Geologia e clima
Particolari della successione Plio-Pleistocenica
Il passaggio Plio-Pleistocene ad Orciano di Pesaro
Alla periferia di Orciano di Pesaro si incontra una cava ormai dismessa che verso il 1950 forniva la materia prima alla vicina fornace per la produzione di laterizi. L'interesse per questo sito deriva dal fatto che l'intervallo stratigrafico affiorante in corrispondenza dell'antico fronte di cava contiene il passaggio tra Pliocene e Pleistocene, ovvero l'inizio dell'era quaternaria.
La successione di seguito descritta è stata ricostruita correlando, per uno spessore complessivo di 175 m, i diversi "spezzoni" di affioramento, di estensione e spessore variabili, che ancora si possono osservare in più punti nell'area della fornace. L'originaria continuità dell'esposizione, infatti, si è lentamente andata perdendo quando l'interruzione del ciclo produttivo e la conseguente sospensione nell'estrazione della materia prima hanno dato modo alla vegetazione, in diversi settori del fronte di cava, di riprendere lentamente possesso della roccia denudata, specie in corrispondenza delle litologie argillose, che, per la loro minor competenza, sono più facilmente aggredite dai processi di degradazione superficiale.
La porzione stratigraficamente più bassa dell'affioramento è costituita da un intervallo di argille marnose e siltose grigio-azzurre cui si intercalano a varie altezze lamine sabbiose ocracee di spessore millimetrico e rari orizzonti costituiti da frustoli vegetali carbonificati dello spessore massimo di 2 mm. La successione stratigrafica prosegue con argille marnose con frequenti intercalazioni di livelli sabbiosi e sabbioso-siltosi, generalmente ocracei; in questo intervallo sono comuni resti fossili di malacofauna, che il dilavamento superficiale, grazie alla loro maggior durezza, fa risaltare dalla roccia incassante. Segue un intervallo di argille marnose e siltose, laminate, dalla classica frattura a saponetta, caratterizzate da intercalazioni millimetriche di sabbia fine e silt. Affiorano quindi alternanze di argille, in strati da molto sottili a spessi, e strati medi, spessi e molto spessi di sabbie ben cementate a grana media o grossolana. La successione si chiude con due imponenti corpi di arenarie massive a grana grossolana, potenti rispettivamente 10 e 15 m, separati da un intervallo di argille marnose.
Queste arenarie, assai cementate, sono costituite da strati amalgamati spessi e molto spessi a evidente geometria lenticolare (canalizzazioni), con chiusure e variazioni laterali piuttosto rapide. All'interno delle arenarie si intravedono segni di laminazioni piano-parallele e ondulate. Sono presenti alla base del primo corpo numerosi cogoli, mentre all'interno del banco arenaceo più elevato le superfici di amalgamazione sono messe in risalto dalla presenza di inclusi pelitici di dimensioni contenute. I meccanismi deposizionali potrebbero essere connessi con flussi gravitativi anche se mancano alcuni dei caratteri distintivi di tali depositi.
Il limite Plio-Pleistocene viene posto all'interno delle argille che affiorano pochi metri al di sotto dei primi livelli arenacei.
La successione pliocenica del F. Metauro a Bellocchi
È possibile osservare questa esposizione naturale lungo il corso del Fiume Metauro a 6 km dalla foce (Comune di Fano), all'altezza del frantoio per inerti ubicato alle spalle della zona industriale di Bellocchi. Gli strati affiorano in corrispondenza delle ripe d'erosione fluviale che costituiscono gli argini naturali del fiume stesso. L'affioramento inizia immediatamente a valle della briglia che si incontra alla confluenza con il Fosso di S. Angelo e si sviluppa in direzione della foce per una estensione lineare complessiva di circa un chilometro, ricostruibile correlando vari spezzoni di successione posti sia in riva destra che in riva sinistra del Metauro. Tuttavia, data la debole inclinazione degli strati, l'effettivo spessore della successione esposta non supera i 170 m. L'intero intervallo stratigrafico è stato attribuito, sulla base di determinazioni micropaleontologiche, al Pliocene superiore.
I primi 35 m della successione sono rappresentati da un'alternanza ritmica di strati arenaceo-siltosi di colore giallo ocra, rossastri all'alterazione, e strati argilloso-marnosi di colore grigio chiaro, con un rapporto sabbia/pelite di circa 1 a 2. Si tratta di sedimenti deposti ad opera di correnti di torbida diluite, indicative di un ambiente lontano dal punto di immissione dei clasti nel bacino e caratterizzato da bassa energia. Seguono circa 40 metri di sequenza in cui si osserva una forte diminuzione del rapporto sabbia/pelite che raggiunge il valore di 1 a 20, ovvero dieci volte più piccolo. Gli strati argillosi divengono predominanti in questo secondo intervallo deposizionale, con uno spessore che oscilla tra 20 e 200 cm. Sono comuni i macrofossili. La diminuzione della frazione clastica più grossolana corrisponde anche a una variazione nei meccanismi deposizionali: dalla rapida sedimentazione di tipo intermittente che caratterizzava l'intervallo basale si passa infatti ad una sedimentazione più lenta ma continua nel tempo. In queste condizioni di diminuito tasso di sedimentazione gli organismi limivori possono svilupparsi e colonizzare i fondali fangosi. La bioturbazione che la loro azione di rielaborazione del sedimento produce caratterizza le argille di questo intervallo, che appaiono come omogeneizzate: si tratta di bioturbazione di tipo verticale ed è in prevalenza costituita da domichnia, tane che venivano costantemente adeguate all'interfaccia deposizionale man mano che il sedimento vi si accumulava. Questo porzione della successione stratigrafica termina con un intervallo dello spessore di circa quattro metri caratterizzato da bioturbazioni di forma tubolare di dimensioni particolarmente rilevanti che si sviluppano perpendicolarmente agli strati (e che quindi erano verticali al tempo della deposizione) per alcuni metri di profondità e con un diametro di 15-20 cm.
