Opere specialistiche
Pesaro e dintorni negli aspetti naturali: Flora e vegetazione - I colli: boschi, Selva di S. Nicola, siepi e arbusti
PESARO E DINTORNI NEGLI ASPETTI NATURALI
Flora e vegetazione I colli: boschi, Selva di S. Nicola, siepi e arbusti
I boschi.
Parlando della vegetazione forestale del Pesarese appare un po anacronistico luso del termine bosco (o magari selva, come si dice nel linguaggio popolare), termine che, oltre ad avere un suo preciso significato, richiama alla mente grandi aree fittamente ricoperte da alberi annosi e da tutto un corteggio di piante nemorali, e che sembra davvero eccessivo per definire i pochi frammenti ancora esistenti da noi. Come più volte ho avuto occasione di far rilevare, la distruzione del manto forestale del nostro territorio risale ad epoca remota, e già qualche secolo addietro non si poteva parlare più di lembi di bosco: lembi che tuttavia ancora un centinaio di anni fa dovevano avere una consistenza singola e complessiva relativamente apprezzabile, e che ricevettero il colpo di grazia nel periodo tra fine 800 e prima guerra mondiale. Negli ultimi anni del secolo scorso esistevano ancora la Selva di Ciarciano (a Nordovest del M. della Badia, più volte ricordata da P. PETRUCCI, L. GUIDI, A. SCAGNETTI ed altri) e varie aree boscate minori, della maggioranza delle quali si è perduta ogni memoria, mentre di altre in buona parte scomparse in epoca precedente sopravvive il ricordo in qualche significativo toponimo: Sotto le Selve, Valle e Pantano dei Castagni, M. del Castagneto, tutti nei dintorni di S. Veneranda, Selva Grossa, tra Case Bruciate e Monteluro, i Ronchi lungo un ramo del Fosso della Ranocchia, ecc. Anche lestensione dei lembi oggi superstiti era superiore allattuale non solo nel secolo passato, ma anche allinizio del presente, e ne fanno fede le vecchie mappe catastali e carte topografiche; la loro maggior riduzione si verificò forse al tempo della guerra 1915-18, ma altre se ne ebbero in seguito, con la battaglia del grano e lultimo conflitto mondiale, e di alcune di queste io stesso fui testimone: la Selve di S. Nicola e della Badia subirono oltre ad un massiccio abbattimento di alberi di maggior dimensione asportazioni di aree marginali dissodate per ricavare poche tavole di terreno coltivabile tuttaltro che pingue; e a nulla più che semplici gruppi dalberi furono ridotti boschi già molto modesti, quali la Selva Gasperini presso il Passo di Trebbiantico, e la Selva dei Canneti tra Cattabrighe e S. Marina. Oggi i lembi boschivi del Pesarese conservanti caratteri naturali più o meno evidenti malgrado i fortissimi rimaneggiamenti assommano a una dozzina. Alcuni fra essi (come le sopraddette Selve dei Canneti e Gasperini) hanno dimensioni così limitate, e sono tanto degradati, da non attirare lattenzione del botanico se non per qualche sporadico elemento della flora del sottobosco. Altri sono da lungo tempo inseriti nei parchi di vecchie o antiche ville (così la Selva di Valmanente presso S. Nicola, dellAngelo Custode sui colli tra Villa Baratoff e la Madonna dei Mazza, di Trèsole, ecc.), e tanto alterati con lintroduzione di piante estranee alla nostra flora da non poter più richiamare lattenzione del naturalista. Altri ancora (come la Selva della Badia poco oltre S. Colomba) hanno subito in questi ultimi anni dei processi di degradazione del sottobosco con soffocanti invasioni di Rovi, Vitalbe e Robinie tali da provocare un impressionante impoverimento floristico e una profonda modificazione degli aspetti vegetazionali.
