Beni ambientali
Punti di osservazione nella visita dello Stagno Urbani e del Fiume Metauro
IL TERRITORIO CIRCOSTANTE ALLO STAGNO URBANI
Il luogo in cui ci troviamo fa parte della valle del Metauro, il fiume di cui si vede verso Est la riva alberata. La valle in questo punto, lontano 4,5 km dalla foce del Metauro e dal Mare Adriatico, è ampia 4,5 km, estendendosi dalle colline in riva sinistra (visibile verso N.O. la collina di Monte Giove) a quelle in riva destra (visibile verso Sud la collina di S. Angelo con la sua ripa arenaceo-argillosa).
Il terreno si trova a 18 m sul livello del mare ed è costituito da ghiaia, sabbia e limo, sedimenti portati dal fiume in migliaia di anni e provenienti dall'erosione di colline e montagne a partire dalla catena appenninica. Fa parte del terrazzo fluviale di terzo ordine, sul quale si estende anche la città di Fano, di qui non visibile ma situata verso Nord.
La strada su cui ci troviamo (Strada comunale del Porto Vecchio) è rilevata rispetto al piano di campagna poiché costituisce il terrapieno originatosi a seguito dello scavo nel 1700 di un tratto del canale detto Vallato del Porto, rivelatosi poi non adatto e perciò abbandonato.
Il vallato attuale preleva acqua più a monte, in località "Chiusa", e segue poi un tracciato parallelo a via Papiria, la strada percorsa per arrivare qui e che parte da Fano.
LA SIEPE
Un tempo diffusissime nelle nostre campagne, le siepi sono state gradualmente sacrificate alle esigenze dell'agricoltura meccanizzata e dell'allargamento delle strade. Qui si può ancora vedere, lungo la Strada del Porto Vecchio, una siepe formata da varie specie arbustive: l'Olmo campestre, il Biancospino, il Paliuro, il Prugnolo, il Caprifoglio etrusco, il Rovo, l'Edera e l'Asparago selvatico. Quasi tutte queste specie sono spinose e portano frutti appetiti dalla fauna selvatica, la quale trova quindi qui, oltre che rifugio e luogo di riproduzione, anche alimento specialmente nei mesi invernali quando il cibo scarseggia. La siepe è abitata, a seconda delle stagioni, dall'Usignolo, dallo Scricciolo, dall'Occhiocotto, dal Merlo, dal Pettirosso, dal Riccio, dal Ramarro e dal Biacco.
Oltre che per la fauna selvatica, le siepi sono importanti anche come frangivento, per impedire l'erosione delle scarpate, per delimitare le proprietà e per attutire il rumore del traffico stradale.
LA QUERCIA ROVERELLA
Queste che vedete sono delle Roverelle (nome scientifico Quercus pubescens), la quercia più diffusa nei nostri boschi e campagne. Può raggiungere un'altezza di 25 m e un'età di centinaia di anni. Da notare le tipiche foglie lobate, il frutto detto ghianda, la corteccia rugosa e il portamento maestoso. Ai loro piedi si notano piccoli esemplari, nati dalle ghiande cadute. Le querce sono protette da una legge della Regione Marche assieme a molte altre specie di alberi, ma nonostante questa protezione finirebbero comunque per scomparire nelle campagne se nessuno le ripiantasse e ne curasse la crescita per i primi anni di vita.
I NIDI ARTIFICIALI
Appese al loro tronco si vedono delle cassette di legno, con un foro nella parte anteriore: sono dei nidi artificiali usati da piccoli uccelli quali Cince, Torcicollo e Passera mattugia, che per nidificare ricercano le cavità dei vecchi alberi. Cassette più grandi e con foro più largo sono state messe a disposizione di rapaci notturni come l'Assiolo e la Civetta.
