Carnevale, feste, tradizioni e lavoro
Usanze, tradizioni, credenze, superstizioni e medicina popolare nella campagna di Fano
Il mangiare durante il lavoro nei campi
Durante la mietitura era usanza fare una pausa per la merenda costituita da panettone e bianchello messo in fresco nel pozzo, aromatizzato con fette di limone appena spiccato da una delle piante in vaso ("limonata").
Anche la colazione durante l'aratura, costituita da frittata di cipolle o stoccafisso in umido, veniva consumata nel campo presso le vacche aggiogate.
La massaia che arrivava con la canestra dei viveri, portata sulla testa sopra il cercine ("croia") veniva accolta con lo stornello:
"Cantàn 'na cansuncina lesta lesta:
ariva la padrona sa la canestra!".
La porchetta
Un tempo la porchetta veniva occasionalmente preparata da qualche contadino di lunga esperienza e cotta nel forno del pane. Non si usava un maiale adulto per fare due rotoli di porchetta, secondo l'uso ormai invalso, ma un solo maiale giovane che veniva sapientemente speziato e farcito con le frattaglie bollite. Siccome la porchetta va mangiata appena sfornata, calda e croccante, veniva "sgaggiata", cioè gridata da un giovanotto che saliva sulla cima di uno degli olmi più alti e gridava in tutte le direzioni, come un muezzin dal minareto, "E' cotta...!"
Il pane
Il cibo, come "Grazia di Dio", veniva considerato con rispetto; al pane era attribuito un senso di sacralità speciale. Non doveva essere sprecato nè gettato fra i rifiuti; il pane secco serviva per alimentare i polli o il maiale.
Alcune mamme pretendevano dai figli che raccogliessero le briciole cadute dal tavolo e le baciassero per riparare la colpa di averle lasciate cadere.
Sulla pagnotta di pasta cruda schiacciata entro un piatto, e destinata a servire da fermento naturale per la successiva infornata di pane, veniva incisa una croce con la lama di un coltello; poi su ciascuno dei quattro spicchi veniva impresso un cerchio con l'occhiello della radimadia ("radmatra") di ferro.
Acqua e fuoco
La purezza delle acque dei fossi e delle pozze era tutelata da un radicato tabù ancestrale; anche al fuoco era dovuto un rispetto di natura sacrale:
"Chi piscia tl'aqua e sputa tel foc Dio i dà loc!"
(...Dio gli dà luogo, cioè lo manda all'inferno).
Il matrimonio
Fino al primo dopoguerra la funzione del sensale di matrimoni era tenuta in notevole considerazione. "Fare da ruffiano" a qualcuno non aveva nulla di disdicevole. Lo si diceva con serietà e senza imbarazzo. C'era chi lo faceva. per cortesia o come opera buona; c 'era chi lo faceva in modo più professionale, attendendosi qualche riconoscimento: tradizionalmente il regalo di una camicia gialla. Col passare degli anni la costumanza cadde in desuetudine tanto che a chi indossava casualmente una camicia gialla si diceva scherzosamente: "A chi hai fatto da ruffiano?".
I bambini
A un bambino che compiva gli anni non si faceva la festa di compleanno; ci si limitava a tirargli le orecchie in alto, quasi per aiutarlo a crescere.
Un dentino caduto veniva lasciato in un angolo; un topolino veniva a prenderlo e lasciava una moneta (così si faceva credere ai bambini che perdevano i denti).
"Vuoi vedere Roma?", si chiedeva a un bambino, sollecitando la sua curiosità. Se il bambino accettava l'invito, l'adulto lo sollevava tenendogli la testa fra le mani. La decadenza di questa usanza è probabilmente da imputare al timore che il gioco potesse causare qualche danno all'epistrofeo del bambino.
A un bambino che avesse preso paura, si faceva bere un bicchiere d'acqua. In caso di forte spavento lo si portava in chiesa affinché il sacerdote lo sottoponesse alla "lettura del vangelo", cioè all'ascolto dl una speciale preghiera, col rischio che si spaventasse ancora di più.
