Opere specialistiche
I LEMBI BOSCHIVI RELITTI DEL BASSO SUBAPPENNINO PESARESE, di Aldo J.B. Brilli-Cattarini
I LEMBI BOSCHIVI RELITTI DEL BASSO SUBAPPENNINO PESARESE (1)
Versione digitale dell'articolo: BRILLI-CATTARINI A.J.B., 1977 - I lembi boschivi relitti del basso subappennino pesarese. In: Pesaro e Urbino, periodico Amm. Prov. Pesaro, n.14, pp. 3 - 9, Pesaro.
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Dell’antica copertura forestale che agli albori dell'era romana ancora ammantava quasi senza soluzione di continuità il territorio della nostra Regione - dai colli sublitoranei all’Appennino - non rimane oggi che ben poco, e quel poco è condensato sui rilievi montani dell’entroterra; delle selve estendentisi su tutto il Subappennino marchigiano (tanto folte e cupe da suscitare timore superstizioso e reverenziale perfino negli agguerriti legionari di Roma) restano solo vaghi ricordi nel racconto di qualche storico e cronista dei primi secoli dell'era volgare e di quelli immediatamente successivi.
La distruzione di tale manto forestale, certamente iniziata in forma massiccia due o trecento anni avanti l’età imperiale (già Virgilio, non per i nostri luoghi, ma per altri ove le cose non dovevano stare diversamente, cantava: et campos ubi silva fuit), proseguì intensamente durante quest’ultima, regredì forse - o ebbe battute di arresto - ai tempi delle calate barbariche nel tramonto della romanità e nel primo Medioevo, riprese e fu completata nella seconda metà di questo; certo si è che dal 1200-1300 in poi l’assetto ambientale del nostro Subappennino (e di quello esterno in particolare) fu lo stesso esistente ancora alla fine del Secolo XIX, o anche sin più vicino ai giorni nostri: all’antico paesaggio naturale si sostituì gradatamente nel tempo un artificiale paesaggio culturale, nella maggior parte di tipo rurale, oggi in molte aree in via di costante e rapida evoluzione verso un tipo urbano a insediamenti moderni e aree industriali.
Se sui rilievi appenninici e alto-subappenninici un qualche cosa di più o meno consistente è scampato alla totale distruzione, e - sia pure in uno stato di profonda alterazione e degradazione - è rimasto a testimoniare il trascorso splendore del manto vegetale del nostro territorio, altrettanto non può certamente dirsi per il basso Subappennino, ove il più delle volte la preesistenza di un’antica copertura forestale è attestata da vestigia tanto tenui ed evanescenti da essere appena riconoscibili dallo specialista nei suoi tentativi di ricostruire a fini fitostorici gli aspetti originari della flora e vegetazione locali: tali sono, all’infuori di più o meno frequenti esemplari di piante arboree, gli sporadici individui di Nocciolo, Carpino bianco e Ciliegio canino, e le piccole colonie di Violetta silvestre, Anemone bianco, Fragola secca, Consolida femmina, Polmonaria ed Erba lucciola sparse nelle siepi e arbusteti freschi e ombrosi sui colli pesaresi e fanesi. Solo là ove esistono piccole o piccolissime aree non completamente conquistate dall’accetta e dall’aratro - vuoi per la loro non facile accessibilità, vuoi per particolari interessi o esigenze tecniche, vuoi ancora per altri motivi di vario genere - si possono trovare tracce abbastanza consistenti sulle quali investigare. In questo contesto assume pertanto grande rilievo l’esistenza di alcuni superstiti lembi boschivi, l’importanza dei quali (per antropizzati e rimaneggiati che siano) è spesso difficilmente valutabile appieno - considerati anche i molti aspetti da prendere in considerazione nei loro confronti: floristico, vegetazionale, climatico e paleo-climatico, fitostorico, paleogeografico e via di seguito - , ma è senza alcun dubbio sempre assai elevata, così da renderli meritevoli della più gelosa e oculata tutela.
