Carnevale, feste, tradizioni e lavoro
Modi e condizioni di vita dei pescatori di Fano sino al 1950-1965
La pesca nel 1600
I pescatori non avevano a Fano un loro distinto quartiere; abitavano entro le mura cittadine, più numerosi nel rione di S. Marco che ab antiquo consentiva attraverso la porta omonima (poi chiusa) un comodo accesso alla spiaggia: nel Seicento si servivano di Porta Marina. Il borgo dei pescatori, o portolotti, si sviluppò con notevole lentezza: la chiesa sotto la Rocca a cui si cominciò a pensare fin dal 1622 (dal punto di vista della giurisdizione ecclesiastica la zona apparteneva alla parrocchia di Rosciano) fu costruita solo nel 1731-35 su disegno di Felice Facci d'ordine del cardinale Imperiali. I pescatori, tra cui parecchi di origine veneta, istriana, dalmata, erano poveri; alla povertà si aggiungevano ben noti duri ed estremi rischi - compreso quello di finire in mano ai turchi - non compensati da alcuna forma di risarcimento: c'è poi da aggiungere la precarietà del lavoro legato alla regola del tempo.
Chi pescava da solo si ingegnava anche a vendere il pesce al minuto, invece le barche con equipaggio affidavano il pescato ad un pescivendolo, nei documenti chiamato anche il «venditore», ed erano naturalmente sotto il controllo del fisco. Sui pescivendoli gravava il «dazio del pesce fresco» per il 4 % del ricavato, e quello eventuale della «estrazione» cioè della esportazione; sui padroni del pesce gravava il «dazio delle bilance» istituito nel 1665 (5 baiocchi per «bilancia»), nonché numerose obbligatorie regalie regolarmente appaltate. I pescatori forestieri pagavano la dogana, fatta eccezione per il tempo delle fiere. I «venditori» preferivano portare il pesce, direttamente o a mezzo di vetturali, nelle città e nei piccoli paesi dell'interno dove forte era la richiesta e snobbavano la locale piccola pescheria situata nel minuscolo spiazzo della chiesa di S. Tommaso lungo la «via delle botteghe», ora Corso Matteotti. Spesso accadeva che proprio nei giorni di vigilia (il venerdì di ogni settimana e altri giorni comandati) la città restasse sprovvista di pesce fresco. (......)
Si pescava coi bragozzi e con le più grandi tartane sulle quali risultano equipaggi di almeno dieci uomini e che servivano anche per carichi di merce. Le tartane non scaricavano il pesce solo nel proprio porto; a volte nemmeno riprendevano terra ma, come continuò ad usarsi fino all'avvento dei motopescherecci, restavano al largo e mandavano a terra «la roba» con le barchielle fragili e rischiose.
Il proprietario della barca era chiamato «porzionevole», a volte «parzionevole», titolo che successivamente e fino ad oggi. trasformato in pusnévul è stato dato, e non solo a Fano, ai commercianti di pesce. E ipotizzabile che la sinonimia fra proprietario e porzionevole dipenda dal fatto che certi proprietari vendevano personalmente il pesce della propria barca in quantità notevole.
L'equipaggio era comunemente chiamato «compagnia», e forse nasce di qui la tipica e a Fano ancor viva espressione cameratesca e marinaresca «ciò cunpagn». (.....)
Aldo Deli, da "Fano nel seicento", 1989
I portolotti di ieri e i marinai di oggi del porto fanese
Agli inizi del 1900, dopo la guerra del 1915-18, i portolotti conferivano la vendita del pescato ai vari pescivendoli di Fano. Allora non esisteva la fabbrica di ghiaccio cosicché ognuno di loro si serviva di grandi pozzi profondi chiamati "le conserve"; nei mesi invernali vi mettevano neve e ghiaccio ben pressato per la conservazione del pescato. Ben ricordo che, con i miei amici Lucarelli, Magi e Paci, prendevamo il ghiaccio dalle pozze degli orti e nella cava ove ora esiste la marmifera del Dr. Guido Tecchi. Svelti, svelti con la carretta sgocciolante, per pochi soldi di rame, lo andavano a scaricare nelle "conserve" dei pescivendoli. Questi, del pescato, tolte le spese e le provvigioni, versavano ai marinai il ricavato nei cosiddetti conti di Pasqua, di Ferragosto, dei Santi e di Natale. (......)