Che io sappia, lunico bosco del Pesarese ancora notevole non tanto per lestensione (che è limitata), quanto per i caratteri floristici e vegetazionali, è la Selva di S. Nicola, alla quale dedicheremo un successivo particolare discorso, trattandosi del solo lembo forestale veramente notevole e rappresentativo sotto molteplici profili oggi esistente nel nostro territorio. Degni di una certa attenzione sono anche i due frammenti esistenti in Val di Pozzo, tra le pendici occidentali del M. Castellaro e le sudorientali del M. Brisighella (nel rilievo dellAccio), luno di tipo mesofitico, laltro xerofitico. Al di fuori dei sopra ricordati, nessun relitto forestale pesarese merita particolare attenzione, né il discorso di oggi può prendere in considerazione i boschetti e i grandi o piccoli parchi disseminati sui nostri colli, i quali possiedano sì un innegabile ed elevato valore paesistico, ma per i loro caratteri artificiali poco o nulla dicono al naturalista.
Come dissi altre volte, il nostro territorio rientra nellarea di distribuzione del Querceto caducifoglio submediterraneo, rappresentato qui da associazioni forestali ascrivibili in senso largo al Quercetum pubescentis, costituite da Roverella (Quercus pubescens) ed altre specie di Quercia non sempre ben identificabili (Q. dalechampii, Q. petraea, Q. virgiliana, ecc.), Carpino nero (Ostrya carpinifolia), Acero campestre (Acer campestre), Ornello (Fraxinus ornus), più raramente Carpino bianco (Carpinus betulus) e poche altre specie arboree minori, con larga partecipazione di piante arbustive ed erbacee. In qualche vallecola fresca (così nella testata del Fosso dei Condotti e della Genica dei Castagni) si trovano tracce di cedui a Carpino nero e Ornello, difficilmente interpretabili, ma genericamente riferibili allOrno-ostryetum carpinifoliae. Si disse anche altra volta che i nostri boschi presentano, a seconda dellubicazione, aspetti mesofitici oppure xerofitici; i primi sono più frequenti, e di essi diremo trattando della Selva di S. Nicola (che è la più significativa in tal senso), mentre per i secondi vale lesempio di un lembo sito in destra della Valle del Pozzo nel versante sudorientale del M. Brisighella.
In tal bosco lo strato arboreo è costituito quasi esclusivamente di Roverelle, con qualche Ornello, Acero, Carpino nero e lOlmo, mentre lo stato arbustivo del sottobosco annovera numerose piante fruticose e sufruticose: Ginepro (Juniperus communis), Osiride (Osyris alba), Vitalba, Fiammola (Clematis flammula), piuttosto rara, Rovo (Rubus ulmifolius), Rose selvatiche (Rosa canina, R. sempervirens, ecc.), Agazzino (Pyracantha coccinea), Biancospino e Prugnolo spinoso, Ginestra, Colutea, Dondolino (Coronilla emerus), Cisti (Cistus incanus, più di rado C. salvifolius), Sanguinello, Ligustro, Caprifoglio toscano (Lonicera etrusca), Asparago selvatico, Edera spinosa, e non granché daltro. Lo strato erbaceo non è floristicamente molto ricco (come del resto è la norma in boschi di questo tipo), e annovera soprattutto Graminee xerofile, Falasco (Brachypodium pinnatum), Ventolina (Bromus erectus), ecc. alle quali si associano piante di altre Famiglie: Erba pigliamosche (Silene italica), Eupatoria (Agrimonia eupatoria), Cicerchione (Lathyrus latifolius), Vecciarini (Coronilla varia) e qualche altra Leguminosa, Erbe bozzoline (Polygala sp.), Erba cervina (Peucedanum cervaria), Buglossa rosso-azzurra (Buglossoides purpurocaerulea), Betonica (Stachys officinalis), Margheritone (Leucanthemum vulgare), alcune Orchidee (Ophrys sp., Orchis sp., Anacamptis pyramidalis, Limodorum abortivum, Cephalanthera longifolia, Epitactis helleborine, ecc.), e non molto daltro.
