Itinerari
Il Cammino dei Monasteri - Da Monte Giove (Fano) a Fonte Avellana (Serra Sant'Abbondio)
Lunedì 4 luglio
Ė un gruppo composito quello che intraprende il "Cammino dei monasteri". Uomini e donne che a piedi, per 100 km verso l'Appennino, nei saliscendi delle dolci colline marchigiane, vogliono vedere, sentire, parlare, tacere, pensare, capire e mettere alla prova spirito e corpo. Una dozzina di persone assemblate dal passaparola ma anche dal tam tam mediatico che ha annullato le distanze.
Partenza da Fano, dall'eremo camaldolese di Monte Giove, da dove è partita l‟idea del cammino; in lontananza, si intuisce la meta alle falde del Monte Catria "di sotto al quale è consacrato un ermo / che suol esser disposto a sola latria": Fonte Avellana.
Qualcuno porta sulle spalle il bagaglio, proprio come facevano gli antichi pellegrini: lo porta il monaco, Maurizio, la guida spirituale che scandirà le giornate con le lodi, i vespri e le letture del Vangelo; e, anche in questo caso, l'abito non fa il monaco; lo porta Mario, il commerciante in gara con se stesso, deciso a dimostrare che il tempo non ha fiaccato le sue forze; lo vorrebbe fare Francesca, la giovane dottoressa che però cede alla tentazione; c'è il trasporto bagagli, uno zainetto basta e poi, quello che le serve è il camminare che l'ha sempre aiutata a prendere le decisioni più importanti; anche Pietro, la “guida terrena” che ha verificato il percorso in anteprima, porta solo l’essenziale. Per motivi logistici, le macchine con i bagagli saranno ogni volta portate a destinazione dagli autisti, uno dei quali tornerà indietro con a bordo gli altri per fare il percorso a piedi.
In marcia. Sole, silenzio, profumi, strade bianche, ogni tanto un'auto, un albero carico di fichi, chiacchiere, cicale, girasoli, la ricerca dell'ombra ristoratrice; una chiesetta tranquilla è il posto giusto per la prima lettura.
Le numerose case sparse nella campagna documentano un passato recente, quando la mezzadria pretendeva molte braccia per il duro lavoro dei campi; per il presente alcune di quelle con i restauri che non finiranno mai, secondo Luciana forse rappresentano un sogno infranto; colpa della crisi che anche qui ha colpito forte?
Dall'alto il panorama è bellissimo: l'azzurro del Mare Adriatico, il giallo del grano maturo e il verde della vegetazione spontanea che si sta riprendendo il posto "usurpato" dalle coltivazioni. Vegetazione come metafora: là dove è più intensa la presenza umana, sono tante le specie esotiche in associazioni continue e compatte, talora impenetrabili; inutile tentarne l'estirpazione, sono piante forti, tenaci, si adattano presto prendendo il posto di quelle autoctone. È sempre stato così e continuerà a essere così perché siamo tutti parte dello stesso mondo sempre più piccolo. E poi, alla fine, ognuna trova il suo spazio e convive con le altre; le piante originarie hanno meno competitori nei posti più remoti dove non c'è traccia, per ora, di acacie africane o ailanti cinesi.
E’ olandese la signora addetta all’accoglienza per la pausa di mezzogiorno; gestisce col marito italiano una bella azienda produttrice di vino e olio nelle campagna di Cartoceto; dice che anche sua madre si è innamorata di queste colline; è appena ripartita ma già vorrebbe ritornare indietro: le mancano il sole, il caldo, il modo di vivere tanto diverso da quello del nord. Altri suoi compatrioti hanno fatto la stessa scelta: amano starsene tranquilli, a prendere il sole, leggere e, se c’è una piscina, sono ancora più contenti.