In quel tempo tanto lontano le barche di "foravia", completata la pesca, facevano ritorno, ma giunti circa a mezzo mare, se il tempo lo permetteva, sbarcavano il grosso battello: caricavano il pescato contenuto nei panieri, due marinai chiamati "i batlant" con remi e vela si dirigevano al porto di Fano, mentre le due barche ritornavano in zona di pesca. Ho conosciuto e ricordo i nomi di questi intrepidi "batlant": Ferri Augusto detto "el nér", padre del fondatore della Cooperativa Marinai, il mancato tenore Terminasi Raffaele detto "Rafaél de' Pacuri", veri, audaci marinai di grande coraggio con il battello carico affrontavano le infinite insidie del mare.
Queste barche di foravìa, nei mesi estivi, sospendevano la pesca per caricare la ghiaia nella spiaggia del Metauro, per trasportarla a Porto Garibaldi. Per sentito dire, so che in quel tempo esisteva un bonario campanilismo fra i marinai di sotto vento e sopravento; ognuno di loro si considerava superiore dall'altro. (......)
Francesco Gerboni, da "Memorie di un fanese di Fano", 1992
Intervista sulla pesca del passato
Abbiamo raccolto varie testimonianze orali intervistando: Gaggi Alceo (77 anni), Pagani Fidardo (75 anni), Saltarelli Carlo (72 anni) e Bargnesi Augusto (68 anni).
Per quanti giorni rimanevano in mare?
Un tempo non esistevano i sindacati, quindi ogni barca era libera di uscire e di rientrare in porto, naturalmente se il tempo lo consentiva. Di solito stavano in mare per 14-15 giorni, mentre oggi i pescherecci che praticano la pesca "di foravìa" rimangono in mare solo 4 giorni; "le volanti" invece partono alle prime ore del mattino e tornano la sera.Che cosa mangiavano i pescatori quando erano in mare?
Generalmente mangiavano il pesce pescato che veniva cucinato arrosto o "in brodetto" oppure veniva lessato secondo la diversa specie di pesce. Per esempio: il pesce azzurro, i merlani ("mòrghen"), le triglie ("rusciòi"), i gattucci ("gatin") si cuocevano arrosto; gli scorfani rossi ("scarpign"), le tracine ("pesci ragn"), i caponi ("masòl"), le sogliole ("sfòi"), le canocchie ("nòchi") in brodetto ed infine il pesce bianco cioè i merluzzi ("merlus"), le rane pescatrici "ròsp") e i pesci di S. Pietro ("pirìn") venivano lessati. Il pesce arrosto e in brodetto si cuoceva contemporaneamente: si preparava la brace, intorno alla quale venivano infilzati, in modo circolare, gli spiedini di pesce; poi sopra i marinai mettevano un pentolone ("stagnâta"), dove cuocevano il brodetto.Dove dormivano i pescatori nelle loro barche?
Una volta dormivano nelle cuccette ("ranč"), che erano costituite da delle assi di legno unite e fissate alla coperta, sotto le quali veniva posta una rete di corda. Ogni pescatore costruiva la propria cuccetta e aveva una cassetta di legno per tenere i suoi oggetti personali. Il mozzo ("muréa") dormiva a prua, in una cassapanca ("pajulét"), sopra la quale veniva messo un materasso ("strapuntìn").Dove mettevano il pesce che pescavano, come lo conservavano e dove lo andavano a vendere?