COME E' NATO IL LABORATORIO DI ECOLOGIA ALL'APERTO STAGNO URBANI
Verso il 1970 in questa zona, ampia circa 6 ettari, venne aperta una cava di ghiaia, che non raggiunse grande profondità poiché incontrò a solo qualche metro il livello delle argille plioceniche di origine marina. Nel giro di qualche anno, terminata l'escavazione, la cava si riempì di acqua a causa del suo fondo impermeabile, acquistando, sin dalla fine degli anni '70, i caratteri di uno stagno ricco di vegetazione palustre e della tipica fauna acquatica. Seguì poi un brutto periodo in cui lo stagno venne usato per scaricarvi rifiuti di ogni tipo, anche provenienti dalla vicina zona industriale, e terra mista a macerie. Ciò comportò l'interramento di una buona metà dello specchio d'acqua, che all'inizio giungeva fino a questa fila di querce. Grazie all'intervento delle Associazioni naturalistiche locali Argonauta e Kronos, alla fine si riuscì a fermare il degrado, invocando la tutela offerta dal vincolo paesaggístico, e nel 1990 si iniziarono i lavori di sistemazione a Laboratorio di ecologia all'aperto.
LA ZONA ERBOSA
Sulla parte della vecchia cava dove vennero scaricate terra e macerie è cresciuto un incolto erboso, prato di origine secondaria, ossia legato all'intervento dell'uomo. I prati di origine primaria sono invece quelli di montagna, dove alberi e arbusti non trovano condizioni favorevoli alla crescita. Il livello climax nell'area geografica dello Stagno Urbani è il bosco, da mesofilo (che abbisogna di condizioni intermedie di umidità), a igrofilo (che necessita di maggiore umidità).
Le piante del prato sono soprattutto Graminacee comuni nei luoghi erbosi, come l'Erba mazzolina (Dactylis glomerata) e il Forasacco dei campi (Bromus arvensis), ma anche l'Enula vischiosa, lo Stoppione (Cirsium arvense) e il Cardo asinino (Cirsium vulgare). Dove gli avvallamenti del terreno fanno ristagnare l'acqua crescono invece i Giunchi, la Cannuccia, il Farfaro, vari Salici, Pioppi bianchi e Pioppi neri.
Dove il terreno ha subito di recente il passaggio di mezzi meccanici crescono infine le cosiddette "erbe infestanti" ed altre tipiche dei campi coltivati e delle zone antropizzate: Papavero, Gladiolo dei campi, Camomilla, Malva, Romici, Carota selvatica, Piantaggine e Correggiola. Tali specie sono destinate, una volta cessato il disturbo, ad essere del tutto o in parte soppiantate da quelle dell'incolto erboso. Se l'incolto erboso non viene falciato, cominciano a crescere alberi e arbusti, come la Roverella, il Pioppo del Canada e il Rovo, nati da semi provenienti dalle zone boscate vicine.
La zona è frequentata da vari Lepidotteri, quali Macaone, Cavolaia maggiore e minore, Pieride del navone, Croceo, Argo bronzeo, Argo azzurro e Vanessa del cardo.
Al di là della zona erbosa, verso N.E., inizia l'area occupata dallo stagno, mentre verso destra (Est) si estende un rimboschimento, l'argine e il bosco ripariale del Metauro.
IL BOSCO RIPARIALE DELLO STAGNO URBANI
Dal 1990 sono stati piantati in questa fascia di terreno, tra lo stagno e il fiume Metauro, numerosi alberi e arbusti. Sono state usate specie autoctone, ossia spontanee in questo territorio: Pioppi neri, Pioppi bianchi e vari salici che caratterizzano la pioppeta e il saliceto, la Roverella, l'Acero campestre, il Carpino nero, l'Orniello e i cespugli Biancospino, Prugnolo, Ligustro, Nocciolo, Agazzino e Sanguinello, che invece sono specie più diffuse nei boschi mesofili e mesoxerofili delle vicine colline, ma anche in tratti più asciutti del bosco ripariale del Metauro.