Inghiaiatura delle strade
Fino agli anni successivi alla seconda guerra mondiale all'inghiaiatura annuale delle strade maestre dovevano provvedere i contadini, usando vacche, birocci, pale.
Lavori a cottimo
Un'usanza di origine antichissima, destinata ad estinguersi col tramonto della civiltà contadina era quella del cottimo, inteso come compenso forfettario in natura per prestazioni d'opera artigianali. Il contratto di cottimo veniva concordato fra un contadino e gli artigiani o professionisti di cui aveva bisogno in modo abbastanza continuo: il fabbro, il sarto, il calzolaio, il veterinario, il flebotomo, la levatrice e, talvolta, anche il becchino. Il compenso consisteva solitamente in grano, a volte anche in granoturco, uva e altri prodotti del podere.
Regali al proprietario
Al proprietario del podere il mezzadro doveva spesso prestazioni dl manodopera e primizie del podere. Secondo le dimensioni del podere erano obbligatori uno o più paia dl capponi per Natale e un certo numero di "pollastre di ferragosto", polli novelli particolarmente delicati.
Pesi e misure
Nel periodo fra le due guerre erano ancora in uso, talvolta solo nel nome, misure non decimali di antica origine.
Il grano veniva misurato a quintali, ma il granoturco veniva ancora misurato a "copponi" (recipiente cilindrico basso corrispondente a poco più dì mezzo quintale). Era inoltre conosciuta la "coppa", più piccola del coppone (confronta l'espressione "Mangiare una coppa di sale", per dire "rodersi il fegato") e la "provenda" più piccola della coppa (le due misure erano unite in un recipiente di legno di forma tronco conica che poteva essere capovolto per usare l'una o l'altra misura).
La "soma" (da cui "somaro") era usata come unità di misura per i fasci di canne e di vinchi; ma si usava anche come misura di capacità delle botti da vino e corrispondeva a una quantità superiore all'ettolitro.
La "canna", corrispondente a due metri lineari, si usava per misurare la lunghezza del lavori di scasso per i filari.
Si usava la "libbra" per indicare mezzo chilo o un terzo di chilo; mentre l' "oncia" era usata esclusivamente per misurare il seme dei bachi da seta.
Come misura agraria erano usati sia l'ettaro che la "tavola" corrispondente a 1000 metri quadrati.
Spaventapasseri
Lo spaventapasseri, costruito con due bastoni in croce imbottiti di paglia e vestito con abiti stracciati e con un cappellaccio, era chiamato "el pup del canapar", perché di preferenza veniva collocato nei campi di canapa che attiravano uccelli di varie specie con i loro semi inebrianti.
Animali
Le rondini, a parte il caso raro di un cacciatore frustrato che le prendeva a fucilate, erano generalmente tollerate e rispettate.
Fra gli insetti godevano di particolare benevolenza le coccinelle dette "mariole" o"mariuole" (cfr. lo spagnolo "mariposa", per farfalla).
I ragazzi si divertivano a posarle su una mano e a farle volare recitando la formula magica:
" Mariola, mariola chi t'ha fat la camiciola?
Me l'ha fata mama mia.
Mariola vola via!"
Questo rispetto per le coccinelle e il gioco di farle volare sembra che siano diffusi fra i bambini di vari paesi, come dimostra la seguente "incantation" inglese:
"Ladybird, Ladybird, fly away home:
your house is on fire and your children all gone.."
"Uccello della Madonna, vola via a casa, la tua dimora è in fiamme e i tuoi figli sono scappati.."
Altri insetti, per esempio i grassi grilli che avevano le tane fra le zolle di terra da cui spuntavano le piantine del granoturco, non godevano di simili riguardi. Ai bambini che ne catturavano uno gli adulti suggerivano malvagiamente: "Mettigli una paglia nel culo e mandalo al mulino alla Cerbara!". La malcapitata bestiola con la pagliuzza infilata nell'addome doveva avere ben altre preoccupazioni che quella di mettersi in cammino per la Cerbara, sull'altra sponda del fiume.