I marinai mettevano il pesce pescato in ceste ("paniér") tenute in coperta. Non avendo la possibilità di conservarlo per mancanza di ghiaccio, erano costretti a venderlo il più presto possibile, se il vento lo consentiva, altrimenti soprattutto d'estate, dovevano gettarlo in mare. Per evitare il deperimento del pesce esistevano delle barche chiamate lance ("batèi" o "purtulât"), che avevano l'esclusivo compito di prelevare il pesce dai pescherecci e trasportarlo fino al porto di vendita. (.....) Solitamente i luoghi di vendita erano i porti più vicini alle zone di pesca nelle quali operavano, oppure venivano determinati dalla direzione del vento. Per esempio se tirava il maestrale ("vent su") si vendeva a Fano, nelle banchine tramite i pescivendoli ("pusnévul") a tutta la popolazione, se invece tirava lo scirocco si andava a Pesaro. Altri porti preferiti erano Senigallia e Falconara, ma i mercati variavano in relazione al tonnellaggio dei pescherecci. Alcuni di questi, in prevalenza nei periodi estivi, svolgevano la loro attività nelle coste slave; in prossimità di Pola, dove poi vendevano il loro pesce.Che cosa commerciavano oltre al pesce?
Le barche più grandi nella stagione invernale si dedicavano all'attività della pesca, mentre nella stagione estiva trasportavano la ghiaia da Fano a Ravenna, Porto Garibaldi, Cesenatico.Quali strumenti tecnici usavano per orientarsi?
Lo strumento più usato era la bussola ma spesso ci si riferiva alla Stella del Nord. Quando invece c'era la nebbia ("calig") si orientavano con lo scandaglio a mano ("scandail a man") che è uno strumento costituito da una palla di ferro legata ad una corda che veniva immerso in mare, in modo che la palla toccasse il fondo. Dopo di che la corda viene ritirata a bordo e vengono misurati i passi (un passo equivale alla larghezza di apertura delle braccia cioè 1,70 metri circa) della corda bagnata per determinare la profondità del mare e quindi la distanza da terra. Oppure sempre in caso di nebbia i marinai si orientavano con il treno, cioè se ne sentivano il fischio significava che erano vicini alla stazione.Come era formato l'equipaggio?
L'equipaggio era costituito da uomini di ogni età (dai dieci anni in su). Il numero dei marinai variava in base al tonnellaggio delle barche, le quali se avevano una portata di 25 tonnellate, richiedevano cinque persone, per una portata di 50 tonnellate sette persone, per una portata di 90 tonnellate da nove a dieci persone. Di solito l'equipaggio era così costituito: il capitano ("parón"), il poppiere, cioè l'uomo di fiducia che era addetto agli attrezzi, i marinai scelti, il giovanotto ossia l'apprendista marinaio di circa 18 anni ed infine il mozzo ("muréa") di età variabile da 8 a 15 anni. Quest'ultimo aveva il compito di mantenere pulita la griglia ("fugón"), raschiare gli spiedini ("spit"), grattugiare il pane ("mulìca"), pulire le tele vecchie che erano appoggiate nei paglioli ("pajòi") cioè l'insieme delle tavole mobili che costituiscono il pavimento della stiva, preparare i lumi per la notte cioè per il momento in cui salpavano (quando cioè veniva tirata su la rete) ed infine doveva osservare sempre il capitano per imparare a manovrare il timone, a usare la bussola e apprendere altre mansioni riguardanti il mestiere.Quali erano gli elementi principali per la formazione della corda e delle reti?
L'elemento principale era la canapa ("stópa"). Quest'ultima veniva lavorata a mano dai cordai nei pressi del Canale Albani e del porto canale e mentre veniva filata si avvolgeva in una ruota ("nasp") girata da un bambino. I fili prodotti potevano avere varie dimensioni a secondo del tipo di rete che si voleva ottenere. Per esempio le reti costituite con il filo fino erano impiegate per la pesca del pesce azzurro, delle sardine e sarde, mentre il filo grosso veniva usato per le corde e per legare le reti. Erano le donne che fabbricavano le reti fine e grosse, con un ago chiamato linguetta. Le reti sono cosi strutturate: prima ci sono i bracci della rete ("parét"), nella cui parte superiore sono posizionate delle palle di materiale plastico ("scórs") che un tempo erano di sughero o di vetro e nella parte inferiore i piombi per portare la rete verso il fondo in modo tale da farla rimanere aperta. Tra la "lima da scórs" (cioè la corda nella quale sono state infilate le palle di sughero) e i bracci della rete ci sono i "murèi" cioè le corde fine sistemate a zig-zag che si trovano anche tra la rete e "la lima da piómb". Quest'ultima è una corda in cui sono infilati i piombi insieme ai "rùgui", palle ovoidali di legno, utilizzate per tener sollevata la rete dal fondo, in modo tale che non si consumino ("rusgâ") i "murèi". Dopo i bracci c'è "l'armadura" e il "tasèl". (.....) Quest'ultimo è fatto con il filo grosso in quanto deve toccare il fondo. Collegata al "tasèl" c'è la "màniga", cioè una sacca dove si deposita il pesce. La parte finale è costituita dal "cudìn", ossia una corda che stringe la "màniga" e che viene allentata nel momento in cui il pesce viene scaricato nella barca.Chi costruiva le vele e che cosa le differenziava l'una dall'altra?
