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Pesaro e dintorni negli aspetti naturali: Flora e veget...

Pesaro e dintorni negli aspetti naturali: Flora e vegetazione - Il litorale


PESARO E DINTORNI NEGLI ASPETTI NATURALI

Flora e vegetazione - Il litorale
Cenni generali. Un discorso sulla flora e sulla vegetazione del litorale pesarese rischia oggi di essere puramente teorico; questa parte del nostro territorio è infatti ridotta a così poca cosa, ed i suoi ambienti sono talmente degradati, da rendere ben difficile il trovarvi ancora qualche aspetto da trattare. Comunque, se vogliamo esaminare ciò che ne resta, dobbiamo considerarla - per quanto riguarda la zona strettamente litoranea - ripartita in due settori: quello in sinistra del Foglia o nordoccidentale (da sotto Fiorenzuola di Focara alla foce del fiume), e quello in destra del Foglia o sudorientale (dalla foce sopraddetta al Fosso Sejore). Un cenno a parte meritano gli ambienti umidi e subumidi salmastri presenti un tempo nella zona retrodunale che si estendeva da sotto le pendici del Colle di S.Bartolo (Piazza d’Armi) sin presso Villa Ardizia; ambienti ora del tutto scomparsi, cancellati dall’ampliarsi dell’abitato cittadino sino all’estremo limite interno della spiaggia; ne tratteremo da ultimo in visione retrospettiva. I settori sopra citati si diversificano fra loro per caratteri morfologici ed ambientali: diversa è la giacitura e la natura del suolo, diversa l’esposizione, diverse la Flora e la vegetazione, diverse infine varie altre peculiarità che noteremo a suo luogo.

Lungo il litorale troviamo i consorzi vegetali tipici dell’orizzonte mediterraneo (suborizzonte litoraneo) del “piano basale”, ossia della prima di quelle partizioni altitudinali nelle quali viene suddivisa la vegetazione sulla base della distribuzione di determinate formazioni ed associazioni. La flora è piuttosto povera, e la vegetazione in genere scarsa; esse sono caratterizzate da un elevato numero di piante alofile (ossia adatte e resistenti ad una elevata salinità dell’ambiente), maggiore presso la riva del mare, via via più ridotto con l’allontanarsene.

A partire dalla battigia, si osserva una zonazione a fasce parallele, ora assai netta, ora più o meno sfumata, ma sempre ben distinguibile là ove l’assetto naturale non è stato disturbato; zonazione che è particolarmente evidente su quelle spiagge sabbiose o ghiaiose che sono le più comuni nella nostra regione. Si inizia con una “zona afitoica” (ossia del tutto priva di vegetazione), battuta e livellata dal moto ondoso e dall’alternarsi delle maree; segue una zona solo saltuariamente bagnata dalle acque durante le burrasche, e qui si insedia una rada vegetazione pioniera costituita da piante resistenti alla salsedine e alla mobilità delle sabbie e delle ghiaie, piante colonizzatrici di un ambiente del tutto sfavorevole a formazioni vegetali di tipo evoluto; più all’interno, là ove inizia l’elevarsi di accumuli di sabbia ancora piuttosto mobile (“zona delle dune mobili”), altre specie di piante dànno luogo a differenti consorzi; una successiva ultima zona è infine costituita dalle dune finissime e consolidate (“zona delle dune fisse”), ospitanti una flora ed una vegetazione ben più ricche e varie delle precedenti, la seconda spesso con aspetti steppici (“steppe litoranee”). Tale successione di fasce, che corrisponde ad una successione di ambienti il cui fattore predominante è la salinità via via minore con l’allontanarsi dal mare, era un tempo ben osservabile lungo tutto il litorale in destra del Foglia, e probabilmente - prima che l’erosione ne asportasse tanto larga parte - anche nel tratto di quello in sinistra fronteggiante la vecchia Piazza d’Armi; oggi ne rimane qualche modestissimo frammento tra Villa Ardizi e la foce del Fosso Sejore, e con caratteri tanto alterati che solo con una certa dose di buona volontà si riesce ancora a distinguerli.