La Selva di S. Nicola . Sulle pendici settentrionali di un colle in sinistra del Fosso di Trebbiantico, circa mezzo chilometro a Sudovest dell`antico convento di S. Nicola in Valmanente, si adagia la Selva di S. Nicola, nota localmente sino a pochi decenni or sono con il nome di Selva della Congregazione - per essere allora proprietà della Congregazione di Carità di Pesaro - o anche di Selva dei Castagni, per l`abbondanza di tali alberi. Conosciuta dai Pesaresi più come meta di passeggiate primaverili ed estive che come luogo di grande valore naturalistico, la sua importanza non fu ignorata - ma forse non apprezzata in pieno - dai botanici dello scorso secolo; già negli anni tra il l790 e il 1810 il forlivese Cesare Majoli - nella sua monumentale opera manoscritta Plantarum collectio - illustrava alcune piante raccolte in locis umbrosis sylvae S. Nicolai prope Pisaurum; in seguito fu oggetto di indagini da parte di naturalisti marchigiani (quali P. Petrucci, L. Guidi, A. Scagnetti, L. Paolucci e altri), né le mancarono visite di scienziati i cui nomi sono fra i più luminosi nella fitologia italiana d'ogni tempo: basti ricordare quelli di Antonio Bertoloni e di Filippo Parlatore. Quasi dimenticata nella prima metà del secolo attuale, si è tornati a parlarne negli ultimi decenni, un poco anche per merito dellestensore di queste note, che ebbe la fortuna di farvi scoperte di un certo rilievo sul piano regionale, nazionale, e anche europeo.
Ai tempi del Majoli la Selva si estendeva su di un'area ben maggiore dell'attuale, che è di circa due ettari: congiunta a Sudest alla vicina e minore Selva di Valmanente, si allungava a Nordovest sino alla Villa Pinto, allargandosi poi a Nord e Nordest verso il fondovalle e il convento di S. Nicola. Oggi possiede una flora e una vegetazione certamente meno ricche e interessanti di quelle di un tempo, tuttavia - pur nelle attuali ridotte dimensioni. e malgrado lo stato di rimaneggiamento e degradazione nel quale versa - costituisce sempre uno dei più interessanti relitti forestali esistenti nel settore collinare esterno delle Marche, e il miglior esempio di bosco mesofilo conservato nel circondario pesarese.
Si tratta di un querceto misto caducifoglio che, pur essendo ubicato nell'orizzonte submediterraneo del piano basale, possiede una flora assai ricca di elementi nemorali propri dellorizzonte submontano del piano stesso, e anche dellorizzonte inferiore del piano montano, ossia di piante che nella nostra regione abbondano abitualmente nei boschi del Subappennino interno (o Basso Appennino che dir si voglia) e nelle faggete dellAppennino; il che conferisce alla Selva un significato particolare, confermando il suo carattere di relitto della originaria vegetazione forestale ricoprente ininterrottamente in tempi lontani il territorio compreso tra le pendici appenniniche e il mare. La sua ricchezza floristica é tuttora eccezionale per il Pesarese: un censimento effettuato una trentina di anni fa prendendo in considerazione anche le prode erbose marginali accertò la presenza di oltre 420 specie di piante vascolari; forse non tutte vi si trovano ancora, data la forte degradazione attuale (conseguente anche agli abbattimenti, e alle pesanti ceduazioni cui il sottobosco è stato troppo spesso assoggettato), ma di certo il loro numero non è scemato di molto.
Lo strato arboreo originale è costituito da Roverella, Rovere, e altre Querce non sempre di facile identificazione, in parte forse riferibili alla Rovere meridionale (Quercus dalechampii), in parte probabilmente di origine ibrida; non so se attualmente vi si trovi la Quercia castagnola (Q. virgiliana), le cui grosse ghiande dolci erano utilizzate come alimento sino a meno di 50 anni fa, e che ricordo ancora esistente negli anni attorno al 1940. Sono inoltre presenti il Carpino bianco e il nero, lOlmo campestre, il Sorbo (Sorbus domestica), lAcero campestre, lAcero-fico (Acer obtusatum), e lOrnello. Vi abbonda il Castagno (Castanea sativa), introdotto e spontaneizzato almeno da qualche secolo, e coltivati e spontaneizzati sono i Pini dAleppo (Pinus halepensis) che coronano lalto della Selva, e così pure i pochi Lecci (Quercus ilex) che si trovano nel suo interno.