"Qui a Monte Giano ha abitato la mia famiglia sfollata per la guerra", ricorda Augusto; il posto è incassato in una valletta, e poteva garantire una certa sicurezza dai bombardamenti; oggi è suggestivo per l'edera che avvolge i ruderi di un antico, piccolo castello. Pare che nel Settecento fosse un covo di briganti che "alleggerivano" i pellegrini diretti a Roma; a cavallo tra gli anni Sessanta – Settanta invece, nel periodo della contestazione giovanile, ospitava comunità di ragazzi convinti di cambiare il mondo; a piegarli però non fu la reazione ma l’inattesa fatica del duro lavoro agricolo.
Nel tardo Medioevo questa era una terra di confine dove si fronteggiavano i Malatesta e i Montefeltro che per difendere le loro terre fortificavano i borghi. Uno di quelli fortunatamente sfuggiti alla "valorizzazione" che ha stravolto la fascia costiera, è Pozzuolo, una trentina di residenti, tutto raccolto intorno alla sua chiesetta; si spera che con Internet possa tornare a nuova vita, come è successo per Bargni, distante un paio di chilometri, tutto restaurato e trasformato in un albergo diffuso; sono entrambi frazione di Serrungarina che sorge poco distante sulla cima di una collina; ai tempi dei Romani si stava al sicuro anche a fondovalle; le invasioni barbariche però costrinsero le popolazioni a cercare luoghi meglio difendibili e quindi, niente di meglio di quelli elevati, con in più solide di mura di cinta.
Martedì 5 luglio
Sono accoglienti le strutture agrituristiche; nei vecchi casali, spesso sapientemente ristrutturati e arredati, danno il meglio di se le padrone di casa che fanno di tutto per far apprezzare agli ospiti le marmellate, le torte, i biscotti, le piadine che nulla hanno a che vedere con i prodotti industriali. In pratica, l'ospitalità è affidata alle "mamme italiane", quelle che anche negli ospiti paganti vedono i propri figli che non mangiano mai abbastanza.
Il "nutrito gruppo" riparte; è diventato internazionale perché si è aggregata Angelika, una giovane tedesca; non parla l'italiano ma l'intesa è perfetta perché è una sportiva, è attrezzatissima, fa anche escursioni in mountain bike. Ci pensa comunque Raffaele a fare da interprete parlando in inglese; lui è il tipico “nuovo europeo": è laureato, ha viaggiato, si trova a suo agio in qualsiasi situazione; è vegetariano, ma non troppo.
Cicale e girasoli, brevi soste all'ombra, la brezza leggera asciuga il sudore; camminare non sempre è facile; si fatica anche, ma si procede, aspettando la retroguardia; quasi sempre è Massimo che rimane indietro.
La "Fonte del lupo" riunisce il gruppo; è un bel casolare in posizione elevata e panoramica, in buone condizioni, con uno spiazzo erboso che sembra fatto apposta per far riposare e mangiare qualcosa; ovviamente, ha una fontana ricca di acqua fresca. Pare che sia in vendita ma di compratori per ora non se ne vedono; il mercato è ristretto, sono pochi gli amanti del silenzio, della solitudine e degli animali selvatici.
Si scende verso il fondovalle, e poi si risale in direzione Isola del Piano che si vede in basso, tutta raccolta in una conca. La mafia è arrivata anche qui, aggredendo un corpo sostanzialmente sano che però ha saputo reagire. Il casolare è stato requisito e assegnato a "Libera", l'associazione che rimette in circolo i beni confiscati alla malavita creando lavoro per tante persone, anche nel settore dell'agricoltura biologica.
E questi posti sono la patria del biologico in cui per primo ha creduto Gino che più di quarant'anni fa, giovane sindaco, ha deciso di restare nella sua terra e investire tutto se stesso nella "vecchia" agricoltura, rifiutando quella più facile, fatta di pesticidi, diserbanti e concimi chimici. Gino non c'è più, ma la sua presenza si avverte nei campi coltivati con cura, nel monastero che lui ha saputo recuperare e far diventare un centro culturale ma soprattutto nella cooperativa che ora porta il suo nome, Girolomoni, erede di quella, Alce nero, che si è fatta apprezzare in tutto il mondo, da qualche tempo rilevata da una grande azienda che ha deciso di avviare una linea biologica.