Indubbiamente la regione litoranea pesarese ebbe in tempi ormai lontani un’estensione in larghezza assai superiore all’attuale. Ancora ai primi dell’800, dopo una visita nel Pesarese, Paolo Spadoni (illustre naturalista marchigiano vissuto dal 1764 al 1826) descriveva il territorio “sotto le Coste” (dell’Ardizio) dicendo che “tra le sterili sabbie ed il piede del Monte evvi largo spazio d’incirca ducento a trecento canne romane, con abbondanza d’erbe, e di cespugli, e d’arboscelli, e con siti freschi ed umidi, ornati della mirabile vegetazione de’ luoghi palustri”; ciò significa che in quel tratto il litorale aveva una larghezza quasi tripla dell’attuale, e del resto a mia memoria solo negli ultimi quarant’anni ne son venuti meno 50 metri o più. Il mare ha eroso la costa per diecine e centinaia di metri, e di quel che è rimasto ha fatto scempio l’uomo nell’utilizzare il suolo sia a fini di indubbio beneficio sociale (la costruzione della strada e della ferrovia), sia con attività di rapina speculativa che, per il profitto di pochi, hanno privato la collettività di un patrimonio paesistico e naturalistico difficilmente valutabile, ma senza dubbio cospicuo.

Il litorale in sinistra del Foglia. Se si eccettua la parte compresa tra la foce del fiume e le prime pendici del Colle di S. Bartolo (ove un tempo dovevano trovarsi ambienti identici o assai simili a quelli che ci si presenteranno trattando del litorale sudorientale, e che comunque è attualmente ridotta - per erosione della costa e per azione umana - in condizioni tali da non meritare alcuna parola), il litorale pesarese di Nordovest possiede caratteri ben diversi da quelli generici illustrati sinteticamente nell’articolo precedente. La più o meno ripida costa a falesia - falesia ancor “viva” almeno nella parte basale - precipita direttamente nel mare: la spiaggia praticamente non esiste, e, là ove se ne intravvede qualche lembo non sommerso neppure durante l’alta marea, è ciottolosa, e del tutto interessata dalla zona afitoica.

L’ambiente è dei più sfavorevoli anche all’insediarsi di piante adattate a forte salinità ed a temperature piuttosto basse; l’esposizione è nettamente a Nordest (e quindi i venti di greco colpiscono in pieno la costa), l’insolazione diurna - particolarmente nei mesi dall’autunno alla primavera avanzata - è notevolmente ridotta per l’incombere delle sovrastanti ripide pendici del rilievo del M. Accio, e l’azione dei frangenti si esercita con prepotenza per qualche metro di altezza sulla base della falesia, mettendo a nudo con continua erosione ed abrasione sterili argille, marne, e arenarie. La zonazione in fasce parallele, della quale dissi trattando genericamente del litorale, è qui poco meno che indistinguibile.

La prima linea della vegetazione si abbarbica al piede del rilievo costiero, ed è costituita - in particolare là ove affiorano arenarie e marne calcaree, e quindi il suolo presenta maggiore resistenza all’erosione - da radi cespugli di Crìtamo o Finocchio marino (Crithmum maritimum) e di Enula marina (Inula crithmoides), due piante erbacee perenni, un po’ suffruticose, a foglie carnose, con fioritura tardo-estiva, a fiorellini bianco-verdicci in ombrelle la prima, in capolini gialli la seconda. Poco frequente è in questo settore la Ruchetta di mare (Cakile maritima), classica pianta pioniera dei litorali, a foglie carnose e fiori roseo-violacei, e così pure la spinulosa Erba-Cali (Salsola kali), rosseggiante in autunno; rarissimo poi il Ròscano (Salsola soda), dalle foglie cilindriche e succolente, la stessa pianta che viene coltivata e commerciata da noi con i nomi dialettali di “riscoli”, “rischeni”, o “lischeri”, e che si usa per preparare, dopo cottura, una delle più gustose insalate primaverili-estive.