Le indagini sui relitti boschivi e sulle altre tracce di vegetazione e flora nemorali oggi esistenti - unitamente a quelle sugli scarsi reperti, vegetali subfossili venuti alla luce nel corso degli ultimi decenni, sia accidentalmente, sia durante scavi archeologici, e al poco che si può ricavare dallo studio di opere antiche - inducono a ritenere con notevole fondamento che l’antico manto forestale del basso Subappennino della provincia pesarese (così come del resto quello dei territori limitrofi a NW e SE) fosse in massima parte costituito da boschi igrofili e meso-igrofili - con predominanza di Farnia, accompagnata da Frassino ossifillo, Pioppi, Salici, Ontano nero, ecc. - nelle aree planiziari, ossia nei fondovalle principali e nelle loro digitazioni e diramazioni laterali, e di boschi mesofili e meso-xerofili - con Rovere, Roverelle, Cerro, Carpino bianco, Carpino nero, Olmo, Tiglio, Aceri, Frassini, e altro ancora - sui rilievi collinari; soprattutto in alcuni settori di questi ultimi, ma probabilmente anche nelle parti marginali dei primi, era certamente presente anche il Faggio, accompagnato da altre specie arboree, arbustive ed erbacee la cui attuale distribuzione è ristretta ai rilievi appenninici, o più raramente agli alto-subappenninici.
Delle selve planiziari nessun lembo si è conservato sino ai giorni nostri, e la loro passata esistenza ci viene testimoniata solo da assai deboli tracce consistenti nella sporadica presenza di pochi elementi floristici ancora sopravviventi in alcuni fondovalle: così i rarissimi individui (più frequenti nel secolo scorso, stando almeno alle asserzioni di alcuni Autori dell’800) di Farnia (Quercus robur), i pochi esemplari di Frassino ossifillo (Fraxinus oxycarpa) che ancora si incontrano nel basso bacino del Foglia, e il Luppolo (Humulus lupulus), piuttosto raro in siepi e fruticeti freschi. Un lembo relitto di foresta planiziare era probabilmente la Selva di Ciarciano nel Pesarese, ancora esistente almeno in parte nella seconda metà o ultimo quarto del XIX Secolo, poi completamente distrutta; ciò a giudicare dalle specie arboree, arbustive ed erbacee ivi presenti, e registrate da qualche Autore marchigiano dell’epoca (Luigi Guidi, Alessandro Scagnetti, Luigi Paolucci, Pietro Petrucci). Un altro consimile lembo era molto probabilmente - almeno nelle sue parti più basse - la Selva Grossa presso Case Bruciate, scomparsa non si sa bene quando, e la cui passata esistenza è attestata da un toponimo e da qualche sporadica specie tutt’oggi presente là ove essa sorgeva.
Dei boschi collinari è invece giunto sino a noi qualche cosa di relativamente più consistente: oltre ai già accennati elementi della flora nemorale sparsi qua e là, si contano almeno una quarantina di modesti o modestissimi lembi - con superficie variante da poche centinaia di metri quadrati a 2-3 ettari - distribuiti in una fascia profonda una dozzina di chilometri dal mare verso l'entroterra, e lunga circa il triplo dal confine provinciale di NW (corso del Tavollo) a quello di SE (corso del Cesano). Molte altre aree boscate maggiori o minori esistevano ancora nel secolo scorso, e furono via via distrutte tra la fine dello stesso e gli anni del primo conflitto mondiale; di parecchie si è perfin perduta ogni memoria all’infuori di ciò che si trova registrato nei vecchi catasti, di altre sopravvive il ricordo in qualche significativo toponimo (Cerreto, Farneto, Castagneto, i Ronchi, Sotto le Selve, ecc.); altre ancora, aventi dimensioni più o meno apprezzabili cento o cinquanta anni fa, sono oggi ridotte a modesti gruppi di alberi privi di qualsiasi interesse, se si eccettua quello paesistico. Il territorio sul quale insistono gli accennati lembi boschivi rientra nell’area di distribuzione del Querceto caducifoglio submediterraneo, e i lembi stessi sono costituiti - a seconda della loro ubicazione ambientale - da querceti mesofili o meso-xerofili, talora decisamente xerofili, più raramente da formazioni classificabili come orno-ostrieti; mentre nei primi lo strato arboreo è caratterizzato da varie specie di Querce, nei secondi predominano l’Orniello e il Carpino nero; gli uni e gli altri sono genericamente inquadrabili fitosociologicamente nell’ordine dei Quercetalia pubescentis.
