Carnevale, feste, tradizioni e lavoro
Cucinare, mangiare e pescare in una barca a vela ai primi del 1900
Immaginiamo d'essere sulla "Maria Risorta", un battello da pesca dell'Adriatico, uscito dal porto di Fano, quasi cent'anni fa.
E' sera, e piove, nel vento. Il mare è sollevato, onde brevi e rapide, fluenti, sciolte. Vanno dall'altra parte del mare. Non moriranno mai nelle nostre rive. E' Garbino, o la grassa e fastidiosa Corina. La piova colpisce le vele tese, le sartie, gli alberi, scende, si raccoglie in coperta, lungo le murate, sfugge rapida tra gli avanzi di una pescata, esce dagli ombrinali. Solo Salvatore, coperto di tela oliata, regola il timone. Gli altri sono da basso. Il cuoco prepara la cena. A prua nei "ranci" (1) alcuni pescatori aspettano. Altri litigano. Baston, cerca a poppa tra le corde e le tartane, una linguetta di legno e un po' di sparacina. Un fumo denso esce dal focone, annebbia la fiammella di luce che danza davanti all'immagine di una Madonna ..."....Sbroccaseppie, sempre in vena di far arrabbiare il prossimo stuzzicava il cuoco, il grave e solenne Ammazzapesce, che in piedi, davanti al focone, sorvegliava le sue pietanze. Una piccola stagnata, infilata nel ferro sostenuto dalle due aste laterali, gorgogliava alla buona fiamma di quercia che saliva a lambirla da tutte le parti, mentre una nuvola grassa di fumo s'elevava dagli aguzzi spiedi di legno conficcati nella cenere intorno al fuoco, dove si finivano d'arrostire dei magnifici sgombri, dalle schiene a strisce del colore dell'acciaio.
Sarai bravo, sì - diceva il burlone - ma sei più lungo di una settimana santa. Ci vuole tanto studio per far un brodetto? Due roscioli, due seppie, due folpi ... qualche sfoglia, un po' di pesce matto ... li lavi nell'acqua salata, li metti su senza scolarli - sale, pepe, olio e un soffrittino di cipolla .... Al resto ci pensa il fuoco.
Quando c'è il pesce fresco e da scegliere ... Che fatica, eh? Che fatica!
... I quattro piatti, due di brodo e due di pesce, fumavano già al loro posto, ai quattro angoli del focone, e sulle "banchette" del medesimo già fumava anche la bella arrostita di sgombri, sfilzati dai corti spiedi di legno. Seduti intorno sopra la zavorra i marinai mangiavano lentamente, prendendo con le mani il pesce e inzuppando nei piatti del brodo larghe fette del pane portato da casa. Ogni tanto qualche scappellotto o qualche pedata arrivava ai due ragazzi, perché, invece di prenderli in fila andavano a scegliere i pesci più belli, contro ogni discrezione. - E va in fila, brutto ingordo!
Nel fumo denso che avvolgeva tutto come in una nuvola, facendo apparir più nere le facce incerte dei marinai, si sentiva un gran dimenare di mascelle, frammischiato al glu glu delle ingozzate di vino che ciascuno faceva, attaccandosi al collo della propria bottiglia". Così scrive Giulio Grimaldi nel suo romanzo marinaresco fanese "Maria Risorta ". E c'è quasi tutto quel che è necessario per capire come si cucinava e si mangiava un tempo nelle paranze fanesi (Fano era a quei tempi con Chioggia e Molfetta una delle tre stelle della pesca adriatica). Con Pipeta e Vitori (e per mio conto anche con Mario de Fifi) abbiamo cercato di ricostruire quell'angolo del ventre di balena. Da bass, sotto prova (2), dopo l'albero di prova, vicino alla bitta. Qui era il focon, un contenitore quadrangolare, all'esterno di legno e dentro ricoperto di latta, che "finiva quasi in nient", che cioè si restringeva sino a terminare nel paramezzale - la colonna vertebrale della barca. - Il focon era legato al paramezzale con cainell - anelli - e sciagull - piccole corde. - Era pieno di sabbia, almeno per tre quarti, e con uno strato di cenere sopra. Sulla bitta e al lato opposto del focone erano due aste che terminavano a forcella, con una "catena" sospesa, un tondino di ferro mobile che si poteva regolare (alzare e abbassare) e dove era sospeso il caldaio che pertanto veniva tenuto alla distanza necessaria o utile dal fuoco (un po' come nei vecchi camini di una volta).