Le vele venivano prima tagliate dai capitani delle barche ("parón") e successivamente le donne provvedevano a cucirle a mano. Le vele erano di diverse dimensioni a prua ("pròva") vi era il "trinchét" che era la vela più piccola fatta di cotonina grossa, la vela di poppa ("dla pupa") era la più grande ed era fatta di tela. Inoltre c'era il "puledrón" cioè una piccola vela che veniva usata nel caso che il vento fosse a favore, veniva issata con un bastone ("spuntiér") davanti alla prua.L'influenza dei fenomeni atmosferici nell'uscita dei pescherecci
Quando le condizioni del tempo erano pessime le barche non uscivano dal porto, o se erano già in mare rientravano. Chiaramente in quel periodo non c'erano i sindacati e viste le condizioni di miseria in cui vivevano i marinai non esistevano giorni festivi.Come dividevano il guadagno?
Dal ricavato totale ("mont"), venivano tolte le spese per l'olio, per il cibo ("panàtica"), poi il 50-53 % era incassato dall'armatore, mentre il rimanente era diviso in quartarole, di cui sei spettavano al capitano, una al mozzo ("muréa") e le restanti venivano, ripartite in modo eguale fra gli altri marinai. Nel caso in cui il marinaio non avesse adempiuto ai suoi obblighi gli veniva sottratta una quartarola. Oggi invece l'armatore paga tutte le spese, fatto eccezione per il combustibile, lubrificante e le spese per il panatico e di cooperativa che vengono sottratte direttamente dal monte. La percentuale del guadagno spettante all'armatore, attualmente ammonta al 48,5 % mentre ai marinai viene distribuito in quartarole il 51,5 % rispettando le regole di un tempo.Che influenza aveva il mare nella salute del pescatore e quali erano le malattie più comuni?
Le malattie a cui andavano maggiormente soggetti i marinai erano la polmonite, la bronchite, i reumatismi poiché non erano muniti di equipaggiamenti adeguati, tant'è vero che per evitare di scivolare stavano scalzi.Che cosa facevano nel tempo libero?
Solitamente trascorrevano il tempo libero giocando a carte all'osteria, che un tempo era vicino alla pista di pattinaggio, oppure lavoravano in magazzino. Nei giorni festivi i giovani andavano al cinema Corso (Melandria).Quali erano i soprannomi più usati?
Ogni marinaio era conosciuto con il suo soprannome tanto che era impossibile rintracciare qualcuno con il suo vero nome. I soprannomi più diffusi erano: Arturo del Blin, Sbrocasepi, Gibìn, Scarèl, Pacalòs, Furtuna, El Rose, Cucmìn, Ging, Scarabochi, Merlòt, Sarâga, Sugìna, Cadorna, Spaventa, Gamba, Cavalin, Brescia, Bacil, Galinač, Magnapésc, Tutìn, Barambìn, Fagiòl, Fifét, Magnavent, Pipéta, Pistulìn, Ruscìn.Come vivevano i marinai pensando al rischio che correvano?
Il problema della sopravvivenza era talmente grave da indurli a non considerare affatto i pericoli che incombevano sulla loro vita.IV E Istituto Tecnico Commerciale "C.Battisti" di Fano, coord. Franca Del Pozzo, da: "Per la festa della nostra gente del mare", 1998
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 26.02.2005
Ultima modifica: 02.12.2012
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