In seconda linea troviamo qua e là - specialmente sulle argille e marne argillose - colonie di una Graminacea a foglie glaucescenti, rigide, ruvide e un po’ pungenti: il Dente di cane marino (Agropyron pycnanthum), dalle caratteristiche spighe distiche; ad essa si associano talora due congeneri assai affini, e tanto simili che spesso solo il botanico provetto riesce a distinguere di quale delle tre specie si tratti; il Dente di cane comune, o “dentacchio” (Agropyron repens), qui rappresentato da varietà o forme alofile), e il Dente di cane maggiore (Agropyron intermedium), ambedue di colore grigio-verde o glauco. Qua e là - in particolare dove i solchi calanchivi, convogliatori di acque meteoriche e superficiali, sfociano direttamente al mare - ciuffi di Cannuccia palustre (Phragmites communis) si innalzano a diretto contatto con il margine interno della zona afitoica, o talvolta in riva all’acqua. Poche altre piante, per lo più banali ed ubiquiste, spesso ruderali (ossia tipiche abitatrici di luoghi incolti e maceriosi, fortemente antropizzati), che si ritrovano poi in moltissimi altri luoghi del nostro territorio, completano il piuttosto scialbo quadro floristico e vegetazionale di questa ristrettissima cimosa litoranea; fra l’altro, si notano non di rado alcune Chenopodiacee, come l’Atreplice comune (Atriplex hastata) qui presente per lo più con la var. salina adattata ad ambienti salati, qualche Farinaccio (Chenopodium album e specie affini), ed altre ancora sulle quali non vale la pena di spendere parole.

A pochi o pochissimi metri sopra il limite interno della battigia inizia già la tipica vegetazione delle nostre falesie, dominata dalla Cannuccia di Plinio (Arundo plinii); vegetazione che, almeno per quanto concerne una fascia di alcune diecine di metri dalla riva del mare, dovremmo a fil di norma considerare ancora come elemento del litorale, ma che nel nostro caso prenderemo in esame a parte, quando appunto tratteremo della flora e della vegetazione delle falesie.

Il litorale in destra del Foglia. La spiaggia che si estende per circa 6 km tra il Porto di Pesaro e la foce del Fosso Sejore costituisce il settore sudorientale del nostro litorale; un settore lungo pressoché quanto il nordoccidentale, ma dotato di caratteri morfologici ed ambientali ben diversi. L’esposizione oscilla qui, seppur di poco, tra Nordest ed Est-Nordest, e la costa è colpita dai venti di greco con minor violenza rispetto alla parte in sinistra del Foglia; l’insolazione diurna è notevole nel tratto fronteggiante la città (dal Porto a poco oltre il Gènica), piuttosto ridotta nel rimanente per il sovrastare del rilievo dell’Ardizio, pur senza raggiungere - per la minore altezza e la maggior distanza dal mare del rilievo stesso - i minimi che si registrano a Nordovest del Foglia. Il carattere che tuttavia più diversifica questo settore dal precedente è la presenza di una piatta spiaggia sabbiosa, ancora relativamente larga malgrado il progredire dei fenomeni erosivi, ed ospitante - almeno in qualche punto - una flora e una vegetazione discretamente ricche e varie, con fisionomia accentuatamente mediterranea.

Il tratto compreso tra il Foglia e Villa Ardizia ha ormai poco o nulla di naturale: sporadici e incospicui avanzi di vegetazione litoranea si osservano qua e là, ma rappresentano solo una traccia evanescente di ciò che esisteva un tempo, e la spiaggia è qui ridotta al solo arenile nudo e afitoico. Ben diverse ne erano le condizioni ancora da trenta a sessant’anni addietro, ma oggi non val più la pena di prenderlo in considerazione; il mio discorso si riferisce quindi solo a quel poco che persiste in alcuni punti tra Villa Ardizia e il Fosso Sejore, un “poco” dai giorni ormai contati, visto quanto si è verificato negli ultimi 3 o 4 lustri.

La “zona afitoica” si estende - ove più, ove meno - su circa metà larghezza della platea sabbiosa, e il suo limite interno (massimo punto raggiunto mediamente dalle escursioni orizzontali delle acque marine) è segnato dal comparire delle prime piante colonizzatrici delle sabbie mobili e salate; piante tipicamente psammofile (ossia abitatrici preferenziali di terreni sabbiosi) costituenti un’associazione che - dal nome della più caratteristica fra esse, la Cakile maritima o Ruchetta di mare - è denominata Cakiletum. Assieme alla Ruchetta crescono la Lappola (Xanthium italicum), dalle infruttescenze fittamente aculeate, e rari individui di specie che solitamente si tengono più al sicuro in seconda o terza linea, quali l’Erba-Cali (Salsola kali), l’eretto e glauco-giallastro Tortomaglio marino (Euphorbia paralias), la Portulaca marina (Euphorbia peplis), piattamente prostrata, l'Enula marina (Inula crithmoides), e poco d’altro.