I martarelli (puzzole), detti anche gatpùs (gattipuzzi) facevano spesso stragi nei pollai.
Per avere la dispensa a portata di mano scavavano la tana alla base delle cataste costruite con le fascine dei tralci delle viti; qui mettevano su famiglia. Durante la notte facevano scorrerie anche nei pollai del vicinato, senza far rumore e senza lasciare traccia, salvo qualche raro escremento; divoravano le vittime nella tana e lasciavano le loro penne e le zampe sotto le fascine. Quando i contadini se ne accorgevano disfacevano le cataste e fucilavano spietatamente gli adulti e i giovani, attenti a non farsi spruzzare dal loro liquido fetido. Qualcuno talvolta ne catturava uno vivo per la "cerca", cioè per portarlo in giro di casa in casa, legato per il collo alla stanga di un carrettino, a chiedere qualche regalo (uova, salumi) in considerazione dell'utilità che la cattura dell'animale aveva per tutti i possessori di polli. La bestiola schizzava come una molla dal suolo al carretto nell'inutile tentativo dl liberarsi.
Arcobaleno
L'arcobaleno ha da sempre attirato l'attenzione della gente di campagna. Dalla larghezza delle bande colorate (ritenuta variabile) i contadini traevano previsioni sui raccolti convinti che a ogni colore corrispondesse un prodotto (rosso per il vino, verde per l'olio, giallo per il grano).
Secondo la tradizione, scavando nei punti dove poggiavano le estremità dell'arcobaleno si sarebbe trovato un tesoro. Non risulta che qualcuno abbia fatto la prova, probabilmente per la difficoltà di recarsi sul posto abbastanza velocemente per arrivare prima che l'arcobaleno sparisse (e anche per stabilire con esattezza il punto d'appoggio dell'arcobaleno).
Temporali e fulmini
Il modo migliore per prevenire un temporale minaccioso o per arrestarne gli effetti devastanti era considerato quello di gettare sull'aia la catena di grossi anelli fuligginosi sfilata dalla cappa del camino.
I contadini delle pianure del Metauro e del Cesano a volte rinvenivano nei campi punte di freccia del neolitico: la convinzione generale era che si trattasse di "pietre del fulmine", cioè delle punte dure delle saette.
Come avrebbero le saette potuto spaccare tronchi di alberi e grossi rami?
I fantaccini della prima guerra mondiale, secondo un usanza che risale ai romani, portavano indosso come amuleto le pietre del fulmine ritenute capaci di deviare le pallottole austriache.
Pane e olio benedetti
In occasione della festa del santo patrono di Cuccurano, San Biagio ("dalla gola d'oro"), veniva benedetto un tozzo di pane o una boccetta d'olio d'oliva. Chi veniva colpito da mal di gola traeva giovamento dall'inghiottire qualche briciola del pane benedetto o dall'unzione della parte dolorante con l'olio benedetto.
Galline
Le uova messe a incubare sotto la chioccia, se si voleva che la covata andasse a buon fine, dovevano essere in numero dispari, cioè "di becco", come il becco dei pulcini (solitamente ventuno).
A un ragazzo che si mandava da un vicino a cambiare le uova normali con uova gallate si raccomandava di non annodare, al ritorno, i quattro capi della gluppa, per non strangolare i nascituri; guai anche a fermarsi a urinare per evitare che le uova riuscissero "chiare".
Anche durante la cova le uova correvano rischi: un topo che vi camminasse sopra, in assenza momentanea della chioccia, poteva farle diventare "chiare".
Nelle vicinanze della cova si raccomandava di non far rumore: un rumore forte e improvviso avrebbe potuto uccidere i pulcino all'interno delle uova.
