Itinerari
M. Paganuccio, dal Fosso del Rio alla vetta (sentieri CAI n.450a, 452 e 450)
M.PAGANUCCIO, DAL FOSSO DEL RIO ALLA VETTA (sentieri CAI n.450a, 452 e 450) (Comune di Cagli)
Tempo di percorrenza: h 5 30’ (percorso a palloncino)
Lunghezza: 16 km
Dislivello: 800 m
Difficoltà: EE
Ultima verifica dell'itinerario: 2023
Dei due monti del Furlo, il Paganuccio è il più grande e il più alto. Le sue pendici occidentali sono particolarmente scoscese e affrontare l’intera ascesa da qui richiede un buon allenamento e diverse ore di cammino in salita. In compenso quello che si attraversa nella prima parte è quello col bosco originario, anche se ovviamente nel tempo sottoposto al taglio ceduo.
Si parte dal paesino di Furlo, poco prima del ristorante La Ginestra, sulla destra provenendo da Acqualagna. Il ponte che sovrasta il Candigliano è la prima immagine da catturare.
La strada va in direzione di Bargello e dopo pochi minuti, sulla sinistra, si scorge il sentiero che entra nell’alveo del Fosso del Rio. Appena dopo il guado inizia la salita che a tratti è dura, ripida e ostacolata dal profondo solco creato soprattutto dalle moto che illegalmente continuano a violare senza vergogna la Riserva Naturale.
Ci sono poche tregue al declivio, il ghiaino sul fondo del tracciato non aiuta e il solco scavato dalle moto rende alcuni tratti davvero scomodi. La prima parte dell’ardita ascesa di questo versante termina con i resti impressionanti della casa di Roncomaia. Lo stradello che collegava la casa è un insperato momento per rifiatare camminando praticamente in piano. Pochi minuti e il sentiero scarta a sinistra per ricominciare a salire. Non ci sono quasi mai le pendenze precedenti ma la salita non darà pause fino alla spianata che anticipa l’arrivo alla casa forestale della Pradella. Sulla sinistra del caseggiato, dove è stata creata un’area pic-nic, il sentiero riparte addentrandosi subito nel bosco. Nella sua parte alta la pineta che attraversiamo sfuma e appaiono alcuni eleganti abeti greci e abeti di Douglas. La salita dopo la Pradella termina su un viottolo pianeggiante che incontriamo dopo la pineta e gli abeti, quando occorre deviare a destra e raggiungere un luogo nel bosco in cui troviamo dei tavoli e addirittura dei cestini per i rifiuti. L’ascesa prosegue in modo quasi impercettibile, il sentiero è stretto e quando si apre lo sguardo scopriamo quanto in alto siamo arrivati e la bellezza del panorama dei colli e dell’Appennino che riempie l’orizzonte. Il passaggio nel Fosso delle Rave non passa inosservato, per i grandi alberi, le fioriture e le rocce ed una sorta di cengia che ci immette nella terza parte di questa salita. Dopo una curva cambiano molte cose attorno a noi: il bosco rimane ora distante dal sentiero e mostra di essere quasi tutto di conifere. Più vicini a noi ora ci sono ginepri e dopo pochi minuti si accostano al percorso anche i pini neri, ma sono pini giovani disseminati da quelli piantati dall’uomo. Quando invece la scena la prendono le ginestre il sentiero inizia a compiere ampi tornanti per superare l’accentuarsi della pendenza, in una zona sempre meno boscata da dove si incominciano a scorgere in alto i pascoli della sommità. Il versante punteggiato di alberelli e cespugli poco alla volta si trasforma in un prato più compatto che ci accompagna nell’arrivo alla Pianaccia. Siamo sbucati nella strada che porta ai pascoli del Sodo, andiamo a sinistra e ci camminiamo fino alla sbarra che non è solo il punto in cui le macchine, per fortuna, non vanno più avanti. La conca sulla destra ha al centro uno strano biancospino vecchio e sofferto: siamo al Passo del Lupo. Usiamo il biancospino come riferimento, ci arriviamo vicino e andiamo a sinistra per dare il via ad una lunga marcia allo scoperto, nel bel mezzo dei pascoli sommitali. Superato un dosso, appena oltre un avvallamento, ecco la vetta, rotonda e alberata, con una vecchia antenna che ne ingombra una parte e tra gli alberi la colonnina dell’Istituto Geografico Militare. Per iniziare la discesa dobbiamo girarci verso i prati da cui siamo arrivati e piegare a destra fino ad arrivare allo stradello in basso, dove svoltiamo a destra. Ora il fondo è di ghiaia ed è l’unico inconveniente mentre entriamo nel bosco di latifoglie che più tardi diventa di aghifoglie, dopo di che ci troviamo alla sbarra e alla strada di breccia, che utilizziamo andando a sinistra, ancora in discesa, per trovare poco dopo un incrocio sotto le stalle di Sant’Ubaldo. All’imbocco dello stradello che sale sulla collinetta c’è uno sentiero a sinistra che si infila tra una fascia di arbusti spinosi e varca una sbarra. Questo è l’accesso alto alla Valle del Buzzo. Dopo una curva e un rapido passaggio allo scoperto, la fascia di vegetazione che avvolge il sentiero per un po’ non permette di guardarsi attorno e anzi il ciottolame a terra consiglia di guardare dove mettiamo i piedi. Almeno fino ad un’ampia curva che svolta a destra. Ecco aprirsi sempre di più la visuale: alla curva successiva siamo sul bordo di un’area con prati cespugliati, punteggiati infatti di ginepri, rose canine e prugnoli. Il sentiero scende ancora ma non per molto perché poi si cammina quasi in piano per ritrovarci ai piedi della valle dell’Inferno che di solito ospita cavalli al pascolo. Il sentiero passa in mezzo a due strisce di alberelli, in salita, e raggiunge il cancello della recinzione. Di seguito percorriamo la strada bianca andando a destra prima del gran finale e per ritrovarci dopo un paio di minuti alla Pradella, dove chiudiamo la parte ad anello di questo itinerario. Non resta che andare a ritroso rispetto all’andata. Quindi all’altezza della casa si prende a destra, si attraversano piccole radure, si entra e inizia la discesa. Sarà lo stradello di Roncomaia ad interromperla per portarci al cospetto di quei muri rosa e poi di nuovo giù, di nuovo il bosco e stavolta le pendenze diventano a tratti impegnative e perfino complicate per via del solco scavato dai nemici dei sentieri: i motociclisti. Il rumore del torrente ci fa capire che siamo praticamente arrivati. Non resta che oltrepassarlo e raggiungere la strada da dove eravamo partiti.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 11.03.2024
Ultima modifica: 17.09.2024
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