Pochi metri più all’interno la rada vegetazione assume aspetti un poco più evoluti con l’Agropireto (Agropyretum mediterraneum), caratterizzato dal robusto Dente di Cane giunchiforme (Agropyron junceum), cui si accompagnano la spinosa e grigio-azzurrognola Calcatreppola marina (Eryngium maritimum), il Cipero delle sabbie (Cyperus kalli), il Convolvolo delle sabbie dalle delicate corolle rosee (Calystegia soldanella), la spinosa Pastinaca marina (Echinophora spinosa), i già detti Tortomaglio marino, Portulaca marina, ed Erba-Cali, lo strisciante Trìbolo (Tribulus terrestris), dai frutti robustamente aculeati (noti con il significativo nome dialettale di “pinzacùle”), e poche altre specie.

Le piante sopraccitate le troviamo ancora nei consorzi che si insediano sulle prime basse dune ancor mobili, ma qui l’aspetto vegetazionale più tipico è costituito dalla presenza della tenacissima Ammòfila o Sparto delle sabbie (Ammophila arenaria), classica edificatrice e fissatrice delle dune, principale elemento di un’associazione (Ammophiletum) alla quale partecipano la grigio-tomentosa Medica delle sabbie (Medicago marina), dai fiori giallo-dorati, la rosea Silene colorata (Silene colorata), l’Erba-strega marina (Stachys maritima), il Palèo delle sabbie (Koeleria pubescens), e qualche altra specie.

La successiva zona delle dune fisse - un tempo tanto ampia da ospitare qualche modesto e magro campo coltivato - è oggi ridotta a poco meno che nulla: vera disdetta; ché ospitava non poche specie molto interessanti, ora del tutto scomparse dai nostri lidi - così l’Ambrosia marina (Ambrosia maritima) - o divenute estremamente rare, come la Scopa delle sabbie (Kochia laniflora). La flora e la vegetazione si fanno qui più ricche e varie, anche se le più caratteristiche piante arenicole si rarefanno o scompaiono completamente; ancora pochi lustri addietro si trovavano in questa zona almeno 150 specie o più, oggi sono invece molte di meno, ma qualche cosa si può ancora osservare. Non è certo possibile menzionare tutto quel che c’è, ma val la pena di ricordare alcune delle specie più caratteristiche popolanti questi ambienti substeppici: l’alta Rapunzia (Oenotera biennis) dai grandi fiori gialli, la Vedovina marina (Scabiosa maritima), con i capolini roseo-lilacini, gli odorosi cuscinetti bianco-grigiastri del Polio bianco (Teucrium polium), l'aromatica Salvia delle sabbie (Salvia multifida), a fiori ceruleo-chiari, l’Erba astrologa (Aristolochia clematitis) dagli strani fiorellini giallicci, la Reseda bianca (Reseda alba), la Gruaria delle sabbie (Erodium laciniatum), l’Erba stellaria o Corno cervino (Plantago coronopus), il Trifoglio stellato (Trifolium stellatum); e poi molte Graminacee, quali la Coda di lepre dalle pannocchiette piumose e bianchicce (Lagurus ovatus), la Gramigna-lappola (Tragus racemosus), la Codolina delle sabbie (Phleum arenarium), i Sonaglini (Briza maxima), i vari Denti di cane (Agropyron litorale, A. intermedium, A. repens), ed altre ancora che sarebbe troppo lungo citare. Sono anche da ricordare due esotiche naturalizzate, di origine americana, diffusesi sul nostro litorale negli ultimi decenni: l’Ambrosia perenne (Ambrosia psylostachya), e la Gramigna triboloide (Cenchrus pauciflorus).