Una gallina che un bel giorno si metteva a "cantare da gallo" era considerato di cattivo auspicio: preannunciava la morte del capoccia. Per salvare la vita al capoccia occorreva affrettarsi a tirare il collo a quella menagrama (cucinandola normalmente).
A una gallina che mostrava di essere indisposta veniva tolta la pipita (una scaglietta che le galline possiedono sotto la punta della lingua): alcune massaie lo consideravano un rimedio infallibile.
Nidi di uccelli
Chi trovava un nido di uccellini non doveva indicare il posto ad altri raccontandolo in casa o stando sotto un tetto: In caso contrario la biscia si sarebbe recata nel nido e avrebbe mangiato le uova o i nidiacei.
Chi avesse inavvertitamente violato tale regola poteva comunque rimediare recitando immediatamente l'apposita formula di scongiuro:
"Biscia, biscia brigulata,
en anda' a la mi cuvata:
c'è una falce 'ruginita che te taja, che te trita.
Te tritasa tut i dent, te chiapasa 'n acident!".
Mucche
Una mucca alla quale veniva sottratto il vitello per essere portato al mercato, lanciava per più giorni muggiti strazianti. Qualcuno credeva di conoscere il rimedio per aiutare la povera bestia a dimenticare più rapidamente il figlio: mescolarle al foraggio un ciuffo di peli strappati al vitello prima della vendita.
Insetti nocivi
Contro eccezionali proliferazioni di topi e di insetti infestanti i contadini erano indifesi. Non avevano altro mezzo che chiedere al parroco di "condannarli", cioè di recitare apposite preghiere per sollecitare gli sgraditi ospiti ad allontanarsi (nel medioevo le condanne venivano emesse a conclusione di "regolari" processi).
Superstizioni varie
Gli animali sani e ben pasciuti potevano essere facilmente colpiti dal malocchio e ammalarsi: bastava che un visitatore, anche involontariamente, ne lodasse la bellezza per complimentarsi col padrone. A scopo scaramantico si applicavano agli animali fettuccine o fili di lana rossi.
Un bambino che tentasse di cavalcare un cane veniva redarguito: il gesto poteva essere causa di mal caduco.
Ai bambini piccoli si mettevano braccialetti rossi o catenelle con coralli per proteggerli dall'invidia, dal malocchio e dalle fatture.
Era sconsigliato fortemente di scavalcare un bambino seduto o sdraiato; altrimenti non sarebbe cresciuto più.
Quando il tronco di un noce raggiungeva il diametro della testa di chi aveva interrato la noce, costui moriva. Pertanto l'incarico di seminare noci veniva generalmente affidato persone avanti con gli anni...
Bisognava evitare di imitare, anche involontariamente, i gesti di un handicappato ("infelice"), per non diventare come lui.
Previsione del sesso del nascituro
Durante un pranzo a base di pollo ruspante, spesso chi trovava l'osso a forcella del volatile, sormontato da una cresta ossea piatta, scommetteva con un commensale vicino sul sesso del bambino che una donna dei dintorni avrebbe partorito. Lo scommettitore teneva uno dei rebbi della forcella fra l'indice e il pollice, mentre il commensale tirava l'altro rebbio. Se la forcella si rompeva lasciando fra le dita dello scommettitore solo l'osso senza la cresta sarebbe nato un maschio; mentre sarebbe nata una femmina se gli fosse rimasto fra le dita l'osso con la cresta (la cesta che le donne erano destinate a portare in testa).
Medicina popolareTosse
La cura sintomatica della tosse era affidata alle pastiglie Valda o alle pastiglie di zucchero d'orzo. Per una cura sistematica e risolutiva si ricorreva al mattone caldo, cioè a un comune mattone scaldato al fuoco dell'arola, avvolto in uno straccio e in una maglia di lana, che veniva tenuto sul petto al momento di andare a letto. Il calore si affievoliva a poco a poco, ma durava per quasi tutta la notte. L'efficacia della cura raddoppiava se si metteva un secondo mattone dietro la schiena.