Sono anche presenti nell'area del Laboratorio, spontanei o introdotti, l'Olmo campestre, il Cerro, la Robinia, il Ciliegio, l'Ontano nero, il Tamerice di Dalmazia, il Rovo, il Caprifoglio etrusco, la Fusaggine, il Peratello, la Ginestra, il Sambuco, il Ginepro comune, l'Edera, la Vitalba e l'Asparago selvatico.
LO STAGNO
Davanti a noi abbiamo l'area di Stagno Urbani non interessata dai riempimenti avvenuti nel 1980 -1985. Al centro si vede uno specchio d'acqua, di profondità variabile a seconda delle precipitazioni, anni fa più consistente, circondato da un esteso fragmiteto.
Anche in uno stagno allo stato naturale l'evoluzione normale comporta una progressiva evoluzione ad acquitrino, poi a prato umido ed infine a bosco. Ciò è dovuto sia all'apporto di sedimenti da parte degli affluenti, dove esistono, sia all'accumulo della vegetazione sul fondo. Per questo è necessario asportare periodicamente la Cannuccia, le Tife e le altre piante acquatiche, che altrimenti finirebbero per fare scomparire lo stagno. Oltre alle specie citate crescono la Mestola d'acqua, la Mestolaccia lanceolata, la Salcerella, la Menta acquatica, la Capraggine, il Piede di lupo, la Buccinaria e la Forbicina.
La fauna che qui si riproduce è rappresentata da uccelli come il Cannareccione, la Cannaiola, il Tarabusino, il Tuffetto, la Folaga e la Gallinella d'acqua, che nidificano nel vasto canneto che circonda lo stagno, dagli anfibi Tritone punteggiato, Tritone crestato, Rana verde, Rospo comune e Raganella, che vengono qui solo a deporre le uova o vivono legati all'acqua, e da numerosi insetti acquatici (Libellule, Ditischi, Notonette, ecc.).
IL BOSCO RIPARIALE LUNGO IL METAURO
Abbiamo attraversato l'argine costruito ai primi del '900 per impedire l'allagamento dei campi vicini, evento relativamente frequente prima di allora. Ora vediamo il cosiddetto bosco ripariale, formato da specie di alberi ed arbusti igrofili e mesofili. Il tratto meglio conservato è quello che si può visitare seguendo il sentiero verso monte.
Si chiama Pioppeta la fascia di alberi più esterna rispetto all'acqua, con Pioppo nero prevalente, qualche Salice bianco, Pioppo bianco, Ontano nero e Roverella. Pure presenti sono alberi esotici come gli invadenti Ailanto (originario della Cina) e Robinia (originaria dell'America Settentrionale). Come sottobosco compaiono il Ligustro, il Biancospino, il Sanguinello, il Nocciolo, la Fusaggine e il Rovo.
Più vicino all'acqua, poiché più esigente in fatto di umidità, cresce il Saliceto, dove prevalgono il Salice bianco e il Salice da ceste, con Pioppo nero e salici arbustivi quali il Salice rosso e il Salice di ripa, oltre agli arbusti citati in precedenza.
In alcuni tratti la pioppeta è stata tagliata per far posto a campi coltivati, in altri tratti, come nell'altra sponda, è stato l'abbassamento della falda idrica a provocare il disseccamento degli alberi.
Circa l'avifauna nidificante che si può osservare in questo bosco ripariale, possiamo citare la Tortora, il Pendolino, che costruisce un interessante nido intessuto ed appeso ad un ramo flessibile di salice, il Merlo, la Cornacchia grigia, il Rigogolo, il Rampichino, lo Scricciolo, il Torcicollo e la Cinciallegra. A volte Aironi e vari rapaci si posano sugli alberi per riposarsi durante la migrazione. Più difficile è imbattersi in rettili come il Biacco, mammiferi come la Volpe, il Tasso, la Faina, la Donnola, l'Istrice e il Moscardino. E' invece frequente l'incontro con la Lucertola campestre ed il Ramarro e con individui morti di Talpe e Toporagni lungo i sentieri.