L'appuntamento con le tagliatelle fatte in casa è per le 13 circa, ma il ritardo accumulato è notevole. Si arranca in salita e in discesa; il sole picchia forte; il gruppo è sgranato; Paola e Luciana si fermano all'ombra per prendere fiato; la fatica si fa sentire ma c’è l’orgoglio di chi, nel 1984, 1994, 2004 e 2014, ha fatto a piedi, a tappe come ora, la “Risalita del Metauro” per studiare la vita e la salute del fiume. Ripartono. Ecco finalmente la "Quercia bella", che dovrebbe essere a poca distanza dalla meta; è un vero gigante; ha almeno cinquecento anni ma è ancora in ottime condizioni; forse è nata prima della scoperta dell'America; viene voglia di abbracciarla, ma ci vorrebbero molte persone per cingerla tutta.
Tutto il contrario di quel cipresso, "alto e schietto", forse residuo di un "duplice filar" che un tempo doveva portare in qualche edificio che non c'è più; occupa pochissimo spazio, fa poca ombra alle coltivazioni e in fondo non dà fastidio perché il trattore lo evita facilmente. Ma che tristezza: sembra l'emblema della solitudine, così com'è isolato in mezzo a un campo di grano!
La meta è raggiunta, ma l'ora è tarda, praticamente quella del the delle cinque; meglio il vino bianco, fresco e leggero, il "Bianchello del Metauro", che sapienti vinificatori hanno saputo far uscire dall'anonimato. La cucina italiana è la migliore del mondo!
Canavaccio, frazione di Urbino, ricorda a tutti qual è la vita di tutti i giorni. Domani però si tornerà sui sentieri, i rumori saranno di nuovo il canto degli uccelli, le foglie mosse dal vento, l'acqua dei ruscelli. Anche la voce di quell'altro Mario, quello che canta e recita versi in italiano e latino.
Mercoledì 6 luglio
Pietro è anche una guida del CAI. Inflessibile nel far rispettare la tabella di marcia. Ci sono susine mature da raccogliere direttamente dall’albero cresciuto spontaneamente all’ingresso di una piccola casa forestale, Casa Campolino, fino a un paio d’anni fa gestita dall’associazione naturalistica Argonauta a cui appartengono i fanesi del gruppo; hanno tutto un altro sapore rispetto a quelle comprate al mercato. Niente da fare! Bisogna andare. Se ne arraffano alcune, un paio in bocca; è un piacere anche sputare l’osso per terra; magari germoglierà, proprio come è capitato per l’albero da cui proviene; i semi vengono diffusi anche dagli animali che però non li sputano.
Dietro la casa inizia un percorso natura; è in salita, segnato da tabelle descrittive delle specie vegetali presenti: carpini, roverelle, ornielli, ginestre, scotani e tante altre; il tempo ha reso però praticamente inservibili le tabelle che senza una manutenzione accurata e costante degradano facilmente.
Si sale verso i prati sommitali. Da lì, a circa 800 m di altitudine, la vista spazia lontano nel versante opposto della vallata dove in cima a un colle si vede Urbino e si intuiscono i famosi "Torricini" del palazzo ducale. Più in basso, molto più vicino, il Metauro e Fermignano; la zona industriale non è un bel vedere ma dà lavoro a molte persone e questo oggi conta più di tutto.
La lunga discesa è su strada sterrata in un bosco di conifere. A occhio i Pini dovrebbero avere una sessantina d'anni; nel recente passato non si faceva molto caso agli alberi da usare per i rimboschimenti; si privilegiavano le specie a rapido attecchimento e il Pino nero sembrava adatto; c’è di meglio, anche per limitare i danni di possibili incendi che nelle piante resinose troverebbero inneschi perfetti. Con questa specie è stata rimboschita una buona parte di questo complesso collinare, Le Cesane, a partire dal 1915, quando furono impiegati i prigionieri austriaci della prima guerra mondiale. Ma la natura sta facendo bene il suo corso e le specie autoctone stanno ritornando.