Ben più ricca è la flora arbustiva del sottobosco: accanto ai frutici e suffrutici che già vedemmo in altri ambienti del Pesarese (Ginepro, Osiride, Vitalba, Rovi, Rose, Agazzino, Biancospino, Prugnolo, Colutea, Dondolino, Cisti, Sanguinello, Ligustro, Asparago selvatico, Edera spinosa, ecc.) si trovano in maggiore o minore quantità il Nocciolo (Corylus avellana), il Ciavardello (Sorbus torminalis), il raro Sorbo fiorentino (Malus florentina) qui in una delle sue poche stazioni italiane, lAgrifoglio (Ilex aquifolium), la Berretta da prete (Euonymus europaeus), la Laurella (Daphne laureola), la Sanguinaria (Hypericum androsaemum), il Corniolo (Cornus mas), lErica o Scopone (Erica arborea), il Caprifoglio (Lonicera caprifolium), il Ciliegio volpino (Lonicera xylosteum), il Pungitopo (Ruscus aculeatus), la rara Bislingua o Lauro alessandrino (Ruscus hypoglossum), e altre specie ancora, fra le quali alcune spontaneizzate, quali il Lauro (Laurus nobilis), l'Alaterno (Rhamnus alaternus) e il Laurotino (Viburnum tinus).
Ancor più ricca é la flora erbacea, annoverante oltre 350 specie, fra le quali non é facile operare una scelta per limitare la citazione alle più interessanti; molte sono piante comuni, banali e ubiquitarie, ma ve ne sono anche di assai rare, o comunque degne di particolare attenzione. Fra quelle che nelle varie stagioni allietano il sottobosco con le loro fioriture (spesso molto vistose) sono da ricordare: le Viole (Viola hirta, V. dehnardtii, V. reichenbachiana), i Ciclamini primaverili e autunnali (Cyclamen repandum, C. hederifolium), il Garofanino di bosco (Lichnys flos-cuculi), i Ranuncoli (Ranunculus nemorosus, R. lanuginosus, ecc.), l'Erba trinità (Hepatica nobilis), la Primula comune (Primula vulgaris), la Pervinca minore (Vinca minor), l'Erba lupa (Melittis melissophyllum), il Colchico (Colchicum lusitanum) e numerose orchidacee (almeno 23 specie di 12 generi diversi). Altre piante, spesso meno vistose, sono molto più importanti delle precedenti dal punto di vista scientifico e costituiscono - assieme al Sorbo fiorentino prima citato la élite della flora della Selva, sia per la loro rarità nella nostra regione o nell'intero versante adriatico della Penisola (come Lotus angustissimus, Carex olbiensis e soprattutto C. grioletii), sia sotto il profilo fitogeografico e della generale caratterizzazione vegetazionale del bosco: così l'Anemone bianco (Anemone trifolia), la Fragola secca (Potentilla micrantha), alcune Leguminose (Lathyrus venetus, L. niger, ecc.), i Tortomagli silvestri (Euphorbia amygdaloides, E. dulcis), la Diapensia (Sanicula europaea), la Polmonaria (Pulmonaria vallarsae), la Salvia gialla (Salvia glulinosa), l'Erba aralda minore (Digitalis micrantha), il Tè di bosco (Veronica officinalis), la Castrangola (Scrophularia nodosa), il Giglio rosso (Lilium croceum), l'Erba lucciola (Luzula forsteri), alcune Carici (Carex digitata, C. sylvatica, C. pallescens), e varie Graminee (Festuca heterophylla, Bromus ramosus, Sieglingia decumbens, ecc.). Molto d'altro vi sarebbe ancora da dire, ma la ristrettezza dello spazio non lo consente.
