocare un ruolo fondamentale anche quelle stratigrafiche date le numerose variazioni laterali di facies. A tal proposito si deve ricordare che i frequenti passaggi laterali fra argille e sabbie rendono complessa la ricerca in tutto il Neogene marchigiano, ma se nella zona in questione rappresentano un motivo di difficoltà e di maggior dispendio per l'individuazione dei giacimenti, nelle altre zone di ricerca indicate più sopra rappresentano il fattore positivo preminente per le possibilità di accumuli.

Nelle Marche, oltre al Neogene, si presentano anche due altri temi di ricerca e cioè il Mesozoico e il bacino periadriatico. Del primo ho già accennato in precedenza (Parte V, Capitolo 3, Paragrafo 5) vediamo perciò rapidamente il secondo.

Esso si estende entro mare all'esterno dei rilievi costieri (Cattolica-Fano, S. Costanzo-Scapezzano, Ancona, Conero, ecc.) forse con una larghezza media di 25-30 km. La ricerca diretta mediante perforazioni è possibile, non trovandosi mai la zona indiziata a profondità superiori ai 50 m in un mare non soggetto a grandi tempeste e a forti maree. Questo bacino presenta prospettive quanto mai interessanti. Anzitutto siamo certi di ottime coperture da parte del Pliocene medio-sup. e del Quaternario. Le porosità e permeabilità nei terreni sottostanti sono supponibili buone specialmente per il Tortoniano, Messiniano e Pliocene inf., data l'abrasione intensa che avrebbero subito i rilievi cristallini dell'avampaese; per la stessa ragione orizzonti permeabili sono prevedibili anche in orizzonti più antichi. Inoltre è possibile la presenza di termini calcareo-organogeni nel Cretaceo sup. (di cui il Conero offrirebbe un piccolo esempio) e anche in altri piani più antichi o più recenti. Le oscillazioni di tipo epirogenetico dell'avampaese oltre a questi fenomeni potrebbero aver determinato anche "trappole" ad opera delle trasgressioni marginali connesse. in altri termini potrebbero presentarsi anche condizioni migliori di quelle note in terraferma.

Non bisogna però dimenticare che una ricerca entro il bacino periadriatico è dispendiosa e prematura. Ad ogni modo frattanto una ricerca geofisica, eventualmente aeromagnetometrica o gravimetrica, potrebbe darci degli elementi assai importanti anche per le ricerche in terraferma.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.1954
    Ultima modifica: 01.09.2004

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