Praticamente a metà strada tra le abbazie di Fano e di Fonte Avellana c'è un'altra abbazia, S. Vincenzo al Furlo, che si vede ogni tanto durante la discesa mentre nuvole scure si addensano in cielo. È nel fondovalle, sulla sponda del Metauro in una vasta area verde molto apprezzata dagli escursionisti; nelle vicinanze si trovano anche importanti ruderi romani. Prima di arrivarci si passa accanto a un altro santuario, il Pelingo; è moderno, luogo di pellegrinaggio per la gente del posto ma anche, segno dei tempi, centro di accoglienza per profughi extracomunitari che qui trovano una sistemazione, chissà quanto duratura.
Appena in tempo. La pioggia minacciata dai tuoni non bagna i pellegrini che, dopo una visita guidata all’abbazia, al riparo della tettoia di un bar, si rifocillano con una piadina, che non regge però il confronto con quella casalinga. Una giovane, insieme alle sue amiche, festeggia la laurea appena conseguita nella vicina Università di Urbino. Auguri! Però con loro non ci sono giovanotti e la festa sembra abbastanza triste.
La vita ogni tanto impone decisioni irrevocabili; a piedi o in auto alla meta serale? Minaccia ancora pioggia, la giornata è stata faticosa e ci sono ancora otto chilometri in salita. Le macchine sono disponibili e inducono in tentazione. Cedono solo in tre; Francesca no, ha già ceduto una volta. La meta è Ca' Pierello, un vecchio casolare trasformato da qualche anno in un confortevole B&B con piscina e ristorante annesso. Si trova in cima a un colle nelle vicinanze di Cagli; dall'alto si vede bene in tutti i suoi particolari la moderna via Flaminia che attraversa la valle del Metauro; da qualche parte, poco distante, c’è quella costruita un paio di secoli prima di Cristo dal console Flaminio; qualche troncone è ancora percorribile e ci sono progetti per la sua valorizzazione a fini culturali e turistici.
Qui in collina sono state numerose le famiglie che si sono convertite all’ospitalità per integrare i redditi provenienti dall'agricoltura. Nelle Marche negli ultimi vent'anni si è più che dimezzato il numero delle aziende agricole perché non è possibile reggere la concorrenza e spesso la scelta è obbligata, ma conveniente, per valorizzare i tesori del territorio: la cultura, la storia, le tradizioni, la gastronomia.
A proposito di gastronomia; a cena, una sorpresa; sono venuti da M. Giove padre Natale e padre Marino, il priore; hanno portato un gelato buonissimo, addirittura alla curcuma. Curiosa la storia del piccolo laboratorio in cui viene prodotto; è nato grazie … al fallimento di una della banche americane che hanno innescato la crisi mondiale. Un dipendente, originario di Fano, si è trasformato in provetto gelatiere studiando, mettendo a frutto la sua passione per la cucina e l’esperienza di un parente che già era nel settore: materie prime di altissima qualità, stagionalità, produzione quanto basta, un pizzico di fantasia e il gelato è servito.
Anche questi monaci sono irriconoscibili: portano i jeans e in più usano Youtube dove mettono le immagini trasmesse dal loro confratello camminatore. Pare che le visualizzazioni siano state più di 1500 solo nel primo giorno!
Chissà cosa direbbe San Pier Damiani, il fondatore di Fonte Avellana, di questi monaci moderni che non solo “orant et laborant” ma viaggiano, organizzano attività culturali e diffondono il verbo via Internet!