Raffreddore
La migliore cura per il raffreddore era considerato il vin brulè che doveva essere bevuto, ai primi sintomi, la sera prima di coricarsi. Il vin brulè si preparava facendo bollire vino rosso con scorza di limone, chiodi di garofano e zucchero.
Mal di gola
Un metodo di cura consisteva nel massaggio praticato da un esperto, col pollice, fra il polso e l'inizio dell'avambraccio, dalla parte del pollice. Il massaggio doveva servire per sciogliere il malloppo di tendini che scavalcava l'osso dell'avambraccio, ritenuto, per qualche misteriosa ragione, la causa del mal di gola.
Infiammazioni ed ematomi
Un rimedio rapido e sicuro per far sparire un bernoccolo era quello di applicarvi sopra del pane masticato ben impastato e schiacciato, fasciando poi la parte con un fazzoletto. Un'infiammazione cutanea veniva curata con un empiastro (cataplasma) di germogli e foglie di malva, fatti bollire e applicati sulla parte. L'empiastro veniva mantenuto al suo posto con una fasciatura, e tenuto per qualche giorno.
Largo uso trovavano gli empiastri fatti con semi di lino, interi o macinati, fatti bollire a lungo.
Foruncoli
I grossi foruncoli che affliggevano spesso soprattutto i ragazzi dovevano arrivare a suppurazione ("venire a capo"). Per favorire la suppurazione dei foruncoli ("crescioi"), o anche di piccole ferite infettate, si applicava sulla parte uno strato di "grascia" (lardo sottile stagionato) e poi si fasciava.
L'effetto emolliente si poteva ottenere anche mediante un empiastro di malva o mediante una foglia di un'erba particolare che si applicava sul foruncolo dopo averla fittamente segnata coi denti.
Stitichezza
Una buona zuppa di germogli di malva condita solo con olio e sale era, ed è tuttora, la medicina più adatta per l'irritazione dello stomaco e il lassativo più raccomandato per stimolare un intestino pigro. Anche chi non la gradiva la sopportava pur di evitare rimedi più drastici come la purga o il clistere. Quando la malva era reperibile, per i clisteri si usava l'acqua di cottura; negli altri casi si usava acqua saponata fatta col sapone verde da bucato.
Al purgante si ricorreva in casi estremi; al sale inglese si preferiva l'olio di ricino "corretto" con un dito di rosolio che galleggiava sopra l'olio, con l'illusione di rendere il purgante meno rivoltante.
Debolezza e mancamenti
A una persona che sveniva (o "gli si faceva fastidio") si faceva annusare l'aceto per farla rinvenire. A chi si lamentava di sentirsi momentaneamente debole o stanco si frizionavano le braccia o le gambe con vino.
Inappetenza
Una cura a base di olio di fegato di merluzzo veniva spesso prescritta dai medici come ricostituente o nei casi di inappetenza, di gracilità, di ritardo di sviluppo. Marsala all'uovo e Ferrochina Bisleri erano considerati rimedi efficaci per l'anemia e per l'inappetenza.
Anemia
La gracilità e il pallore dei ragazzi, più che a una dieta povera di proteine, venivano generalmente attribuiti da medici e da profani a carenza di ferro. La cura classica, spesso autoprescritta, erano i Glomeruli Ruggeri preparati da una farmacia di Pesaro: si trattava di palline di una sostanza scura dal vago sapore di liquirizia, imbiancate con amido in polvere.
Non sembra che l'efficacia del farmaco sia mai stata verificata.
Carenza di calcio
Il rimedio migliore per rifornire l'organismo di calcio, una volta diagnosticata sommariamente la carenza, era una cura a base di zabaione preparato con uova tenute a bagno nel succo di limone per far sciogliere i gusci.
Cura di bellezza
Le ultime pagnotte di pane di un'infornata, col tempo umido tendevano ad ammuffire; ma non doveva andare sprecato, si doveva mangiare ugualmente.