Mentre è sempre valido in ogni caso il valore sotto il profilo paesistico o genericamente ambientale, non tutti questi nostri boschi presentano lo stesso grado di importanza se considerati da altri punti di vista; ad esempio, i boschi xerofili sono quasi sempre improntati a una monotona povertà floristica, mentre altri lembi appaiono essere formazioni secondarie non direttamente discendenti dal manto forestale antico, e tale loro carattere è denunziato dalla composizione del sottobosco povero di arbusti, e con strato erbaceo totalmente privo di specie tipicamente nemorali. Ben diverso e il caso dei boschi mesofili: questi - malgrado i rimaneggiamenti, le alterazioni, le traversie e gli oltraggi subiti nel corso dei secoli - conservano sempre motivi di grande attrattiva. Nel territorio preso in esame se ne contano almeno una diecina meritevoli di particolare attenzione; fra essi primeggia la Selva di S. Nicola nei dintorni di Pesaro, seguita in ordine d’importanza (almeno dal punto di vista floristico) dalla Selva di Ponte Nuovo o Selva Severini presso Fenile di Fano, dalla Selva di S.Elia presso Carignano, dalla Selva Montevecchio (oggi più nota come Selva Berloni) nei dintorni di Roncosambaccio, e via via da altri minori. Alcuni lembi boschivi, che fornivano validi motivi di interesse floristico ancora due o tre lustri addietro, hanno subito in questi ultimi anni tali processi di modificazione - soprattutto nei riguardi del sottobosco, ove Rovi, Vitalbe e Robinie hanno sostituito quasi ogni altra specie arbustiva, soffocando anche la vegetazione erbacea - da non meritare più alcuna attenzione se non forse sotto il profilo dello studio dell’evoluzione di particolari fenomeni vegetazionali.
Come già accennato, i lembi di bosco xerofilo (ivi comprese le varianti xero-mesofile) sono floristicamente molto poveri. Inquadrabili fitosociologicamente nel Quercetum pubescentis in senso lato, possiedono uno strato arboreo costituito quasi esclusivamente da Querce: in parte Roverella (Quercus pubescens), in parte identificabili con la Rovere meridionale (Q. dalechampii), ma per lo più da riferire a un inestricabile complesso di forme ibridogene derivanti da incrocio e reincrocio tra le due specie precedenti, e forse anche con il concorso di altre. Alle Querce si accompagnano - il più delle volte in forma appena arbustiva - l’Orniello (Fraxinus ornus), il Carpino nero (Ostrya carpinifolia), il Sorbo comune (Sorbus domestica), l’Olmo (Ulmus minor), l’Acero campestre (Acer campestre), e ben poco d’altro. Quale conseguenza di rimaneggiamento si nota l’occasionale presenza del Pino d'Aleppo (Pinus halepensis) e del Leccio (Quercus ilex), specie sicuramente non autoctone nel territorio considerato. Più consistente il contingente delle specie presenti nello strato arbustivo del sottobosco: oltre a stadi giovanili o immaturi delle arboree sopra citate, sono frequenti numerosi frutici e suffrutici, quali il Ginepro (Juniperus communis), l'Osiride (Osyris alba), alcune Rose di macchia (Rosa canina e specie affini), l’Agazzino (Pyracantha coccinea), un Biancospino (Crataegus monogyna), il Prugnolo spinoso (Prunus spinosa), lo Sparzio o Ginestra comune (Spartium junceum), la Colutea (Colutea arborescens), il Dondolino (Coronilla emerus), il Cisto maschio (Cistus incanus), il Sanguinello (Cornus sanguinea), il Ligustro (Ligustrum vulgare), il Caprifoglio etrusco (Lonicera etrusca), e altre specie ancora.