Giovedì 7 luglio
Non capita tutti i giorni di svegliarsi al sorgere del sole e vedere in basso un mare di nebbia da cui emergono le cime dei colli circostanti. La pioggia del giorno prima ha lavato tutto e fa piacere camminare scalzi sul prato. Il pane fatto in casa nel forno a legna ha un altro sapore. Non sono necessari cinque cereali, semi, spezie, additivi, ecc.; bastano farina buona, acqua pura ed esperienza. A Luciana viene in mente di proporre la dieta del pellegrino che dovrebbe prevedere cibo tradizionale, semplice e nutriente, l’essenziale da portare nel tascapane. Ma solo durante il cammino, per stare leggeri, perché a cena …
Per la pausa di mezzogiorno due fette di pane con salame, prosciutto o pancetta dovrebbero bastare. Claudia, che spesso fa escursioni in montagna, aggiunge fette di pomodoro per rendere il panino meno asciutto.
Accompagnano il gruppo un paio di amici del luogo. “L’edificio laggiù era una scuola rurale” dice Roberto che l’ha anche frequentata, aggiungendo che fino a una cinquantina d’anni fa queste colline erano molto popolate; si conoscevano tutti, anche attraverso soprannomi di un’efficacia fulminante: “Rugginit” era il gestore di una piccola bottega di ferramenta e attrezzi per l’agricoltura. Poi molte famiglie si sono trasferite più a valle, anche per stare meno isolate.
Scendendo in basso si fa rifornimento da una sorgente: l’acqua è fresca, viva e si beve anche se non si ha sete; poi si risale per un sentiero che più avanti diventa una strada sterrata; a un certo punto bisogna lasciar passare un’auto con targa straniera; a bordo gli ospiti di un’altra struttura agrituristica che da anni è prenotata sempre dalle stesse famiglie che si sono innamorate di queste colline che, specie per gli abitanti dei Paesi Bassi, sono una cosa straordinaria. Oramai le Marche, per quanto riguarda l’insediamento di cittadini stranieri in cerca di luoghi per vacanze lunghe e riposanti, o addirittura per stabilirvisi, sono diventate una propaggine della Toscana “scoperta” molto prima.
Le strade con le buche sono una maledizione per gli automobilisti; invece sono una benedizione per gli animali, specialmente gli uccelli che qui trovano acqua per bere o fare il bagno. Punti di vista diversi!
Anche le chiese un tempo erano numerose da queste parti; alcune sono abbandonate e in rovina. In cima a Monte Martello si trova il santuario di Santa Maria delle Stelle, del secolo XV; oramai lo abitano stabilmente solo i rapaci notturni; gli arredi sono stati portati chissà dove, si spera non a cura di chi alimenta il ricco mercato dell’antiquariato; resistono gli affreschi alle pareti e qualcuno sta ripulendo il pavimento in vista di una vicina iniziativa culturale. Per la verità dei grossi lavori di restauro sono stati iniziati ma sembrano interrotti da molto tempo; non fanno una buona impressione le impalcature abbandonate, i termosifoni nuovi a terra, i fili elettrici scollegati …
“Pensa cosa ne farebbero gli Americani che sono orgogliosi di edifici di cent’anni”, dice Mauro che ha parenti negli “States”.
Si scende in pianura e si cammina su strada asfaltata ma il calore si sente anche sotto i piedi. Si chiacchiera; è l’ora di pranzo e a Laura, forse per la fame, viene in mente un piatto tradizionale della sua città, Brescia; è sicuramente buono e raffinato, come conferma suo marito Giacomo; la cottura dura cinque ore! Per la sosta, bisogna accontentarsi dei panini rustici preparati la mattina.
Si attraversano campagne poco popolate, ma ben tenute e coltivate in maniera razionale, soprattutto a erba medica, bella da vedere con i suoi fiori tra il celeste e il viola; una grossa azienda locale la raccoglie anche dalle regioni vicine, la impacchetta e la spedisce come foraggio agli allevamenti di tutta Italia. Non mancano poi campi coltivati a coriandolo, una specie di prezzemolo molto usato nella cucina indiana; evidentemente viene utilizzato dalle cucine esotiche che si stanno diffondendo anche in Occidente.