L'importanza del bosco ripariale consiste nell'essere una delle poche aree alberate naturali nella fascia del nostro territorio collinare e di pianura più prossima al mare. Oltre che per questo motivo, va salvaguardato anche per l'uso didattico che può svolgere nell'ambito di un più volte proposto parco fluviale o di una riserva naturale.
IL FIUME METAURO
Il Metauro, lungo circa 110 km dall'Alpe della Luna al mare, non ha avuto sempre l'aspetto odierno: prima che negli anni 1960-1970 si asportasse lo spessore di bianca ghiaia che riempiva l'alveo, le sue acque scorrevano al livello della strada che si trova entro l'argine, alcuni metri più in alto di oggi.
Dato l'accumulo della ghiaia proveniente dall'Appennino, il fiume aveva allora un'alta capacità di mantenere limpida e ossigenata l'acqua, alimentando anche le falde idriche vicine. Oggi lo strato di ghiaia in questo tratto è quasi del tutto scomparso, sia perché asportato direttamente dall'escavazione, sia per il fenomeno dell'erosione regressiva, innescata dal fiume nel tentativo di ripristinare un suo nuovo profilo d'equilibrio. Si vedono ora scoperti gli strati posti originariamente al di sotto della ghiaia, costituiti da argilla grigia di Epoca Pliocenica sedimentatisi sul fondo marino, come testimoniano i numerosi fossili, soprattutto Molluschi e Pesci, che vengono alla luce. Anche la quantità di acqua che scorre ha subito una consistente flessione, dati i grandi prelievi che servono ad alimentare gli acquedotti di Pesaro e Fano.
Non dimentichiamo anche che a 10 km dalla foce del Metauro si origina il Vallato del Porto, costruito nel 1600 per dare acqua ai mulini e tenere sgombro dai detriti il porto-canale di Fano.
Dato l'abbassarsi del livello dell'acqua, la pioppeta ha subito in alcuni tratti seri danni con progressiva sostituzione dei pioppi e salici con specie più xerofile, adattate cioè a vivere su terreno più asciutto.
Sulla riva e nell'acqua bassa con fondo fangoso crescono numerose piante palustri, come la Tifa maggiore, la Salcerella, la Mestola d'acqua, il Crescione d'acqua, ecc.
La fauna, abbondante per quello che riguarda gli Uccelli in particolare nei periodi di passo, annovera le stesse specie citate per lo stagno e in più vari limicoli come il Corriere piccolo, il Piro-piro piccolo, la Pantana e il Combattente. Tra i Pesci ricordiamo la Carpa, il Cavedano, la Lasca, il Barbo, l'Anguilla e il Cobite.
LA ZONA ERBOSA E ACQUITRINOSA E L'ALVEO GHIAIOSO
Proseguendo verso valle, percorriamo un sentiero che passa sull'alveo ghiaioso e sabbioso, ora coperto di vegetazione poiché i sedimenti non sono più mobilitati dalla corrente fluviale. Dopo circa 500 m giungiamo ad un'ampia zona erbosa e in parte acquitrinosa dove spesso pascolano pecore e capre.
Qui crescono numerose specie erbacee interessanti, tra cui le Orchidee Anacamptis pyramidalis, Ophrys apifera, Ophrys bertolonii, Ophrys sphegodes, Spiranthes spiralis e Serapias vomeracea.
Dopo poco, avvicinandoci alla riva, arriviamo ad un tratto dove l'acqua del Metauro scorre sulla ghiaia, diversamente da quello più a monte dove la riva era fangosa e bordata di vegetazione palustre. Si vedono i ciottoli di cui è formato l'alveo, più o meno arrotondati e costituiti da calcare, selce ed arenaria, le rocce più dure che costituiscono la parte di Appennino da cui traggono origine il Metauro e i suoi affluenti. I ciottoli dentro l'acqua sono coperti da patine verdastre dovute alle Diatomee (alghe microscopiche); tra essi crescono anche ciuffi dell'alga Chara e della pianta acquatica Zannichellia.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.1999
Ultima modifica: 04.01.2015
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