Tra i frutici o suffrutici lianosi o sarmentosi si notano Rovi (generalmente Rubus ulmifolius), la Vitalba (Clematis vitalba), la Rosa lucida (Rosa sempervirens), l’Asparago selvatico (Asparagus acutifolius), e lo Smilace o Edera spinosa (Smilax aspera). Meno frequenti, o talvolta addirittura rari, il Ciavardello (Sorbus torminalis), il Cisto femmina (Cistus salvifolius), la Fiammola o Vitalbino (Clematis flammula), lo Scotano o Sommacco francese (Cotinus coggygria), e la Scopa maggiore (Erica arborea). Lo strato arbaceo è dominato da Graminee xerofile, soprattutto Falasco (Brachypodium pinnatum) e Ventolina (Bromus erectus); a asse si associano alcune altre Monocotiledoni - Carici (Carex halleriana, C. flacca), Orchidee xerofile o meso-termoxerofile (Ophrys sp. pl., Orchis sp. pl., Anacamptis pyramidalis, Aceras anthropophora, Limodorum abortivum, Cephalanthera longifolia, Epipactis helleborine, ecc.) - e un numero non cospicuo di Dicotiledoni: Erba pigliamosche (Silene italica), Delfinia (Arabis sagittata), Eupatoria (Agrimonia eupatoria), Cicerchione (Lathyrus latifolius, il più spesso nella sua varietà membranaceus), Vecciarini (Coronilla varia), Trifoglini (Dorycnium hirsutum, D. herbaceum) e alcune altre Leguminose, Erbe bozzoline (Polygala sp. pl.), Erba cervina (Peucedanum cervaria), Betonica (Stachys officinalis), Margheritone (Leucanthemum vulgare s.l.), Linosiride (Aster linosyris), Coniza (Inula conyza), Incensaria (I. salicina), qualche piccolo Cardo (Carlina corymbosa, ecc.) e qualche Radicchiella xerofila (Heracium sp. pl.).
Nelle varianti meno xerofitiche compare una Violetta (Viola dehnardtii), qualche altra Radicchiella (Hieracium sabaudum, H. racemosum), più raramente la Terzola (Serratula tinctoria) e poche altre specie. Rare le Felci - il più spesso rappresentate dalla sola Felce da scope (Pteridium aquilinum) - e povera anche la flora muscinale (Muschi e Licheni) e la micoflora; tra i Funghi Macromiceti è notevole la presenza del termofilo Farinaccio od Ovolo bianco (Amanita ovoidea).