Il caldaio era di rame stagnato e pertanto chiamato "la stagnata": era più cupo di quelli usati a terra proprio per non far versare il brodo o il brodetto nel continuo danzare della paranza sul mare in movimento. Ai lati del focon era la "banchetta", una tavola di alcuni centimetri dove appoggiare gli scudlott - scodella - e il pesce. La "banchetta" veniva pulita dal morea con il "trumbant" (spugna Geodia), quel coso, come un'anguria irregolare, gialliccia, che se la spaccavi, specie dentro, asciugata, diventava come una pelle ruvida e abrasiva che puliva tutte le macchie e oggi avrebbe aiutato a far risplendere anche il sottogoverno (purtroppo oggi i trumbant non ci sono più!).
Attorno al focone potevano esserci cassapanche per sederci e per metterci i pochi attrezzi di cucina. La legna era quella di quercia, piccola, secca e profumata; si metteva al centro del focone a gradella e la si teneva ferma con cavie, ai lati, ficcate nella cenere e sabbia. Al centro della gradella di legna si poneva la stoppa imbevuta di petrolio e si accendeva. Quando il fuoco non aveva più fumo e la legna era una rossa brace si cominciava a cuocere.
Queste condizioni di lavoro e di cucina regolavano il vitto. In mare le "mangiate" erano due, quella del mattino e quella della sera. Si mangiava solo pesce cotto negli unici modi che il focon permetteva: "el brudett" e la "rustita". Al mattino tutti e due, la sera il brodo o il brodetto. Il pesce in genere lo sceglieva il cuoco ma se c'era un padron tirchi (3) era solo rungaja (4). Tutti aiutavano a pulirlo, in coperta, con il solo coltello. La ricerca di come fare il miglior brodetto è pura fantasia. Le molteplici ricette che si richiamano alla tradizione con una varietà di pesci incredibile è pura favola. In mare dipendeva da dove e da come si pescava, se "d'in bòn" (ovvero sottocosta) o "de foravia" (cioè d'altura). Così variano i pesci, la loro stessa qualità, anche a seconda delle stagioni.
Se eri de foravia ci mettevi una scarpigna, un rospo (rana pescatrice "sa la testa e tutt") un sanpietro, un ragno paganico, una bocca in cava. . .(5) Se eri d'in bon un rumbet, una baracola, una massola, tremul ...cinque o sei sfogliattole, un "suas", qualche nocchia, un tremul....
Ma potevi fare un brodetto di una sola qualità di pesce, di corazzate nocchie, di fragili agostinelli, di pallida frittura, di infiammabili granche, di trippa de ragia ...
Un'altra distinzione c'è: il brodetto con una sola qualità di pesce può avere un soffritto con olio e aglio, ma con un'altra qualità, solo con cipolla, o va alimentato con aceto (e dove più o dove meno) o solo con il vino.
Ma lasciamo che nella stagnata sospesa sul fuoco, al centro del focon, borbotti il brodetto favoloso. Guardiamo la rustita.
Non si poteva usare una graticola in mare. Non era immaginabile in una barca perennemente in moto. La rustita si faceva con gli spiedini. E il morea (6) doveva prepararli e pulirli ogni giorno, come doveva preparare la mulica (con pane, di volta in volta, di ogni singolo marinaio). O giù "bretón", se non faceva bene.
