Carnevale, feste, tradizioni e lavoro
Pane, cresce, biscotti, merende e spuntini - generalità e sommario
Il pane
di Maurizio Misuriello
Quel giorno arrivai prima del solito, avevo fatto la salita quasi di corsa; la littorina era arrivata in orario ed io e mia nonna, a piedi, ci avviammo a percorrere i tre chilometri che separavano la stazione dalla casa di campagna della Menca, che abitava in una vecchia casa colonica con la grande cucina riscaldata dall'immenso camino, la stalla, il pollaio pieno di galline, l'aia, il fienile e il forno costruito li fuori, di fianco alla casa, con la sua bocca spalancata scura ed annerita dal fumo.
Quando fummo sull'aia, tra galline e "dindle"che ci venivano a beccare tra i piedi, un profumo intenso e fragrante mi avvolse.
Di quelle visite domenicali dalla Menca mi è rimasto il profumo
del pane, fresco, appena sfornato.
La sera prima la Menca aveva preso il lievito, che non era altro che
un pezzo del precedente impasto di farina lasciato ad inacidire; con
un po'di acqua tiepida lo aveva sciolto in una fontanella di farina,
quindi lo aveva ricoperto con altra farina; dopo avervi tracciato
sopra una croce, aveva richiuso la "mattra" per far riposare il "formento"fino alla mattina dopo.
Alle prime luci dell'alba, ma anche prima, tutti in casa si erano
alzati perché c'era il pane da fare: la Menca per prima, poi Pepp, il
capoccia, ed infine le figlio, la Peppina e la Marta. Le donne erano
scese subito in cucina, mentre Pepp aveva cominciato ad accendere il fuoco nel forno, fuori nell'aia. La Menca, aperta la mattra, aveva cominciato, aiutata dalle figlie, a stacciare la farina occorrente per l'impasto. Poi aveva iniziato ad impastare con acqua l'enorme mucchio di farina, girandolo e rigirandolo con movimenti lenti, ma precisi ed energici.
Il pastone era fatto, bisognava tagliare i vari pezzi per plasmare i
"filoni". Terminata l'operazione, tutti i pani erano stati adagiati su
di una lunga tavola ricoperta da un montile spolverato di farina;
la tovaglia veniva ripiegata fra un filone e l'altro perché non si
attaccassero e quindi ripiegata sopra per ricoprire tutta la tavola di pani.
La lievitazione era un'operazione delicata, durava dalle due alle
tre ore, ma era il tatto della Menca che decideva quando i pani
erano pronti per essere infornati.
Intanto Pepp stava portando il forno alla temperatura giusta, i
mattoni del forno stavano per diventare bianchi; Pepp dall'intensità delle lucciole che lasciava dietro di sé lo scopettino legato in cima ad una canna che serviva per pulire il forno, aveva capito che il caldo era quello giusto.
Un fischio alle donne, tutto era pronto per l'infornata; la Menca, la
Peppina e la Marta avevano portato la tavolata di pani ed ad uno
ad uno li passavano a Pepp che, depostili sulla pala di legno, li adagiava sui mattoni del forno. Avevano richiuso e atteso la cottura.
Quando io arrivai, quella mattina, il pane era stato sfornato da
poco; il suo profumo intenso e fragrante mi aveva spinto a chiederne un pezzo alla Menca; "no - mi rispose nel suo dialetto campagnolo - il pane fresco non si mangia, si consuma troppo alla svelta" e mi diede un pezzo di quello duro di quindici giorni prima.
Il rito della preparazione del pane: un rito antico come l'uomo contadino, perché il pane è stato da sempre l'elemento principale dell'alimentazione campagnola. Un rito importante, perché il pane
non doveva mai mancare ed anzi, molto spesso, era l'unica alimentazione; era mangiato condito, abbrustolito, bagnato nel vino.
Ma anche il pane qualche volta mancava e spesso i contadini si
sono accontentati del pane di ghianda.
Da questa importanza che il pane ricopriva nell'alimentazione di
un tempo, derivava l'obbligo, impostoci dai nostri genitori, di
baciare il pane quando cadeva in terra, di raccogliere le briciole, di
non "giocarci", sbriciolandolo con la forchetta.
Oggi il pane ci arriva a casa ogni giorno, fresco, bianco e standardizzato, in filoni, pagnotte, crocette, sfilatini, francesine, all'olio al burro e in tante altre confezioni: ogni giorno ne buttiamo in quantità, i nostri bambini non lo baciano più quando cade in terra.
E quel profumo fragrante, semplice e buono come il profumo dei
campi e della terra, che sentivo da bambino quando andavo dalla
Menca, da allora non sono riuscito più a sentirlo.
