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Sant'Ippolito: Abbazia di S. Cristoforo (scomparsa)


Il Monastero di San Cristoforo del Castellare o "de feniculis", sorgeva in "plano jungatorum", nella piana della confluenza del Tarugo e del Metauro, e più precisamente in riva destra di quest'ultimo a poco più di quattrocento metri dalla sponda del fiume.

Abbazie e chiese, dedicate a questo santo, sorgevano quasi sempre in prossimità di un corso d'acqua dove esisteva un guado; infatti, la leggenda vuole che San Cristoforo svolgesse il mestiere di traghettatore e che una volta abbia portato sulle spalle Gesù ancora bambino: non a caso, le attuali carte geografiche particolareggiate riportano in quella zona il toponimo "la Barca", mezzo con cui le generazioni più prossime a noi affrontavano l'attraversamento del Metauro.

La definizione di Castellare, attribuita a questo monastero, sta a significare che, non lontano da esso, si erigeva una torre, della quale rimangono ancora delle tracce in una casa colonica, il cui nome è Torre Romana; mentre il termine "de feniculis" starebbe ad indicare che i monaci di allora si dedicassero alla coltivazione del finocchio per uso officinale.

Il più antico documento, che tratta dell'abbazia di San Cristoforo, è la bolla del 1224 di papa Onorio III inviata al vescovo di Fossombrone Monaldo, con la quale il pontefice assegna a quella diocesi, enumerandoli, chiese, monasteri e loro pertinenze: "monasterium Sancti Christophori de Castellaro cum castro".

Un'altra attestazione di quel periodo è di alcuni anni più tardi, e precisamente del 1239, ed è un rinnovo d'affitto di svariati terreni, che il vescovo Aldebrando ripropone ad un certo Zanne di Serrungarina: in questo atto, però, sono esclusi un mulino ed una casa colonica, posti nella piana della confluenza, in quanto di pertinenza dello stesso monastero di San Cristoforo.

Questa abbazia, secondo il Vernarecci, sarebbe stata fondata dopo il Mille e retta da monaci benedettini, i quali, com'era nella loro regola, si adoperarono per il risorgimento delle nostre contrade, per ciò che essi fecero nell'agricoltura, negli studi, nel culto, senza dire degli asili che i perseguitati, gli umili, i deboli, insomma tutti i sofferenti, trovarono tra le mura e sulle terre delle vecchie badie.

Un'altra abbazia, anch'essa amministrata dai benedettini, era quella di Santa Maria in Lastreto, nell'alta valle del Tarugo; una terza, dedicata a Santa Sofia, sorgeva ad ovest di Isola di Fano, a metà costa del monte Cignano; quest'ultima dipendeva direttamente dal noto monastero di Sant'Apollinare in Classe.

La presenza di ben tre monasteri nell'ambito di un territorio, piuttosto ridotto, fa supporre che la vallata del Tarugo sia stata percorsa da una via romea alternativa, comprendente anche il monastero di Santa Croce di Fonte Avellana, la quale si raccordava, poi, verso i confini dell'Umbria con la stessa via Flaminia.

La badia di San Cristoforo si resse fino al XVI secolo; infatti, nel resoconto di una visita pastorale del 1 maggio 1583 viene ordinato all'abate Giuliano, unico monaco rimasto, di dare una degna sistemazione alla chiesa, in quanto dai vetri rotti delle finestre entravano con facilità le rondini. Il complesso monasteriale, anche se ormai ridotto in condizioni piuttosto precarie, comunque rimase per tutto il secolo scorso; ne dà prova la mappa del Catasto pontificio del 1825 del comune di Sant'Ippolito -Rettangolo VIII- in cui sono riprodotti la chiesa a pianta rettangolare con abside rotondeggiante e, a fianco, il corpo abitativo alquanto prolungato, mentre del tutto distaccato dal resto si nota un terzo edificio più piccolo. Di tutto questo oggi non rimangono che dei resti di laterizio disseminati in mezzo ad un campo.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.1999
    Ultima modifica: 20.07.2007

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