Carnevale, feste, tradizioni e lavoro
Le filande a Fano
Le notizie documentate relative alla presenza di filande a Fano risalgono ai primi anni dell'Ottocento e testimoniano un'esigua attività concentrata in piccoli locali a sud di Piazza Maggiore.
In poco più di mezzo secolo la trattura della seta si potenziò rapidamente: gli addetti nel 1861 superavano le 500 unità ed erano prevalentemente donne perché si trattava di un lavoro stagionale e quindi non adatto agli uomini che cercavano lavori più continuativi. Il modo di produzione contribuì allo sviluppo delle filande che furono le prime industrie locali ad utilizzare macchine a vapore. La prima in assoluto ad introdurre tale innovazione tecnologica fu la filanda dei Conti Bracci che si trovava in via della Posterna (oggi Garibaldi).
Agli inizi del '900 era operante a Fano la filanda di Bosone, detto il "milanese", alla quale si aggiunse nel 1903 la filanda Castracane-Solazzi. Entrambe furono delle vere e proprie industrie nel senso moderno del termine. La prima era situata in via S. Filippo, l'attuale via De Amicis, quella che dall'ex Convento di S. Agostino conduce al Corso Matteotti; la seconda sorgeva in fondo a via Nolfi sul piazzale antistante alla Fortezza Malatestiana.
La terza filanda presente a Fano nel nostro secolo era chiamata il "filandrino" per la sua esiguità, sorgeva lungo il Porto-Canale in via dell'Officina Elettrica ed ebbe vita breve: cessò definitivamente l'attività nel 1936.
La filanda moderna, per fare fronte ad una produzione assai consistente, immagazzinava quintali di bozzoli freschi che venivano subito introdotti in essiccatoi che funzionavano giorno e notte: in una giornata si arrivava ad essiccare fino ad 8.000 chilogrammi di bachi freschi.
In seguito i bozzoli già essiccati venivano stipati nella camera dei bozzoli dove delle addette toglievano l'involucro esterno, la spellaia (detta in dialetto bavella), che veniva largamente usata per le imbotttite. Altre donne, le cernitrici, separavano i bozzoli buoni dai doppioni o dai macchiati e li mettevano in canestri che passavano nelle sale di filatura dove avveniva la trattura della seta vera e propria. I bozzoli venivano immersi in acqua bollente che scioglieva la sericina, la sostanza gommosa che teneva unito il filo; contemporaneamente erano sottoposti a battitura con due spazzole (batteuses) su cui operava la scopinatrice detta a Fano sutiera. Quando per l'azione congiunta dell'acqua calda e delle spazzole affiorava il filo di seta, la scopinatrice passava i bozzoli, prendendoli con una paletta bucata, alla maestra che operava su una bacinella con acqua a circa cinquanta gradi. Il compito della maestra consisteva nell'annodare i fili di un variabile numero di bachi, formando la rosa, per ricavare un filo compatto che, collegato ad un aspo ruotante, dava origine ad una matassa.
Ogni maestra lavorava con otto o dieci rose, ognuna delle quali era composta da cinque o più bachi, a seconda del titolo (peso) che si voleva ottenere.
Alle spalle della maestra operava lannodatrice (una ogni sei maestre) che aveva il compito di riannodare i fili che eventualmente si spezzavano. La giradora era un'assistente che aveva il compito di controllare le operazioni, di coordinare i lavori del reparto e di trasmettere alle filandaie le disposizioni della Direzione.
Il prodotto finito, la seta, veniva inviata a Milano dove ogni nostra filanda aveva un suo rappresentante che procurava gli ordini: tutta le seta veniva prodotta su ordinazione sia per ciò che riguardava la quantità che il titolo.
Durante l'ultima guerra la trattura della seta venne interrotta (la filanda Solazzi fu addirittura colpita dai bombardamenti) e riprese per alcuni anni nell'immediato dopoguerra, ma conobbe un rapido declino a causa della crescente concorrenza delle fibre sintetiche sempre più largamente usate.
L'ultima filanda a chiudere i battenti a Fano fu la Solazzi nel 1952; un anno prima aveva chiuso la Bosone.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.1999
Ultima modifica: 12.08.2004
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