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Sant'Ippolito: i mulini del Comune

Serrungarina: Molinello

Sant'Ippolito: Mulino la Ghiera


- Comune di Sant'Ippolito

- T. Tarugo, affluente di destra del Metauro

- Ubicato in riva destra del Tarugo, 1 km a Nord di S. Ippolito

- Edificio in rovina. Anche ex impianto idroelettrico, gualchiera, lavorazione di prodotti ceramici e segheria. Canale di alimentazione e bottaccio ancora presenti

- Ultimo sopralluogo: maggio 2009

- Riferim carta: 1:25.000 IGM 109 II S.E.

- Toponimo ("Ghiera") e simbolo di mulino nella carta 1:25.000 IGM 1948

- In elenco concessioni Genio Civile 1982 (PIERUCCI 1983)

- Bibliografia: EMANUELLI 1960, LUCERNA 2007, PIERUCCI 1983, VERNARECCI 1984

Il mulino è censito al Foglio di Mappa 5 del comune di Sant'Ippolito con i numeri di particelle: 1, 194, 195,176 e 309, ed è riportato al foglio 109 della Carta d'Italia II S.E. - Serrungarina - quota 104. Esso è situato sulla riva destra del Tarugo in prossimità di Pian di Rose. Proprietari sono gli eredi della famiglia Fiorelli di Pian di Rose.

Questo mulino compare specificatamente in atti del 1555 e del 1800. Il primo documento, redatto dal notaio Bernardino Filarista, tratta di una cessione in affitto di un mulino da grano con tutti di suoi ordigni e le sue pertinenze, denominato el molino de la Ghiera e ubicato nel territorio di Sant'Ippolito vicino al Tarugo. Il contratto viene stipulato fra Ludovico Simboldi, originario di Gubbio ma dimorante a Fossombrone, fattore e procuratore del cardinale Giulio della Rovere, e Giovanni Paolo del fu Cicco di Montalto (1).

Il secondo documento riguarda una stima di un corredo di biancheria e un'altra di legnami, concernenti arredi di casa e di cantina, eseguita il 19 maggio del 1800 presso la Ghiera alla presenza del notaio Lorenzo Bertinelli di Fossombrone (2).

In un documento del 10-5-1871 si specifica che il mulino consta di tre palmenti, ciascuno dei quali ha le macine mosse da un ritrecine (3).

Il canale di adduzione ha una lunghezza di 1040 metri e prende acqua dal Tarugo. Il locale del mulino è ampio ed attualmente è occupato dall'apparato di una segheria e da una piccola macina, di cui resta solo la mola inferiore; questa veniva usata per macinare minerali silicei, che, a loro volta, erano utilizzati dagli orciai di Vergineto per l'invetriatura degli orci.

A fianco di questo vano ve ne è un altro più piccolo, in cui resta ancora intatta una canaletta di legno, nella quale si infeltrivano i tessuti -l'ingualchiera appunto- che darà il nome a tutto l'opificio.

Il mulino vero e proprio per la macinazione dei cereali e delle biade fu smantellato nel 1912, allorquando, al suo posto, furono impiantate una turbina Francis e una dinamo per produrre energia elettrica, di cui si serviva il paese di Sant'Ippolito per l'illuminazione pubblica e privata. Da quel momento l'apparato molitorio fu trasferito al capoluogo dove era utilizzata l'energia elettrica prodotta nel vecchio mulino. D'estate, quando l'acqua veniva a mancare, l'energia idraulica era sostituita con quella di un motore a scoppio.

In seguito al disarmo dell'impianto idoelettrico, nel locale dell'ex mulino fu installata una segheria e per l'occasione in uno dei vani sottostanti fu sistemata una ruota idraulica verticale al posto del ritrecine orizzontale, usato in precedenza per il mulino a palmenti. La diversa posizione dell'albero-motore permetteva di trasmettere più facilmente, mediante una semplice cinghia, il moto agli assi orizzontali dell'apparato della segheria.

L'impianto è stato da molto tempo dismesso e tutto lo stabile è nell'abbandono più completo, la fitta e rigogliosa vegetazione si è impossessata dell'intero fabbricato.

NOTE

(1) A.S.Pe., notaio Bernardino Filarista, anni 1547-1567, cc. 79-81.
(2) A.S.Pe., notaio Lorenzo Bertinelli, anni 1797-1802, cc. 207-209.
(3) Biblioteca Federiciana, Manoscritti Federici, b.267, n. 11.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.1999
    Ultima modifica: 21.06.2009

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