Geologia e clima
La grande frana di S. Lazzaro di Fossombrone
Il 13 febbraio 1934 dal versante sud-orientale dei Monti della Cesana immediatamente a valle dell'abitato di S. Lazzaro di Fossombrone, si staccò una grande frana che travolse campi coltivati, alcune abitazioni e la strada di fondovalle, mietendo 11 vittime.
Il fenomeno si produsse nel tratto di valle in cui il Metauro attraversa ortogonalmente la dorsale carbonatica dei Monti della Cesana, incidendo il nucleo della struttura fino ai calcari selciferi giurassico-cretacici della Maiolica. Furono coinvolti dal franamento i calcari selciferi della Scaglia Rossa affioranti con giacitura suborizzontale nella porzione superiore del versante, immediatamente a valle dell'ex Azienda Forestale di Campo d'Asino.
La zona di distacco e il corpo di frana sono ancora ben visibili, nonostante la crescita della vegetazione spontanea e opere di rimboschimento. In particolare, la parte inferiore del corpo di frana si sopraeleva dalla superficie del terrazzo di fondovalle come cumulo detriti dalla sommità semipianeggiante nel suo insieme, ma tuttora contrassegnata nel dettaglio da serie di cumuli e depressioni. La porzione superiore dell'accumulo di frana si prolunga verso monte in una spessa lingua fortemente convessa; questa termina circa a metà versante contro l'ampia concavità che costituisce i resti della zona di distacco/scorrimento, la quale si estende a sua volta verso l'alto fino circa alla strada che collega Fossombrone con l'ex Azienda Forestale di Campo d'Asino.
I documenti storici, le foto depoca e le attuali evidenze di terreno e da foto aerea, attestano che la frana di S. Lazzaro del 13 febbraio 1934 fu repentina; tuttavia, alcune testimonianze narrano di segni premonitori, quali ripetuti scricchiolii e scomparsa di sorgenti, che lascerebbero presupporre una fase preliminare di trazione e di lentissimo scorrimento accompagnato da fessurazione delle masse rocciose (rock-creep). Qualunque sia stata lentità e la durata di queste eventuali fasi premonitrici, il fenomeno degenerò in un repentino scorrimento con debole rotazione della massa rocciosa, processo testimoniato sia dalle foto depoca che dallattuale forma concava piuttosto regolare delle zone di distacco e di scorrimento. A questo processo principale, si associò verosimilmente una vera valanga di rocce e detriti (fenomeno noto in certe classificazioni anglosassoni come rock avalanche), che fece da corona al velocissimo scorrimento del corpo di frana. La porzione più superficiale della massa rocciosa, infatti, durante la rovinosa corsa verso il basso si disarticolò completamente producendo una densissima nube di detriti e di polvere (il ricordo di questultima, assieme al fragore prodottosi, è uno degli elementi tuttora vivi nella memoria dei testimoni) che si espanse sul terrazzo alluvionale di fondovalle con modalità simili a quelle di una valanga di neve, comportamento tuttora testimoniato dalle cordonature concentriche che si produssero ai margini dellaccumulo e che sono ben riconoscibili anche sulle più recenti foto aeree.
Possibili cause geologicheLa frana di S. Lazzaro si è verificato in un'area di apparente stabilità, garantita potenzialmente nel suo insieme dalla giacitura suborizzontale di rocce calcaree piuttosto resistenti. Una attenta analisi delle caratteristiche geologiche e geomorfologiche del versante permette tuttavia di individuare alcuni settori distinti, con differenti e significative evidenze di condizioni sia di stabilità che di instabilità.
1) La base del versante dietro l'ex Tiro a segno di S. Lazzaro è ricoperta da depositi antichi (detriti stratificati), la cui formazione risale al termine del Pleistocene superiore e che testimoniano la relativa stabilità di questo settore per tutto l'Olocene, cioè negli ultimi 10.000 anni circa. Le forme d'erosione calanchiva visibili a sinistra del piede della frana nella foto d'epoca qui riprodotta, si impostano appunto su tali detriti; sono forme di instabilità estremamente superficiali, legate all'erodibilità dei detriti poco coerenti, ma che nulla hanno a che vedere con il grande e profondo fenomeno franoso. I successivi rimboschimenti e il diffondersi della vegetazione spontanea hanno fatto quasi scomparire queste forme d'erosione "pellicolare", della quale attualmente resta testimonianza solo in modestissimi fossi incisi nella coltre detritica.