La scarpata della linea ferroviaria - ambiente ghiaioso o roccioso artificiale con flora o vegetazione sue proprie, ove si rinvengono il giallo Papavero cornuto (Glaucium flavum), l’Enula e il Finocchio marini, il Cocomero asinino (Ecballium elaterium), la Landra (Raphanus landra), le diverse Viperine (Echium italicum, E. plantagineum, E. vulgare), il Camedrio (Teucrium chamaedrys), il gigantesco Cardo illirico (Onopordon illyricum), il Rincio o Scòlimo (Scolymus hispanicus), e tante altre specie - segna il limite interno del litorale strettamente inteso. Subito dopo inizia la “cannicciaia” di Cannuccia di Plinio (Arundo plinii) - talora associata alla Canna comune (Arundo donax), residuo di antiche colture - che, superata la Strada Statale Adriatica, prosegue inerpicandosi sulle falesie dell’Ardizio.

Gli ambienti umidi litoranei. Da Nordovest a Nord, Nordest ed Est, fuori della cinta delle antiche mura roveresche, la città di Pesaro era un tempo semicircondata da una distesa di terreno aperto che andava dalla piana di Soria sin presso Villa Ardizia; ancora alla fine del XIX Secolo - stando alla pianta topografica elaborata nel 1891-92 da R. Mengaroni e allievi - sorgevano su quest’area (ad eccezione della zona del Porto e dello Stabilimento Balneario) solo poche costruzioni rurali. Orti, campi e pascoli ne occupavano circa i tre quarti interni e mediani, mentre lungo la spiaggia e nella zona detta “tra i due Porti” (ossia tra il porto-canale e il tratto finale dell’alveo del Foglia, escavato attorno al 1858) si estendeva una larga fascia incolta, delimitata verso mare da una cimosa di arenili, dune mobili e fisse, e steppe litoranee; tra questa e i coltivi si trovavano stagni e acquitrini (i “guazzi”) con vegetazione tipicamente palustre (più addensati nella parte depressa a Sudest del Porto, ove ristagnavano le acque defluenti dall’interno, cui il cordone delle dune litoranee sbarrava la via al mare), e ambienti subpalustri - temporaneamente inondati nei periodi piovosi, o solo genericamente freschi - localizzati nei punti meno depressi, e distribuiti lungo tutta l’area, dalla Piazza d’Armi alla parte di Sotto Monte.

Sull’area sopraddetta la città si estese gradatamente a iniziare dagli anni a cavallo tra il XIX e il XX Secolo, e soprattutto dopo il 1918; ancora tra il 1925 e il 1930 - e anche un po’ più tardi - entro la rete viaria dell’attuale Zona Mare persistevano (nelle cosiddette “buche” o “vasconi”) avanzi degli ambienti sopraccennati, ospitanti residui di una flora e di una vegetazione delle quali oggi ci resta solo qualche testimonianza nella poca letteratura scientifica locale, in rari campioni d’erbario raccolti nel Secolo scorso e all’inizio dell’attuale da P. Petrucci, A. Bertoloni, F. Parlatore. L. Guidi, A. Scagnetti, L. Paolucci, F. Cardinali, e pochi altri, e nella memoria dei superstiti della generazione precendente la mia; io stesso ne conservo qualche tenue ricordo risalendo agli anni della prima infanzia, tra il 1926 e il 1930.

Si trattava certamente di flora e vegetazione fra le più interessanti, con specie ed associazioni oggi estinte nel nostro territorio (quando non nell’intera Regione), poche delle quali si ritrovano ancora in saltuarie stazioni costiere dalla foce del Metauro in giù, mentre l’antica distribuzione doveva essere pressocché continua dal litorale nord-adriatico a quello abruzzese ed oltre. Checché ne dicano i fautori a oltranza della bonifica e dell’utilizzazione del suolo sino all’ultimo centimetro quadrato, la completa distruzione di certi ambienti (anche se in qualche caso motivata da esigenze tecniche e sociali) costituisce sempre un vero misfatto e una perdita gravissima per il patrimonio naturale della zona costiera, patrimonio che del resto ha raggiunto nell’intero Paese valori tanto bassi (direttamente proporzionali al livello della coscienza culturale e naturalistica della generalità degli Italiani) da poterlo considerate assai prossimo al totale annientamento.