Acquaviva è la frazione di Cagli scelta per la sosta; all’ingresso due fiocchi celesti in case diverse annunciano la nascita di due maschietti; buon segno, vuol dire che qui non restano soltanto gli anziani e qualche speranza per il futuro si può cullare; da queste parti si lamentano perché lo sviluppo è stato indirizzato soprattutto sulla costa e l’entroterra ne è stato escluso; alcuni rimpiangono la ferrovia che portava a Fermignano e Fabriano; se ne vedono i binari oramai inutilizzati e coperti dalla vegetazione. Altrove una struttura del genere è stata trasformata in pista ciclabile e i benefici sono venuti dal cicloturismo che privilegia i luoghi non toccati dal turismo di massa e utilizza strade a basso traffico. La proposta è stata fatta ma non tutti son d’accordo; succede sempre così.
Roberto conosce benissimo queste colline ricche di boschi e selvaggina come cinghiali, caprioli e lupi; il predatore più efficace sembra però l’uomo, a giudicare dalla cartucce che ogni tanto si trovano sul terreno; dice che abbonda anche il tartufo bianco, quello più pregiato. Del resto è noto che nelle Marche la produzione è notevole, forse addirittura più abbondante di quella del Piemonte i cui commercianti si riforniscono da queste parti.
E‟ nata anche una femminuccia; i genitori hanno esagerato con i fiocchi rosa, centinaia, per scrivere il nome Valentina; se la chiamavano Ada risparmiavano. Sarà contesa dai due maschietti di prima.
Si attraversano i piccoli borghi di Calamello e Paravento dove si ripetono gli stessi cognomi perché sono poco più che nuclei familiari. Qui l’ultima guerra ha lasciato segni indelebili: lotte partigiane, rappresaglie, prigionieri tedeschi e ostaggi italiani, distruzione e morte; una stele ricorda un giovane morto a vent’anni, nel 1944.
Per arrivare alla meta della giornata, il santuario della Madonna dell’acqua nera, bisogna partire da un ruscello di fondovalle e fare una salita ripida, molto ripida, di oltre un chilometro; non a caso lì è stata realizzata la “via crucis”, quattordici stazioni segnalate da altrettante cappelline in pietra dove, più che pregare, bisogna fermarsi per prendere fiato. Ma la fatica è premiata dalla bellezza dello spiazzo su cui sorge il piccolo monastero, basso, a un solo piano; il profumo dell’erba appena tagliata rende il posto ancora più suggestivo. Si sentono i canti degli uccelli e, da qualche parte, il rauco richiamo dei caprioli. L’acqua corrente c’è, ma non c’è l’elettricità, manca Internet e c’è poco campo per i telefoni cellulari. Leonardo è disperato ma, forse, in fondo è contento; è arrivato in mattinata per trovare un po’ di tregua dal difficilissimo lavoro di nonno di sei nipoti piccoli; per qualche ora si riposerà.
Anche qui ci sono i segni di una guerra, quella del “15 – ‟18. La via crucis è stata realizzata, come dice una lapide della chiesetta, all’inizio del 1917 per chiedere alla Madonna la fine della guerra e la pace; la grazia è arrivata, ma un po’ tardi, dopo il disastro di Caporetto.
Il sole sta tramontando; la bellezza del luogo ed il momento sono favorevoli per la recita del vespro a cui, come sempre, partecipano tutti, credenti, atei ed agnostici. E non possono mancare le riprese che, appena possibile, finiranno su Youtube. Naturalmente, la cena è all’aperto, portata (non a piedi ma con un furgone) dal Consorzio agrituristico del Catria che gestisce la struttura. Il problema si pone per la notte, per chi non è abituato a certe situazioni. Peccato non aver portato le tende in un posto ideale per campeggiare.