Ben maggiori motivi di interesse floristico e vegetazionale sono forniti dai lembi boschivi mesofili, comprese le loro varianti meso-xerofitiche (spesso localizzate in aree marginali) o più raramente meso-igrofitiche. Non sempre facilmente inquadrabili dal punto di vista fitosociologico, sia a causa dei loro molteplici aspetti vegetazionali, sia delle talora profonde alterazioni subite nel corso dei secoli, rientrano in parte nel Querceto-Lithospermetum, in parte in altre associazioni del Quercetalia pubescentis. Nello strato arboreo troviamo anche qui la Roverella e la Rovere meridionale, ma a esse si aggiungono la vera Rovere (Quercus petraea) e, ben più raramente, la Quercia castagnara (Q. virgiliana), oltre al solito inestricabile complesso di forme ibridogene difficilmente classificabili, derivanti da incrocio e reincrocio tra le quattro specie summenzionate, con il probabile concorso di altre oggi non più presenti da noi. Non risulta esistere più in questi nostri boschi il Cerro (Quercus cerris), la cui presenza è documentata nel secolo passato (sia pure già come pianta sporadica), e ricordata da qualche toponimo. Accompagnano le Querce il Carpino bianco (Carpinus betulus), l'Olmo, il Carpino nero e l'Orniello (i due ultimi spesso più frequenti nelle varianti meso-xerofile), e poi il Sorbo comune, il Ciavardello (qui ben più frequente e abbondante che non nei boschi xerofili), l’Acero campestre, più di rado l’Acero napoletano (Acer obtusatum), e qualche altra specie meno comune. Nelle parti più basse e umide si notano talora varianti meso-igrofile ove è presente il Gattice (Populus alba), il Pioppo nero (P. nigra) e qualche Salice (Salix alba, ecc.), accompagnati da un corteggio di specie arbustive ed erbacee tipicamente igrofile. A introduzione volontaria o accidentale da parte dell’uomo, e a successiva spontaneizzazione, è dovuta la presenza talora abbondante del Castagno (Castanea sativa), e quella più sporadica del Leccio e di qualche altra specie arborea sicuramente non autoctona, quali il Ciliegio (Prunus avium) e il Visciolo (P. cerasus); anche non autoctono appare essere il Tiglio (Tilia platyphyllos), del quale si incontrano qua e là alcuni individui, e che molto probabilmente è una pianta reintrodotta dall’uomo, e successivamente spontaneizzata.
Più ricco qualitativamente e quantitativamente che non nei boschi xerofili è lo strato arbustivo del sottobosco. Agli stadi giovanili e immaturi delle specie arboree si aggiunge buona parte dei frutici e suffrutici dei quali si è detto in precedenza, a esclusione dei più spiccatamente xerofili che tuttavia si insediano talvolta in aree asciutte marginali; più o meno frequenti e abbondanti sono il Ginepro comune, la Vitalba, i Rovi (Rubus sp. pl.), le Rose di macchia (Rosa canina, R. dumetorum, ecc.), l’Agazzino, il Biancospino (Crataegus monogyna, più raramente C. laevigata), il Prugnolo spinoso, il Dondolino, il Sanguinello, il Ligustro, ecc.; e poi altre specie che nei boschi xerofitici mancano o sono molto rare: il Nocciolo (Corylus avellana), il Perastro (Pyrus pyraster), lo sporadico Peratello (P. amygdaliformis), il Melo selvatico (Malus sylvestris), il Nespolo (Mespilus germanica, di indigenato un po' dubbio), il Cantamaggio (Cytisus sessilifolius), il Maggiociondolo (Laburnum anagyroides, piuttosto raro), la Ginestra dei tintori (Genista tinctoria), la Fusaggine o Berretta da prete (Euonymus europaeus), la Laurella (Daphne laureola), la Sanguinaria (Hypericum androsaemum), il Pungitopo (Ruscus aculeatus).
La Rosa lucida dei boschi xerofili è qui sostituita dalla Rosa campestre (Rosa arvensis), il Caprifoglio etrusco dal Caprifog|io comune (Lonicera caprifolium); al Sanguinello si accompagna talvolta il più mesofilo Corniolo (Cornus mas), e, sia pur di rado, compaiono altre specie significative quali l'Agrifoglio (Ilex aquifolium), la Lantana (Viburnum lantana), il Ciliegio canino (Lonicera xylosteum), e il Lauro alessandrino o Bislingua (Ruscus hypoglossum). Particolare menzione meritano per la loro rarità e per l'interesse fitogeografico il Sorbo fiorentino (Malus florentina), che trova nella Selva di S. Nicola una delle sue sporadiche stazioni marchigiane, e che del resto è pianta rara in tutta Italia, e il Ginestrone spinoso (Ulex europaeus), presente nella Selva Montevecchio nell’unica sua stazione attualmente nota nelle Marche. Conseguente a spontaneizzazione è invece la non infrequente presenza del Lauro (Laurus nobilis), dell’Alaterno (Rhamnus alaternus), del Laurotino (Vibumum tinus), e di qualche altra specie arbustiva spesso coltivata nei parchi e boschetti della fascia collinare, donde i semi vengono diffusi soprattutto a opera degli uccelli. Nelle varianti meso-xerofile si trovano talvolta la Scopa maggiore, il Cisto maschio, lo Smilace, l’Asparago selvatico, e qualche altro frutice e suffrutice con generica preferenza per ambienti più asciutti e caldi.