Siepi e arbusteti. Uno degli elementi oserei dire fondamentali del paesaggio vegetale e rurale dei nostri colli - e anche, sia pure in minor misura, dei settori planiziari del Pesarese - é costituito dalle siepi vive artificiali e naturali, dalle scarpate erbose e cespugliate (quelle che con termine popolare son dette greppi), e dalle aree coperte da vegetazione arbustiva tanto frequenti sulle pendici più acclivi, oggi più ampie e diffuse di un tempo, in quanto tale tipo di vegetazione si é esteso in luoghi sino a pochi anni addietro occupati dai coltivati, e ora abbandonati dalluomo e riconquistati dalla Natura. Tutte queste formazioni erbaceo-arbustive, frammezzo alle quali si elevano spesso alberi dalto fusto (nella maggioranza Querce), sono largamente distribuite nel circondario pesarese, più abbondanti nei distretti arenaceo-molassici, meno negli argillosi; in un territorio così povero di boschi quale è il nostro, la loro presenza é determinante nel caratterizzare e ravvivare il paesaggio, ingentilendolo con pennellate di colore in primavera e autunno, allorché si hanno fioriture e fruttificazioni, e mantenendo una nota di verde nel periodo estivo - quando la vegetazione erbacea è bruciata dalla calura, e i campi sono nella maggor parte brulli o dissodati - e, nel caso di alcune piante sempreverdi (quali la Ginestra, il Rovo, e poche altre), anche nel colmo dellinverno. E' tutta una vegetazione minore (rispetto al bosco), la cui importanza è quasi sempre incompresa o sottovalutata, e che invece é del massimo interesse sia sotto il profilo ambientale in stretto senso naturalistico, sia sotto quello paesistico.
Luso delle siepi vive di recinzione, costituite il più spesso da arbusti a rami spinosi e intricati, è senza dubbio antichissimo; oltre alla funzione difensiva, esse ne avevano unaltra sino a non molti anni addietro: quella di produrre - mediante periodica ceduazione - materiale combustibile per gli usi delle famiglie coloniche, destinato soprattutto al riscaldamento dei forni da pane. Le piante impiegate più di frequente nella loro formazione possono essere indigene o esotiche; fino ad una certa epoca prevalsero le prime, in quanto si utilizzavano specie localmente spontanee: Biancospino, Prugnolo spinoso, talvolta Agazzino; successivamente divenne predominante luso della Marruca (Paliurus spina-christi), più raramente della Spina santa (Lycium europaeum, oggi quasi scomparsa), ambedue introdotte da regioni più meridionali, ove sono spontanee; in tempi posteriori alla scoperta dellAmerica - e più precisamente nei Secoli XVII e XVIII - si diffuse limpiego di alcune specie nordamericane: la Robinia (Robinia pseudacacia, oggi una delle piante legnose più comuni da noi), e talvolta lo Spino di Giuda (Gleditsia triacanthos); molto recente (del Secolo attuale), e senza che abbia preso piede, è luso di unaltra nordamericana: la Maclura o Arancio degli Osage (Maclura pomifera). Nei distretti argillosi, e nei luoghi più prossimi al mare, le siepi sono spesso costituite quasi esclusivamente da Tamerici (Tamarix africana, T. gallica, ambedue di assai dubbio indigenato da noi), e perdono buona parte della funzione difensiva a favore di quella di frangivento.
