Carnevale, feste, tradizioni e lavoroCarnevale, feste, tradizioni e lavoro

Bibliografia sulla pesca in mare (aggiornata al 1998)

Il fornaio e la panificazione in casa

Il fornaciaio e la Fornace Panicali a Fano


Uno dei lavori più pesanti, se non il più pesante di tutti, fu quello del fornaciaio (fino a 40 anni fa), perché oggi le macchine l’hanno reso un mestiere come tanti altri.
Durante i mesi freddi lavorava con vanga, piccone, pala e carriola a preparare la terra per fare i mattoni durante la buona stagione.
A primavera iniziava la massacrante stagione delle lunghe giornate, dall’alba al tramonto.
C’erano i mattonieri, i carriolanti, i fochisti.
Il mattoniere con la carriola portava la terra nella sua aia; attingeva l’acqua da una pozza con grossi bidoni e faceva l’impasto affinando la creta con una pesante verga di ferro ed una zappa dal lungo manico. Poi sopra un banco di legno “stampava” i mattoni in forme diverse.
I mattoni asciugati al sole li trasportava ad essiccare in apposite “gricce”. Allora interveniva il carriolante che, nella sua pesante carriola di legno, ne trasportava 40-50 alla volta, (circa 2 quintali) fino al forno.
Dopo sette giorni di fuoco, altri carriolanti prendevano con le mani i mattoni ancora quasi ardenti e li trasportavano all’esterno della fornace.
Sopra i forni, in apposite bocchette, il fuochista versava ogni mezz’ora una conca di carbone.
Il fornaciaio mangiava sul posto di lavoro cibi in tegamini portati nella “glupa” da casa; per solito pane, verdure, formaggio, salumi; beveva abbondantemente vino.
Lavorava non meno di dodici ore al giorno. La paga era molto modesta, doveva integrarla con i prodotti del suo orticello e allevando animali da cortile (galline, conigli, anatre).

LA FORNACE PANICALI

Nel 1961 venne abbattuta, in via della Fornace sul luogo dove ora sorgono le autorimesse e i magazzini della Ditta Vitali, la fornace laterizi Panicali, già Castracane, che fu costruita nel secolo passato, dalla quale prese il nome l'attuale via (1).
Il grande fabbricato a colonne era sormontato da una ciminiera alta circa 60 metri. Al centro vi erano vasti capannoni, in parte adibiti alla essicazione e deposito dei mattoni prima della cottura, il forno dalla forma ovale era alto circa quattro metri.
Il forno, che funzionava a carbon fossile, era diviso in compartimenti o camere, ciascuno con propria entrata dall'esterno. Il fuoco passava da una camera all'altra e faceva il giro del forno rimuovendo gli appositi divisori ed azionando le valvole del tiraggio ubicate nella parte superiore del forno stesso, ove erano anche le bocchette per l'alimentazione del fuoco. I mattoni da cuocere si accatastavano secondo un previsto sistema in una camera che poi veniva chiusa, e dalla parte opposta del forno si estraevano i laterizi cotti.
Il ciclo della cottura aveva la durata da quattro a sette giorni di fuoco a seconda del tipo di laterizio infornato.
Vi erano due fochisti che si davano il cambio nelle 24 ore della giornata. Il compito del fochista era molto importante: egli versando il carbone nel forno, dopo avere sollevato il coperchio metallico dalle bocchette, doveva alimentare il fuoco in modo da far prendere la giusta cottura ai diversi tipi di laterizio e da evitare le "colature", cioè la fusione dell'argilla, o la scarsa cottura.
Il forno aveva la capienza totale di 90 mila mattoni. In un'annata se ne producevano, secondo la stagione, dai tre ai quattro milioni, tutti fatti a mano. Vi lavoravano dai 50 ai 60 operai. Nei mesi freddi preparavano, in pochi operai, la terra per la buona stagione.
Fino verso il 1930 ogni tipo di laterizio veniva fatto a mano. In quell'anno ci fu, dopo un periodo stagnante, una grande richiesta di materiale edilizio a causa del terremoto che colpì anche la nostra città.
La prima macchina che venne introdotta nella fornace per produrre mattoni funzionava con la terra completamente asciutta, ma ebbe poca fortuna, perchè il materiale, dopo una prima euforia, si rilevò di scarsa consistenza. Negli anni Trenta iniziò la sua attività anche un vasaio che si serviva del medesimo forno per la cottura del vasellame. Ma per la stravaganza del carattere il suo lavoro ebbe breve durata.

Da: “La vecchia Fano”, AMADUZZI, 1981

LA FORNACE A FUOCO CONTINUO DELLA TRAVE A FANO

Fano 17 Dicembre 1880.

Chi viene da Fossombrone alla sinistra della via Nazionale vede un lungo cammino che si slancia verso il Cielo: la curiosità lo spinge a domandare a quale opificio appartenga perché trattasi di cosa nuova e a Fano di cose nuove non se ne vedono tutti i giorni. Apprende allora, che là in mezzo a quella pianura ricchissima di vegetazione a due passi dal nuovo Convento di capuccini, che si sta fabbricando, stranissima antitesi, sorge una fornace a fuoco continuo.

Due signori del paese, il Conte Leonardo Castracane, ed il Conte Randolo Gabrielli uniti come soci capitalisti al Sig. Vincenzo Pasqualis, socio d' industria, hanno fatta costruire questa fornace con un sistema che non è precisamente il sistema Hofmann, essendovi state arrecate considerevoli ed utili modifìcazioni per suggerimento del bravo Direttore Tecnico il Sig. Cesare Gardelli d'Imola. La distanza dal paese è appena di un chilometro: e vi scorre in prossimità il torrente Arzilla, le cui acque sollevate da pompe vengono condotte a' vari punti del fabbricato, secondo il bisogno.

La terra è eccellente: contenendo un carbonato di calce della natura di quelli dei cementi idraulici, che produce l'effetto di aumentare la durezza dei materiali esposti all' intemperie. Ve ne ha in grande abbondanza, e però la fabbrica potrà lavorare moltissimi anni.

I forni vennero accesi da pochi giorni, e sebbene non sieno ancora stati confezionati che materiali per uso comune, pure è già da segnalarsi un mattone, detto tozzotto, che a Fano non si adoperava, e che per il suo spessore offre ai costruttori il vantaggio di potere economizzare nelle spese di cemento e mano d'opera.

Attualmente lavorano in questo opificio oltre 60 persone: fra qualche mese potranno esservi ricevuti anche cento operai, senza contare gli addetti ai trasporti. L'utile dunque per la città non è lieve. E se ne intende tanto di più l' importanza, se si considera, che la importazione del combustibile, e l'esportazione dei materiali aprirà un'altra sorgente di guadagno ai nostri marinai, e che mentre per il passato la mancanza di mattoni costringeva molti a sospendere nell' inverno le fabbriche con grave danno degli operaj, questo inconveniente d'ora innanzi non si verificherà più.

Da: “L’Adriatico” n.64 del 22-12-1880.

A Orciano di Pesaro, dove era attiva una fornace, è stato aperto nel 2009 un museo sulla fabbricazione di corde e mattoni.

NOTE

(1) da "Il Resto del Carlino" del 17-3-1961 si apprende dell'abbattimento della ciminiera, mentre la demolizione dell'opificio era avvenuta qualche mese prima. Alla fornace vengono attribuiti 106 anni di vita.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 04.12.2004
    Ultima modifica: 20.03.2010

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