Senza luce elettrica, senza TV, senza cellulare, qualcuno va a dormire alle 9,30, come quando era un bambino: il ritorno ad un passato molto lontano.
Venerdì 8 luglio
Ovviamente, sveglia all’alba e partenza anticipata per l’ultima tappa, alle 7,30 circa, col fresco. La tabella del CAI dice che per raggiungere Fonte Avellano ci vogliono tre ore e mezza ma non ci crede nessuno; si prevedono almeno 5 ore, qualcuno teme anche molto di più.
Si sale verso i prati sommitali, il sentiero a volte è impervio, altre volte facile; si fa qualche sosta per ammirare il panorama. E‟ bello il bosco di faggi; sui prati scoscesi, al sole, sono spuntati i fiori e volano le farfalle.
Il percorso è tutto un susseguirsi di discese e salite; si attraversa anche un ruscello di fondovalle. Nonostante tutto, al contrario di quanto è capitato a qualche scarpone da montagna, reggono benissimo le scarpe “mare-monti” di Enrico che, forse, in incognito, è un collaudatore di scarpe da passeggio! Non temono neanche l’acqua, anzi, se ne entra un po’ si cammina meglio con i piedi freschi.
Si sono aggiunti Fausto, Giovanna e Lanfranco, sono tutti del CAI e camminano svelti, agili come caprioli, mica lenti come i pellegrini stanchi! Non hanno dormito al rifugio; sono partiti dopo che il gruppo si è messo in marcia e ora potrebbero anche superarlo ma frenano; Lanfranco è in gran forma e propone di allungare il cammino verso il Monte Schioppettino, un punto panoramico famoso e molto bello. Ci va da solo.
La prima tabella incontrata ha confermato i timori; il ritardo accumulato si aggira sul 20% e, come per i treni, di solito si autoalimenta!
Alle nove precise, proprio sulla testa di chi si sta arrampicando in forte salita, si mette in moto la cabinovia del Catria che in pochi minuti è in grado di portare le persone dal fondovalle in cima al monte; a bordo non c’è nessuno. E‟ travagliata la storia di questa struttura, fortemente voluta da qualche amministratore locale e invano contrastata dagli ambientalisti. Erano gli anni Ottanta, quelli dei finanziamenti facili; la neve che qui può cadere anche in abbondanza e l’aria buona promettevano folle di sciatori in inverno e di escursionisti in estate. Più che i turisti, sono cresciute le polemiche e i benefici sperati, almeno per ora, non sono arrivati.
Per consolazione si può dire che, se fosse utilizzato, l’impianto di risalita eviterebbe l’inquinamento prodotto dalle automobili per le quali sono state realizzate strade nuove, ancora più micidiali per l’ambiente montano!
Si fanno altre soste, un po’ per prendere fiato ammirando il panorama, un po’ perché si fa sentire la stanchezza di cinque giorni di cammino.
Ma perché, in questi posti tanto belli, non si trova mai un grosso sasso, un tronco, insomma qualcosa di comodo per sedersi? E poi, le radici sporgono proprio per fare inciampare?
All’improvviso, inaspettato, dal basso arriva il tenue suono di una campana: non può che essere che quella di Fonte Avellana. In fondo, la tabella del CAI non ha sbagliato molto!
Il priore attende il gruppo che gradualmente si ricompatta all’ombra del maestoso complesso monastico.
Sono tutti in Paradiso (canto XXI, 109 - 111) per l’impresa compiuta: in particolare, ovviamente, padre Maurizio, la guida spirituale; Pietro, la guida terrena; Mario, quello che è riuscito a portare lo zaino fino all’arrivo; a Leonardo il cellulare funziona benissimo; Luciana e Paola non sentono più la fatica e l’anno prossimo vogliono andare ancora più lontano, fino a Fabriano, il terzo eremo camaldolese delle Marche.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 10.03.2017
Ultima modifica: 10.03.2017
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