Per incoraggiare i ragazzi a mangiarlo, gli adulti dicevano che il pane ammuffito fa diventare belli. Era un'intuizione che la muffa del pane conteneva penicillina?
Infezione
L'esperienza insegnava che le ferite sporche di terra o di letame esponevano a seri rischi d'infezione. Perciò si ammonivano i ragazzi a non ferirsi con oggetti "velenosi", cioè portatori di tetano, come le canne o i forconi del letame.
Per disinfettare punture o piccoli tagli, in mancanza di alcol, si usava il vino o l'aceto o l'orina (sempre disponibile). Si faceva invece poca attenzione alle possibilità di contagio orale, bevendo, per esempio, nel bicchiere dove aveva bevuto un altro (era un modo, si diceva, per "bere le sue bellezze").
Pressione alta
La pressione alta e altri malanni di cui era difficile la diagnosi e sconosciuta la terapia si curavano col salasso, praticato solitamente per mezzo di sanguisughe (o mignatte) che si acquistavano in farmacia e si applicavano sulla pelle.
Mal d'orecchi
Il mal d'orecchi si curava con qualche goccia d'olio d'oliva tiepido versato nel foro uditivo o su un batuffolo di cotone.
Malattie degli occhi
Per le affezioni degli occhi la prescrizione era: niente, cioè nessuna medicina. Correva infatti il detto: "Niente" fa bene per gli occhi (e male per la bocca).
Svezzamento
Secondo una prassi di origine remota, nel periodo dello svezzamento, i bambini venivano talvolta alimentati con cibo ben masticato dalla madre o dal padre, per abituarli gradatamente all'alimentazione solida. Durante l'operazione il soggetto veniva tenuto sulle ginocchia dell'adulto a pancia in giù, per non fargli andare di traverso il cibo. Così ebbe inizio l'industria degli omogeneizzati.
Cura dello spavento
Per far riavere un ragazzo dopo un forte spavento, normalmente gli si faceva bere un bicchiere d'acqua. Per i casi più gravi si ricorreva alla "lettura del Vangelo": si portava l'interessato in chiesa per fargli ascoltare un'apposita preghiera recitata dal parroco. Solitamente l'effetto della cerimonia era quello di aumentare l'angoscia del malcapitato.
Lombaggini e dolori reumatici
Sciatiche, dolori reumatici e artritici si curavano applicando sulla pelle un cerotto Bertelli. Si consideravano molto efficaci anche i massaggi col Lenimento Sloann che scaldavano la pelle fino a farla scottare; il medicamento veniva talvolta procurato tramite parenti emigrati negli Stati Uniti. Qualcuno aveva fiducia nelle punture delle api alle quali si sottoponeva stoicamente. Un rimedio di efficacia più opinabile erano le "coppette". Le coppette si praticavano accendendo una candelina fissata a un soldone con l'effigie del "re galantuomo", posata sulla parte dolorante e poi coperta con un bicchiere capovolto. La depressione che si veniva a creare all'interno del bicchiere una volta spenta la candelina risucchiava la pelle all'interno del bicchiere, facendo uscire, così si credeva, il male.
Distorsioni e lussazioni
I dolori causati da distorsioni e lussazioni si credeva di poterli lenire segnando croci sulla parte dolorante mediante l'"ugnella", e recitando una preghiera. L'ugnella era un' unghia rinsecchita strappata a un vitello nato morto prima che toccasse terra: solo a queste condizioni acquistava la sua speciale virtù. I pochi fortunati che ne possedevano una la prestavano alla gente del vicinato.
Nei casi più seri di slogature o di fratture leggere di un arto, si immobilizzava la parte con una sorta di ingessatura fatta con stoppa impregnata con chiara d'uovo che, ascugando, si trasformava in una corazza abbastanza rigida. Le ingessature vere e proprie venivano praticate negli ospedali solo in caso di fratture gravi.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.2001
Ultima modifica: 16.11.2014
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