2) Il settore immediatamente a valle della zona di frana, per alcune centinaia di metri, pur presentando una evidente degradazione superficiale non mostra indizi di instabilità rilevante o profonda. Qui, la base del versante è ricoperta da una fascia di detriti recenti, in parte ancora attivi, prodotti dalla progressiva degradazione delle rocce affioranti nei settori più elevati del versante stesso. A ridosso del margine destro del corpo di frana, compare una scarpata subverticale di circa 30 m di altezza prodotta dall'erosione selettiva dei termini poco resistenti, marnosi/marnoso-calcarei, delle Marne a Fucoidi. Questa forma d'erosione, come si evince dalla foto d'epoca qui riportata, è rimasta pressochè inalterata dagli anni '30 a oggi.
3) Il settore occupato dalla frana (insieme della zona di distacco, zona di scorrimento e parte alta della zona di accumulo) cade in un'ampia rientranza del versante, preesistente rispetto all'evento franoso. Questo "vallone" si è sviluppato lungo una linea di debolezza (e quindi di potenziale instabilità) della struttura geologica, corrispondente con un sistema di faglie/fratture ad andamento circa nord-sud che percorre l'intero versante dalla base alla sommità e fa sì che l'erosione risultati più rapida ed efficace. Verso la parte medio-bassa del versante, il sistema di faglie attraversa le già deboli Marne a Fucoidi di cui al punto precedente e le condizioni di potenziale instabilità lungo il "vallone" vengono accentuate dall'accresciuta fratturazione.
4) La parte superiore del versante è ovunque interessata da scorrimenti vasti e talora profondi. Un po' ovunque al di sopra di tutti i tre settori sopra descritti, si riscontrano infatti evidenze di movimenti franosi che sembrano almeno in parte evolvere in direzione del Fosso di S. Lazzaro (SW) lungo un piano immergente verso il Fosso stesso. Questi processi determinano instabilità sia sul fianco nord-orientale del Fosso di S. Lazzaro che nella porzione superiore del versante da cui ha preso origine la frana di S. Lazzaro. Nel primo punto si osservano infatti grandi masse rocciose disarticolate e attiva erosione per fossi e piccole frane superficiali dovute alla progressiva frammentazione della massa in movimento. Nel secondo punto, oltre a grandi masse rocciose disarticolate, ruotate e fessurate, si osservano scarpate arcuate prodotte dal movimento, contropendenze e la grande depressione in corrispondenza dell'ex Azienda Forestale; quest'ultima in particolare, non è altro che una grande trincea di frana, prodotta dalla lacerazione indotta dallo scorrimento verso SW delle masse rocciose e successivamente riempita di detrito. Anche se tutte le forme osservate nei dintorni di Campo d'Asino sono al momento apparentemente inattive, da un lato è probabile che queste vengano prima o poi riattivate anche parzialmente o marginalmente e, d'altro canto, i passati processi di scorrimento hanno già prodotto una disarticolazione e fessurazione delle masse rocciose coinvolte tali da rendere le stesse instabili.
L'indebolimento delle masse rocciose affioranti nella parte alta del versante, conseguente a processi di scorrimento da lungo tempo in atto, si associa quindi alla debolezza dei terreni intensamente fratturati presenti lungo il "vallone" in cui si è sviluppata la frana. Una parte cospicua delle masse rocciose coinvolte nel franamento si è staccata proprio dalla parte alta del versante, dal margine del più vasto scorrimento verso SW che interessa tali zone. Come è dimostrato dalla superficie concava di scorrimento che, pur restringendosi verso il basso, si estende ben al di sotto del margine inferiore dello scorrimento suddetto, altro materiale roccioso si è staccato dal "vallone", probabilmente per il cedimento dei termini più deboli, alla base delle Marne a Fucoidi.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 21.02.2004
Ultima modifica: 21.02.2004
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