(Pubblicato in: "Tutti a tavola", di VALENTINI V., 2004)
Il pane di Chiaserna
di Gabriele Ghiandoni
Ricordo bene il pane bianco di una volta, fatto in casa con fatica
sulla madia; veniva fatto mescolando farina e acqua, con l'aggiunta di un pezzetta di lievito di birra fermentato.
I filoni venivano segnati in superficie - quasi un atto rituale - e conservati caldi nella parte più interna della madia perché, lievitati al punto giusto (il pane in fiore, pronto per essere infornato), venissero poi cotti al forno di legna.
Il pane bianco è stato sino dai tempi dell'antica Grecia e di Roma
il simbolo del benessere: pane bianco per i "signori" e pane "sordidus", rozzo e scuro, per la plebe. Il sogno del pane bianco ha un retaggio antico, dunque.
Però solamente nel secolo XVIII, in Inghilterra, con i grandi mulini
a macine moderne, è stato possibile al popolo di comperare il tanto
desiderato pane bianco a un prezzo accessibile. Anche nell'Italia del
secondo dopoguerra l'arrivo del pane in cassetta, bianchissimo fu
salutato con vera gioia.
Già nel secolo scorso nacque una "battaglia" tra i sostenitori del
pane bianco, valore-simbolo di una alimentazione raffinata, e
quelli del pane integrale, valore-simbolo di una alimentazione
equilibrata.
Oggi invece il pane industriale - bianco o scuro, poco importa - ha
perso le antiche caratteristiche di un tempo (la fragranza, il "sapore di pane") e si presenta male in arnese, flaccido, non più bello con la crosta croccante e la mollica asciutta per giorni e giorni.
Il pane di Chiaserna mantiene ancora quei pregi di ieri.
Come arrivare a Chiaserna? Risalita da Fano la strada consolare
Flaminia, si incontra dopo sessanta chilometri, e attraversata la
gola del Durano, con a lato il Ponte Grosso di epoca romana,
Cantiano, l'antica città di Luceoli distrutta dai Longobardi.
E' un suggestivo paese d'impianto medioevale, che conserva ancora oggi i grandi misteri sacri: "La Turba" il giorno del Venerdì Santo, la sacra rappresentazione della Passione di Cristo che si svolge, con
la partecipazione degli abitanti vestiti da romani e da ebrei, in tre
luoghi-simbolo: l'Orto degli ulivi, il Calvario, il Golgota.
Cantiano conserva la tradizione della buona tavola, con l'allevamento di trote da cucinare secondo le ricette tradizionali.
Da Cantiano, presa la strada per il Monte Catria (1701 metri) dopo
appena quattro chilometri trovi, tra gli ultimi carbonai e i nuovi
greggi di pecore, la località di Chiaserna, nota per l'importante
mostra-mercato del cavallo del Catria, che si svolge nel mese di ottobre.
Lì esiste uno degli ultimi forni a riverbero, forse l'ultimo alimentato a legna della provincia di Pesaro-Urbino.
Il pane è prodotto con tecniche artigianali, impastando la farina
senza separarne il fiore con acqua leggera di sorgente, quasi un'acqua minerale. La cottura è molto importante: al calore del forno (circa 250 gradi C°), i gas che si formano durante la lievitazione
sfuggono attraverso la massa e aumentano la porosità e la digeribilità del pane che si presenta fragrante e mantiene il buon sapore e la freschezza per una settimana.
Insomma, quello di Chiaserna è proprio il pane del ricordo di altri tempi.
Pubblicato su "Gambero Rosso" (anno III n. 17), supplemento al n. 105 de "Il manifesto" del 3 maggio 1988
Le ricette che seguono sono tratte da: VALENTINI, V., 2004: Tutti a tavola - le ricette della provincia pesarese.
SOMMARIO
Biscotti duri
I biscotti del marinaio (biscotul) e i biscotti all'anice
Biscotti o pane col mosto
Brustenga rustica
Cascioni
Cascioni di Fragheto - Palazzo
Cascioni di Pesaro
Ciaccia
Ciciliano
Crescia o pizza di Pasqua (Crescia brusca)
Crescia con gli ànici
Crescia con i ciccioli o grasselli (grascioi)
Crescia (di oggi)
Crescia (di ieri)
Crescia sfogliata
Crescia di granoturco
Crescia con il rosmarino
Crescia sotto la cenere
Crostini dolci
Crostoli di Urbania (Crostli de pulenta)
Crostoli del Montefeltro
Granetti di Carpegna
Maritozzi
Pancotto
Pane di ghianda
Pannociato
Piadina
Pimpinella o panzanella
Polenta con latte
Spianata
Ungarucci
Dettaglio scheda
-
Data di redazione: 18.09.2004
Ultima modifica: 10.02.2012
Nessun documento correlato.