La maggior ricchezza floristica e il più elevato interesse fitogeografico dei lembi boschivi mesofili sono offerti dallo strato erbaceo del sottobosco, improntato dalla presenza di un notevole numero di specie tipicamente nemorali, fra le quali se ne riscontrano alcune che un tempo erano forse più comuni, ma che oggi sono divenute di grande rarità quasi ovunque nella loro area distributiva. Assai più elevato che non nei boschi xerofili è il contingente delle Crittogame vascolari, soprattutto delle Felci: abbiamo qui non solo la Felce da scope, ma anche le Liquirizie di bosco (Polypodium vulgare, P. australe), il Capelvenere falso (Asplenium trichomanes), gli Adianti neri (A. adiantum-nigrum, A. onopteris); altre specie ancor più interessanti erano segnalate nel secolo scorso (così la Felce maschio (Dryopteris filix mas), la Felce femmina (Athyrium filix-femina) e qualche altra), ma oggi sembrano completamente scomparse. Le Graminee sono principalmente rappresentate - non sempre per quantità, ma soprattutto per importanza floristica e vegetazionale - dalla Ventolina dei boschi (Bromus ramosus), da una Festuca (Festuca heterophylla), da una Melica (Melica uniflora), e dal Falasco boschereccio (Brachipodium sylvaticum); a esse si unisce talora, particolarmente nel bosco rado, il Paleino odoroso (Anthoxanthum odoratum). Relativamente numerose anche le Carici (Carex sp. pl.), con almeno una diecina di specie, alcune di grande interesse fitogeografico, cui si associa non di rado una caratteristica Erba lucciola (Luzula forsteri), tipica inquilina dei boschi mesofili.
Altre Monocotiledoni significative e degne di particolare menzione sono il Giglio rosso (Lilium croceum), il Colchico (Colchicum lusitanum, vicariante da noi del più settentrionale C. autumnale), il Tamaro (Tamus communis), una Iride (Iris foetidissima) e un discreto numero di Orchidee (Orchis sp. pl., Platanthera sp. pl., Listera ovata, Cephalanthera sp. pl. ecc.), fra le quali la splendida Concordia (Orchis maculata) e la strana Nidaria (Neottia nidus-avis), una sapro-micotrofica completamente priva di clorofilla.
Logicamente ancor più nutrita è la schiera delle Dicotiledoni, con varie Cariofillacee (Fior di cuculo (Lychnis flos-cuculi), Garofanini (Dianthus armeria), alcune Sileni, ecc.), Ranuncolacee (Anemone bianco (Anemone trifolia), Erba trinità (Hepatica triloba), Botton d’oro boscherecci (Ranunculus sp. pl., ecc.), Crocifere, Sassifragacee, Crassulacee, Rosacee (Fragole, soprattutto Fragaria vesca, ma anche la sporadica F. viridis), Potentille (Potentilla sp. pl.), Erba garofanaia (Geum urbanum), ecc., Leguminose (Astragalus sp. pl., Lathyrus sp. pl., Vicia sp. pl., ecc.). Geraniacee (Geranium nodosum, ecc.), alcuni Tortomagli (Euphorbia dulcis, E. amygdaloides), Violette di bosco (Viola reichenbachiana, V. riviniana, V. dehnardtii), Ombrellifere (fra esse la caratteristica Diapensia (Sanicula europea) e la Fasolaria (Oenanthe pimpinelloides), Primulacee (Primula comune (Primula vulgaris), Ciclamini primaverili e autunnali (Cyclamen repandum, C. hederifolium), ecc.), Pervinche (Vinca minor), Boraginacee (Buglossa dei boschi (Buglossoides purpurocaerulea), Consolida femmina (Symphytum tuberosum), Polmonaria (Pulmonaria vallarsae), ecc.), Labiate (Laurenziana (Ajuga reptans), Erba lupa (Melittis melissophyllum), Brunella (Prunella vulgaris), Salvia gialla (Salvia glutinosa), ecc.), Scrofulariacee (Scrophularia sp. pl., Veronica sp. pl., Digitalis micrantha, ecc.), Orobancacee, Campanulacee, e varie Asteracee (Hieracium sp. pl., Lapsana communis, ecc.).