Da questo punto in avanti la sedimentazione, pur rimanendo litologicamente sempre di tipo argilloso, diviene massiva, priva o quasi, cioè, di qualsiasi traccia di stratificazione. Anche la bioturbazione diffusa degli strati sottostanti diminuisce in maniera significativa. Le argille di questo intervallo assumono un aspetto compatto e una consistenza maggiormente plastica, con un intenso colore grigio-azzurro nel taglio fresco che diviene grigio-chiaro sulle superfici esposte ai processi di degradazione superficiale. All'interno di questo intervallo, che si sviluppa fino al termine dell'affioramento, per uno spessore di quasi un centinaio di metri, si intercalano almeno quattro eventi deposizionali dalle caratteristiche del tutto differenti. Si tratta infatti di livelli diatomitici formati da lamine millimetriche di diatomiti alternate a lamine pelitiche; le lamine diatomitiche contengono numerosi fossili tra cui risultano predominanti le ittiofaune; si rinvengono inoltre resti di insetti e foglie. Gli intervalli diatomitici contengono anche resti fosfatici, bituminosi e di solfuri. La natura litologica di questi quattro orizzonti sembra indicare condizioni deposizionali di tipo anossico.
Nel suo insieme quest'ultimo intervallo stratigrafico è caratterizzato da un tasso di sedimentazione ancora più basso, con momentanee interruzioni degli apporti terrigeni in corrispondenza dei livelli anossici.
I ciottoli cristallini (o ciottoli poligenici) del Pliocene Inferiore
Nella regione costiera compresa tra i fiumi Tavollo e Cesano hanno grandissima diffusione depositi conglomeratici costituiti in abbondanza da frammenti di rocce eruttive e metamorfiche. Questi ciottoli, che praticamente non si rinvengono nell'entroterra a distanze superiori a 6-8 km dal mare, di norma compaiono nella loro giacitura primaria all'apice della serie regressiva del Pliocene inferiore, come, ad esempio, nei pressi di S. Costanzo, ma sono stati ripresi anche nella soprastante sequenza plio-pleistocenica nonché variamente ereditati entro i depositi alluvionali quaternari.
Si tratta di ciottoli di dimensioni considerevoli, anche superiori a 20 cm di diametro, associati a sabbia grossolana, costituiti dai seguenti tipi litologici: graniti, sieniti, dioriti, diabasi, gabbri olivinici, porfidi quarziferi, nefeliniti, gneiss, micascisti, filladi, quarziti, arenarie glauconitiche, calcari nummulitici, e ancora altre rocce sedimentarie.
Poiché rocce del genere non affiorano in posto né nella regione marchigiana né per un amplissimo raggio nelle regioni limitrofe, ma tipi litologici più o meno analoghi si trovano solo nelle Alpi, nella regione tosco-tirrenica e in quella dalmata, si pone il problema dell'origine di questi ciottoli. L'abbondanza e la dimensione di simili conglomerati fanno, infatti, escludere la possibilità di un trasporto dalle aree appena menzionate. Raimondo Selli, per giustificare la presenza di tali litologie, ipotizzò allora l'esistenza di un massiccio cristallino, oggi sommerso ma forse non ancora completamente sepolto, al largo delle coste marchigiane. Una simile ipotesi, per quanto non suffragata da evidenze dirette, avrebbe spiegato assai bene la distribuzione di questi depositi in vicinanza dell'attuale Adriatico, la loro particolare composizione, così diversa dagli altri conglomerati plio-pleistocenici, le notevoli dimensioni dei ciottoli, le quali dimostrano un'origine vicina, e infine la presenza di tipi litologici che non trovano dei corrispondenti nelle possibili regioni di provenienza precedentemente elencate.
La rena terebrante
Va a questo punto richiamato un altro elemento, sempre riportato dallo stesso Selli, riguardante il fatto che, dopo forti burrasche, su tratti di spiaggia compresi tra Cervia e Falconara, ma in particolare su quella pesarese e fanese, si rinviene a volte una sabbia rossiccia, nota sembra sin dai tempi di Plinio, denominata "rena terebrante".
Le principali differenze rispetto alla sabbia che comunemente si rinviene lungo i litorali sono date dalle maggiori dimensioni dei granuli e dalla notevole percentuale di granato, la cui abbondanza ne permise in passato l'utilizzo come abrasivo. La presenza di questo particolare deposito sembrerebbe avvalorare ulteriormente l'ipotesi dell'esistenza di un massiccio cristallino in qualche fondale del Mare Adriatico.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.1999
Ultima modifica: 02.08.2012




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