Il pesce piccolo veniva infilato intero, quello più grosso in vari pezzi. Ma prima era stato condito. Messo nella "piètna" - un recipiente smaltato - solo con mulica e poi sbalzi e poi mulica e poi sbalzi e poi un filarino d'olio dall'impulina (7) e ripeti finché tutta la mollica non rimane attaccata al pesce come la scaglia. E per carità solo pepe e sale. Niente prezzemolo. Solo odore e sapore di pesce. Impalato nello spiedino, ficcato nella cenere; dritto come un soldato sull'attenti - dice Mario de Fifi - a prendere colore e calore dal fuoco, un po' alla volta da tutte le parti, come il girasole e non come una Giovanna d'Arco o una strega sul rogo.
L'olio colava nella cenere del focon e si faceva scura e dura. E bretón a chi prendeva il meglio, quando era cotto e asciutto come una sirena allettatrice sullo scoglio.
E lasciamoli, quelli della "Maria Risorta", mangiare: con il coltello a bagnare il pane nel brodetto dello scudlott, a buttar giù il vino del fiasco tenuto in mezzo alle gambe, a suonar sulla bocca, come un'armonica, lo spiedino di pesce buono come non mai anche con tutta la spina (se non è grossa).
Fila la "Maria Risorta" nel vento, le vele gonfie come una donna incinta, i simboli del paron, i terzaroli (8), la prua larga e forte con gli occhi tondi e sognanti, spruzzati, bagnati.
Anche in quella piccola comunità di uomini c'è una divisione, anche in quel pasto che sembra tutto in comune. Il vino è contato. Lo porta ogni singolo pescatore. Così il pane del sacco, quel pane fatto in casa, preso dal fornaio al mattino, come un morto avvolto nel lenzuolo e nella coperta perché non si freddi, prima di essere informato. Il padrone (o meglio il "monte" (9)) metteva i "forminanti", aceto, legna, conserva, pepe, sale, olio, aglio, cipolla ...
Il paron, il poppiere, il cuoco, i marinai, il morea ci mettevano la vita. Ma quando la piccola comunità rumorosa, dolorosa, allegra, era chiusa nel "trenta", accanto al focon, tra le vertebre della balena, mangiava e dimenticava. Se c'era "una bava in pupa" - un vento dalla poppa - non c'era boccaporto per quanto spalancato che tirasse. Avvolto di fumo e di bestemmie, mangiavi e piangevi. Fuori nella gran volta con tutte le costellazioni della vita e della morte, nel prato mobile del mare, respiravi di nuovo la luce con la salsedine. Poi veniva un giorno e quella comunità si dileguava, o si scomponeva o precipitava anche sotto le acque, dove non ci sono sirene ma fango e esseri che anch'essi si rinnovano. Al meglio si prendeva sacco e branda. La branda erano quattro tavole per lungo e due per largo con un po' di tela legata. E il sacco era quello dove le donne mettevano i pagni, la robba, il pane e il vino. "Prenda sacch e branda" significava essere cacciati o andar via o anche morire.
Lasciamo che i pescatori del nostro mare, nel fumo del "trenta", tra brodetto e rustita, continuino a veleggiare. Nel ricordo: labile, incerto, angoscioso e amaro come un sogno.
Anche in fanés.
NOTE
(1) Ranci = brande
(2) Prova = prua, prova, parte anteriore della barca
(3) Tirchi = persona avara
(4) Rungaja = pesce di scarso valore
(5) Boccaincàva = specie di pesce
(6) Morea = garzoncello di barca, mozzo
(7) Impulina = piccolo recipiente in latta
con lungo beccuccio. Veniva usato per versare olio di oliva sui cibi
(8) Terzaroli = porzioni della vela che si
serrano diminuendola per sottrarla in parte all'azione del vento
(9) Monte = il ricavato lordo della vendita del pesce prende il nome di "monte". Oggi si divide ogni fine
settimana, dopo avervi detratto le spese di gestione (carburante, lubrificante,
contributi assicurativi, ghiaccio, vino...) il resto viene così suddiviso:
48,50% all'armatore e 51,50% all'equipaggio.
(pubblicato in: "Tutti a tavola - le ricette della provincia pesarese", di VALENTINI V., 2004).
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.1999
Ultima modifica: 01.03.2005
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