Discretamente ricca è anche la flora muscinale (Licheni, Muschi, Epatiche), e notevole la micoflora: i Funghi Macromiceti sono presenti con numerose specie dei Generi Amanita s.l., Russula, Tricholoma, Hypholoma, Hebeloma, Cortinarius s.l., Inocybe, Entoloma, Collybia, Mucidula, Xerula, Marasmius, Mycena, Clitocybe, Lactarius, Boletus s.l., Polyporus, Coriolus, Fomes, Clavaria, ecc., per tacere di una infinità di altri.
Gran parte delle piante citate (e anche di quelle che è giocoforza sottacere) è tipica dei querceti caducifogli mesofili del piano basale appenninico e subappenninico. Altre entità - e sono certamente fra le più interessanti nel contesto floristico dei nostri boschi - hanno invece la loro maggior diffusione attuale nell’orizzonte inferiore del piano montano appenninico (soprattutto nelle faggete, ma anche nei prati e pascoli), oppure nelle cerrete del sub-orizzonte superiore del piano basale; nei lembi boschivi relitti del basso Subappennino si presentano quindi quali elementi superstiti di una flora e vegetazione antiche, diffuse - in periodi climatici ben diversi dal presente - su tutta la fascia subappenninica; tale è il caso del Centonchio trinervio (Moehringia trinervia), della Dentaria minore (Cardamine bulbifera, la cui presenza nella Selva Severini si ricollega a quella in altri lembi esistenti nel basso Subappennino anconitano), dell’Eupatoria montana (Aremonia agrimonioides), della Fragola-secca (Potentilla micrantha), del Ginestrino minore (Lotus angustissimus), della Stellina odorosa (Galium odoratum), dell’Erba aralda minore (Digitalis micrantha), della Castrangola (Scrophularia nodosa), del Tè di bosco (Veronica officinalis), di alcune Asteracee (Lapsana communis, Mycelis muralis) e Graminee (Agrostis tenuis, Sieglingia decumbens, Danthonia alpina, ecc.), per tacere di molte altre. Queste piante - non di rado notevolmente sporadiche - costituiscono (assieme a qualche specie arborea o arbustiva) l’ “élite” della flora dei nostri lembi boschivi, “élite” nobilitata ancor più dalla presenza di altre specie che son rare o addirittura rarissime sia nella nostra regione, sia nel versante adriatico della Penisola, sia ancora nell'Italia intera: così i già citati Sorbo fiorentino e Ginestrone spinoso, così la Carice di Hyères (Carex olbiensis), così la Carice di Griolet (C. grioletii), le cui poche stazioni marchigiane - le uniche sinora note nel versante adriatico - sembrano costituire un anello di congiunzione, forse agganciato a una ancora non nota distribuzione balcanica, tra l'areale W-mediterraneo della specie e quello pontico), così altre sulle quali è giocoforza sorvolare, ivi comprese alcune ancora esistenti alla fine del secolo scorso, e che oggi sembrano del tutto scomparse dal territorio preso qui in considerazione.