Come si é già accennato, queste siepi sono nella quasi totalità di origine artificiale; tuttavia vi troviamo anche molti arbusti selvatici introdottisi spontaneamente: la Vitalba, la Rosa canina (Rosa canina e specie affini), la Rosa lucida (R. sempervirens), varie specie di Rovo, il Sanguinello, il Ligustro, lAcero campestre, i Caprifogli, lEdera spinosa, lAsparago selvatico, ecc.; a essi si aggiungono non di rado alcune piante spontaneizzate caducifoglie o sempreverdi, quali il Sambuco (Sambucus nigra), lAlaterno, il Laurotino. Vi si trovano inoltre molte piante erbacee, fra le quali spiccano numerose specie silvicole che, scacciate dai loro originari habitat boschivi, si sono rifugiate in questi ambienti secondari (così Viole, Ciclamini, Primule, Ranuncoli di bosco, Consolide, varie Cariofillacee, Rosacee, Leguminose, Labiate, Composte, Graminee, ecc.), affiancate da erbe segetali e ruderali, o genericamente antropofile (ossia più o meno strettamente legate ad ambienti fortemente influenzati dallazione umana), quali lOrtica maggiore (Urtica dioica), la Cicutaria (Chaerophyllum temulentum), la Cicuta (Conium maculatum), i Vilucchioni (Calystegia sp.), lEbbio o Sambuchello (Sambucus ebulus), il Marrubio nero (Ballota nigra), il Canapaccio (Artemisia vulgaris) e tante altre ancora, ivi comprese alcune spontaneizzate, come la Pervinca (Vinca major), i Giaggioli (Iris sp.), la Moneta del papa (Lunaria annua).
Larga diffusione hanno sempre avuto nel Pesarese (e attualmente, con il parziale abbandono delle coltivazioni, lhanno più che mai) i lembi di vegetazione arbustiva insediata naturalmente; lembi che a volte rappresentano lo stadio finale della progressiva degradazione nel bosco preesistente (ossia tutto ciò che rimane del bosco medesimo), a volte invece - e oggi son forse i più frequenti - sono stati di evoluzione dagli ex-coltivi verso forme vegetazionali naturali gradatamente più evolute, tendenti alla ricostruzione del bosco. Tipico esempio del primo caso sono le greppaie e pendici con radi alberi (Querce, Ornelli, ecc.) e molti arbusti (si tratta in genere delle specie già citate trattando dei boschi: v. IL QUOTIDIANO, n. 84, 14.4.1976, e n. 90, 22.4.1976), nel cui cotico erboso - costituito prevalentemente da Graminee, fra le quali è sempre costantemente presente la Ventolina (Bromus erectus) - si rinvengono molte piante tipicamente silvicole. Più numerosi sono gli esempi riferibili al secondo caso: i fitti inuleti a Cupularia viscosa (uno dei più frequenti stati di ricostituzione della vegetazione naturale negli ex-coltivi), mare di sterpi rinsecchiti in inverno, verde distesa giallo-fiorita nella tarda estate o primo autunno; i diversi tipi di gariga - vegetazione costituita da frutici, suffrutici ed erbe più o meno xerofili - insediati negli ambienti asciutti o aridi, con Trifoglino (Dorycnium herbaceum), Erba velia (D. hirsutum), Cisto rosso (Cistus incanus), Tignamica (Helichrysum italicum), Asparago selvatico, radi cespugli di Ginestra, o altri arbusti o piccoli alberi; gli impenetrabili macchioni dominati dal Rovo (Rubus ulmifolius) e dalla Vitalba, formazioni guardate con apprensione o sospetto (quando non con odio) da agricoltori o forestali, ma che hanno una loro precisa ragione di essere, e costituiscono fra laltro preziosi ambienti di rifugio per la fauna; le folte macchie a Ginestre (delle quali mi piace ricordare il classico esempio di recente costituzione nel versante orientale del M. Castellaro presso S. Marina), perennemente verdeggianti e mutantisi in chiazze doro alla fioritura, rapidamente evolventi - in condizioni favorevoli - al bosco xerofilo di Roverella; gli arbusteti fitti o radi dalle mille sfumature, con infinite combinazioni di specie diverse determinate dai molteplici fattori ambientali, ora costituiti da sole piante indigene, ora da indigene frammiste ad esotiche, ora pressocché solo da esotiche spontaneizzate, come i folti popolamenti a Ciliegio (Prunus avium) o Visciolo (P. cerasus) che in questi ultimi anni si sono insediati in vari luoghi (soprattutto nel bacino del Rio delle Geniche), imbiancando in tempo di fioritura intere scarpate e pendici.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 23.08.2010
Ultima modifica: 22.07.2011
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