Riguardo agli ambienti sabbiosi e steppici vale quanto già detto trattando del litorale in destra del Foglia; la flora e la vegetazione non potevano essere che le stesse, forse con maggior copia di piante termofile (ossia preferenziali abitatrici dei luoghi più caldi), data la maggiore insolazione del settore (aperto per di più ai venti di Sudovest), e quindi con un’impronta più accentuatamente mediterranea. Sappiamo che vi si trovavano - anche in abbondanza - la Scopa delle sabbie (Kochia laniflora), le Erbe bozzoline (Trifolium tomentosum, T. suffocatum), la Vetturina indiana (Melilotus indicus), il Tortomaglio maggiore (Euphorbia characias) (1), l’Erba-croce muraiola (Valantia muralis), l’Ambrosia marina (Ambrosia maritima), il Giunco romano (Holoschoenus romanus), l’Erba setolina (Psilurus aristatus), l’Erba riccia (Parapholis incurva), e una moltitudine di altre piante abituali abitatrici di questi luoghi aridi e salmastri. Forse vi esistevano anche specie che crescevano (o crescono tutt’ora) sulla costa a settentrione e meridione del Pesarese, quali l’Eliantemo ionico (Helianthemum jonium) e il Narciso marino (Pancratium maritimum), e qui - o negli stretti paraggi - erano probabilmente le stazioni di Porrazzello (Asphodelus fistulosus), di Porrazzo estivo (A. microcarpus), e di alcuni Zafferanelli (Romulea columnae, R. bulbocodium), segnalate nel Secolo scorso da A. Scagnetti e L. Paolucci.

Negli ambienti spiccatamente palustri la specie dominante era la Cannuccia di palude (Phragmites communis), variamente associata a Mazzasorde o “sgarz” (Typha latifolia, T. angustifolia), Biodo (Sparganium neglectum), Scirpo o “broja” (Scirpus maritimus), Marisco o “sgarzon” (Cladium mariscus), vari Giunchi dei Generi Holoschoenus, Schoenoplectus, Juncus, ecc., varie Carici (Carex riparia, C. acutiformis, ecc.), Piantaggini d’acqua (Alisma plantago-aquatica, A. lanceolatum), Gigli d’acqua (Iris pseudacorus), e chissà quante altre piante. Nelle acque più libere e profonde vegetavano la Lingua d’acqua o “foj d’aqua” (Potamogeton natans) e altre congeneri, nelle più basse l’Alga di fiume (Zannichellia palustris), nelle più salmastre le Ruppie (Ruppia maritima, R. spiralis); di molte altre specie certamente nessuno ha mai registrato la presenza, e se ne è completamente perduto il ricordo.

Anche la flora e la vegetazione degli ambienti subpalustri dovevano essere molto interessanti. Certamente vi si trovavano parecchie delle piante prima citate, ma la loro maggior nobiltà derivava dalla presenza delle Salicornie annue e perenni (Salicornia europea, Arthrocnemum fruticosum), del Raspano (Suaeda maritima), della Porcellana marina (Halimione portulacoides), del Lino marino (Linum maritimum), dei Mille-fiorini (Centaurium spicatum, C. maritimum), delle Statici (Limonium serotinum, L. oleifolium), dell’Agno-casto o “pianta del pepe” (Vitex agnus-castus), dei Giunchi pungenti (Juncus acutus, J. litoralis, J. maritimus) e del Giunco nero (Schoenus nigricans), di varie Carici (Carex extensa, C. divisa, ecc.), della Gramigna spinosa (Crypsis aculeata), della Coda di volpe (Polypogon monspeliensis), dell’Erba magra (Parapholis strigosa), per tacere di una infinità di altre.

Che cosa é rimasto di tutto questo? Nulla. L’ultima traccia evidente della passata esistenza di ambienti umidi lungo il litorale pesarese sembra oggi segnata dai rari individui di Dulcamara (Solanum dulcamara) che con i loro corimbi di fiorellini viola e di bacche rosse, ancora si ostinano a spuntare in qualche luogo fresco dei giardini della Zona Mare, incuranti delle modificazioni ambientali verificatesi attorno a loro.

Nota del curatore
(1) Questa specie non viene citata dagli autori del XIX secolo (PAOLUCCI e altri).


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 26.08.2010
    Ultima modifica: 27.11.2010

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