Molto vi sarebbe ancora da dire sui valori dei lembi boschivi relitti del nostro basso Subappennino, ma a questo punto è opportuno chiudere il discorso. Si è tentato qui di illustrarne in qualche modo almeno una parte, ma certamente tutto quanto più sopra scritto non è alla altezza dei reali meriti di queste formazioni vegetali, meriti che vanno molto al di là di quanto può trasparire da ciò che se ne è detto, investendo problemi qui neppure sfiorati; certo si è che - malgrado le condizioni spesso veramente pietose nelle quali non poche di esse sono ridotte - la loro importanza dal punto di vista scientifico (quello paesistico è tanto evidente da essere del tutto fuori discussione) è delle più elevate. Sorge pertanto il problema della loro conservazione, e qui cominciano note dolenti, poiché allo stato attuale delle cose non molto può essere fatto, e poiché in non poche delle parti interessate manca una seria volontà di fare quel poco che è possibile. Per alcuni di questi lembi una certa generica tutela è assicurata da vincoli paesistici, oppure idrogeologici, più raramente forestali, ma sono vincoli che non assicurano la conservazione di quegli elementi che più nobilitano la flora e la vegetazione di tali piccoli boschi, e del resto solo una minor parte di essi ne è interessata, mentre per la maggioranza non vi è quasi nulla che impedisca a termini di legge un loro ulteriore snaturamento o addirittura di raderli al suolo. Esistono alcune leggi della Regione Marche (cosiddette “ecologiche”) che potrebbero essere invocate a loro favore, magari per estensione dei concetti in esse espressi: così la Legge Regionale n. 6 del 22.2.1973 (“Prime disposizioni per la salvaguardia della flora marchigiana”), modificata in parte - e certamente peggiorata - dalla successiva Legge n.39 del 20.5.1975; e così pure la L.R. n. 52 del 30.12.1974 (“Provvedimenti per la tutela degli ambienti naturali”), e la L.R. n. 7 del 27.2.1975. Queste leggi, dal cui contenuto traspare troppo spesso l’incompetenza e la faciloneria di coloro che le hanno elaborate, non concedono espressamente granché a favore della salvaguardia dei relitti boschivi in discorso, e del resto sono in larga parte ancora inoperanti e disattese. La L.R. n.6/1973 tutela in qualche modo alcune specie arboree (ma non certo tutte quelle meritevoli di protezione!) quando si presentino con individui isolati, oppure in filari o in piccoli gruppi; a parte il fatto che un bosco - per piccolo che sia - non è costituito da soli alberi, ma da tutto un complesso di elementi vegetali intimamente connessi fra loro, non si vede bene come la legge medesima possa essere invocata nei confronti di lembi boschivi che sono spesso ben più di un semplice gruppo di alberi, ma non raggiungono l’estensione minima prevista affinché possano ricadere sotto il controllo delle leggi forestali.
La L.R. n. 52/1974 codifica nei suoi articoli alcune norme che potrebbero essere invocate per attività protettive a favore dei piccoli boschi collinari, ma è ancora in massima parte praticamente inoperante. Essa contiene tuttavia un Articolo 7 che prevede la tutela delle aree ove si trovino specie floristiche rare o in via di estinzione, e - considerato che buona parte dei lembi boschivi relitti contiene specie che si rivestono di tale carattere - questo Articolo si presenta attualmente come l’unico mezzo legale esistente nella nostra Regione a favore della protezione sia delle sopraddette specie, sia degli ambienti che le ospitano. E’ pertanto augurabile una rapida e oculata applicazione del disposto dall’Articolo medesimo prima che sia troppo tardi, e che anche questi elementi del nostro patrimonio naturale vadano perduti come è gia accaduto per una infinità di altri.
(Articolo tratto da: Speciale ambiente Pesaro Urbino – periodico dell’amministrazione provinciale – Agosto 1977 n. 14)
NOTE
(1) Per basso subappennino pesarese si intende la zona costiera e basso-collinare di Pesaro e Fano.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 03.09.2010
Ultima modifica: 01.08.2012
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