Opere specialistiche
La Terra di Pergola nell'atlante seicentesco di F. Mingucci
Fondata dagli eugubini fra il 1230 e il 1234 alla confluenza del torrente Cinisco nel fiume Cesano, già sede di abitati preistorici, italici e romani, la cittadina di Pergola costituisce una conferma del ruolo di attrazione esercitato dalla nodalità idrografica sul processo insediativo.
La scelta del sito, a dominio di due vallate e al confine delle antiche giurisdizioni di Gubbio e di Cagli, viene dettata al governo eugubino da esigenze strategico-difensive nei confronti del limitrofo territorio cagliese (GIANNINI, 1732, pp. 13-22).
Nel nuovo centro, racchiuso entro una cortina muraria, convergono flussi demografici di ritorno verso le aree fondovallive, dopo secoli di prevalente insediamento sommitale. Vi si stanziano infatti, richiamate da concessioni e privilegi particolari, famiglie provenienti dai vicini castelli di Serralta, Montepiscopale, Grifoleto, Pantana, Bellisio, Montaiate, Montinsico, ma anche nobili ed artigiani di Gubbio.
Con l'avvio di attività manifatturiere, in gran parte connesse alla lavorazione della lana ma anche all'arte conciaria, che connoteranno per secoli l'economia cittadina traendo vantaggio dalla locale disponibilità di materia prima e dalla presenza dei corsi d'acqua, prende forma la struttura urbana di Pergola, assecondata da una ubicazione favorevole ai traffici e alla rivitalizzazione di antiche direttrici viarie fra area costiera ed entroterra appenninico (PONGETTI, 1992, p. 13).
L'originario aggregato pergolese rivela, nell'impianto urbano e nelle più rilevanti emergenze architettoniche, tratti tipicamente medioevali e rinascimentali, testimoni delle alterne vicende che lo videro soggetto agli eugubini, poi ai Malatesta di Rimini e, successivamente, ai duchi di Urbino che ne ottennero l'investitura dalla S. Sede.
Se del volto storico della città serbano tuttora memoria alcuni suggestivi quartieri del primitivo nucleo, non mancano tuttavia, a fissarne il ricordo, preziose immagini pittorico-cartografiche che visualizzano perduti scorci e antiche peculiarità dell'abitato.
Tra le più significative testimonianze della realtà urbana pergolese, sicuramente realistica, seppure interpretata secondo la personale sensibilità dell'artista, è la veduta prospettica eseguita da Francesco Mingucci per il suo atlante dei dominii rovereschi.
Essa costituisce un felice connubio fra arte e scienza, poiché il dipinto dal vero è reso nel rispetto dei princìpi cartografici adottati nei grandi atlanti di città, soprattutto nel "Civitates Orbis Terrarum" di G. Braun e F. Hogenberg.
Quella di Pergola, al pari delle altre immagini contenute nel codice Barberiniano, testimonia pertanto come il Mingucci, oltre che abile pittore, sia stato un provetto documentatore a livello topografico.
La città, alla quale l'artista pesarese dedica due tavole contigue (cm 37,7 x 95,4) come ai più importanti centri urbani del Ducato, è distesa nella vallata attorniata da un paesaggio collinare ricco di vegetazione, connotato dalle regolari geometrie dell'assetto mezzadrile e da varie dimore rurali. Sui rilievi, via via più accentuati verso l'orizzonte, si intravvedono piccoli aggregati castellani.
Il centro storico pergolese, colto da un punto di vista abbastanza elevato sul lato nord-orientale, come suggerisce la consueta bussola in primo piano, appare circondato da mura bastionate, a tratti in precario stato di conservazione; in primo piano sono evidenti i fiumi Cesano e Cinisco sulle cui rive, al di qua del pomerio, è il quartiere artigianale delle Tinte che, sottolineando l'antica connotazione manifatturiera dell'economia cittadina, è ulteriore conferma del notevole realismo della rappresentazione.
Dal fitto tessuto edilizio, i cui numerosi edifici sono espressione di una città che con i suoi "mille fuochi riesce populatissima" (Città e Castella, 1991, tav. n. 97) e che per la sua consistenza e il suo rango viene definita "terra", emergono i campanili del Duomo, di S. Andrea e di S. Francesco, da sempre elementi architettonici caratteristici dell'orizzonte urbano pergolese.
L'abitato è dominato dalla rocca, ristrutturata per conto del duca Federico di Montefeltro dall'architetto senese Francesco di Giorgio Martini. Vespasiano da Bisticci, nell'elenco degli "Edifici fatti per lo illustrissimo Signor duca d'Urbino", definisce "la rocha della Pergola, edificio grandissimo, inexpugnabile et molto bello d'abitazione". Essa era tuttavia per gran parte già in rovina all'inizio del Seicento.
Nella tradizione dei grandi atlanti urbani cinquecenteschi, ai piedi della maestosa quercia che incornicia l'immagine sul lato destro due cacciatori, uno dei quali intento a caricare il fucile, sembrano scambiarsi informazioni sulla copiosa selvaggina locale.
Nel breve ma significativo commento storico-geografico che accompagna la veduta pergolese, il Mingucci così illustra la località: "La Terra della Pergola fu a tempo di Federico Barbarossa Imperatore e di Papa Gregorio IX edificata presso una chiesetta, la quale era coperta da un pergolato, donde trasse il nome. La fertilità del sito, la commodità del fiume Cesano che la circonda e l'industria degli habitanti l'hanno fatta mercantile con le arti della lana, del conciar le pelli e del fabbricar vasi perfettamente. Ha quattro borghi, con li quali facendo da mille fuochi riesce populatissima, con tre fontane e con le strade benissimo compartite. Ne sono usciti huomini d'ingegno e di valore e molto celebri, fra gli altri sono stati Angelo dal Fuoco et il Conte Antonio suo figliuolo, guerrieri e capitani famosissimi; Bartolomeo Florido Arcivescovo di Cosenza e Secretario di Papa Alessandro VI, et il Cavalier Gratioso Gratiosi che fu carissimo a Papa Clemente VIII".
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.1999
Ultima modifica: 19.12.2004
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