Itinerari
Fano: i chiostri (itinerari storici)
Un itinerario claustrale a Fano avverrà necessariamente nel segno della riscoperta di spazi ubicati nelle adiacenze di edifici ecclesiastici e conventuali, perchè i chiostri a questi ultimi sono indissolubilmente associati in quanto parte integrante e imprescindibile della vita monastica.
Se la conoscenza di un sito è subordinata alla sua frequentazione, allora visitare un chiostro - luogo secolare di riflessione e di ricreazione monastica - diventa il momento della conoscenza di uno spazio tradizionalmente interdetto ai laici, perciò, di sicuro indiscusso fascino.
Tipologicamente, il chiostro itera uno standard architettonico costante nei secoli: dai primi paleocristiani all'età moderna, è sempre spazio porticato le cui colonne di frequente poggiano su un basso muro, isolando al centro, una "piazza" scoperta nella quale, quasi sempre, campeggia un pozzo per la raccolta delle acque piovane.
Dal latino "claustrum" che significa letteralmente riparo, recinto; i chiostri, lontani per destinazione dalle magnificenti facciate di rappresentanza delle chiese, mostrano ariosi la loro natura solitaria e appartata, sfolgorano di luce dietro le cortine murarie di chiese e conventi in una dimensione privata, ma non per questo, artisticamente dimessa.
Così, all'ombra dei campanili, si snoda il nostro itinerario fanese che ci condurrà alla visita di caratteristici esempi di architettura claustrale del nostro Rinascimento: Sant'Agostino, San Paterniano e San Michele. Se gli ultimi due rappresentano per il visitatore soltanto un momento di piacevole distensione dove "vivere" le armoniose architetture del Rinascimento; il primo, si impone per l' elevato valore cristiano - didattico nella possibilità offerta di conoscere una storia raccontata per immagini a trecentosessanta gradi, dal linguaggio universale della pittura, spesso più eloquente della parola!
Come ben inteso fu dalla Chiesa, soprattutto dai tempi della Controriforma!
Chiostro di S. Agostino
Un destino comune - datato a quel funesto 1944 di guerra - accomuna le chiese fanesi di Sant'Agostino e San Paterniano. Le cronache raccontano della distruzione di alcuni dei più importanti edifici cittadini sotto la furia devastatrice di bombe e mine, atti distruttivi consumati nel contesto del secondo conflitto mondiale. Rovinarono torri e campanili, ma fra i chiostri, solo quello di Sant'Agostino fu interessato al tragico avvenimento. Furono le ripercussioni di quei bombardamenti, appunto, a compromettere l'equilibrio statico delle architetture e a causare - unitamente all'incuria dell'uomo - lo stato di degrado in cui oggi versa il ciclo di affreschi accolto nelle ventotto lunette del chiostro di Sant'Agostino. Ciò che di primo acchito colpisce il visitatore! Il ciclo pittorico rappresentante episodi salienti della vita del Santo, è opera del pittore pesarese Giulio Cesare Begni che lo eseguì nel 1640 quale degno coronamento di una serie di interventi iniziati nel 1562 per volontà dei frati agostiniani fanesi. Lavori che determinarono l'inversione dell'orientamento della chiesa, la ricostruzione del presbiterio e del suddetto chiostro annesso al convento. Lo stato di conservazione degli affreschi, non consente una chiara lettura del racconto iconografico; ma varcato l'ingresso e imboccato a destra il deambulatorio claustrale, il visitatore osserverà sul lato ovest e sud, la serie di lunette recentemente restaurate.
L'episodio pittorico, oltre a rappresentare un interessante spaccato artistico cittadino poco conosciuto, costituisce un altrettanto interessante strumento di ricostruzione della storia sociale fanese seicentesca, in quanto è ravvisabile nella presenza degli stemmi gentilizi - quando si conservano, al centro della lunetta - il ruolo avuto dalle più note famiglie aristocratiche fanesi in qualità di finanziatori dell'opera. Da un punto di vista strettamente stilistico, gli affreschi discendono da una matrice di marca baroccesca con echi di Raffaellin del Colle, quest'ultimo visionato dal Begni probabilmente alla villa Imperiale di Pesaro, dove nella prima metà del secolo, egli stesso intervenne. Essi adottano la consuetudine tecnica del non finito, soprattutto negli sfondati prospettici di ambientazione, dove la presenza di architetture interne od esterne unita alla maestria dimostrata nella resa scenografica, confermano la vocazione del Begni, di essere stato pittore-scenografo, esperto nel dipingere teatri.
Continuando il percorso lungo il lato sud del chiostro, la nostra attenzione volge alla cortina muraria dove due aperture a bifore - oggi identificate come neo-romaniche, danno luce all'antica sala capitolare coperta da uno splendido soffitto ligneo cuspidato del XV secolo - sembravano rappresentare agli occhi degli studiosi del passato, gli unici elementi superstiti di un preesistente chiostro sul quale si sarebbe innestato l'odierno. La chiesa di Sant'Agostino infatti - già chiesa di Santa Lucia - fu concessa nel 1265 ai frati agostiniani di San Pietro in Padule che vi costruirono il convento, appartenuto all'Ordine, fino alla soppressione napoleonica. Da una visione architettonica d'insieme, il chiostro, sebbene sia misconosciuto dalla popolazione fanese, poichè rimasto occultato per diversi anni anche a causa del non facile accesso, rimane per la città, un prezioso esempio - fortunatamente in via di recupero - di eleganza Tardo Rinascimentale, appena suggerita dall'iterazione armoniosa di sottili colonne tuscaniche in arenaria.
Nella lunetta con
Sant'Agostino viene ordinato sacerdote viene raccontato che Agostino nel 391 si trovava ad Ippona per incontrare un funzionario imperiale. Il vescovo Valerio informava i fedeli della necessità di aggregarsi un
sacerdote coadiutore, così costoro, manifestarono la volontà di averlo a capo
della comunità. Dunque fu ordinato sacerdote di Ippona nello stesso anno e qui
rimase per trentanove anni, fino alla morte.
Risulta la composizione più classica del ciclo, perchè le figure si dispongono a gruppi, rispettando la simmetria. Nel gruppo di destra è ben riconoscibile il vescovo Valerio, mentre in quello di sinistra, si riconosce Sant'Agostino, nel personaggio aureolato che innalza le mani in segno di prostrazione e volge lo sguardo verso un'immagine - oggi lacunosa - posta entro una cappella. In questo episodio si ravvisa l'espediente tecnico del non finito, adottato dal pittore nella realizzazione dell'interno architettonico, che risulta privo di volume, "poichè risulta" disegnato dall'essenzialità di segni abbozzati. Il risultato che ne deriva è una "scenografia" fittizia. In tal modo il pittore riuscirà a dare il giusto rilievo ai personaggi e a subordinarne l'ambientazione. L'intento non è comunque realistico, poichè il fuoco prospettico della scenografica architettura, sfonda su una veduta paesaggistica anzichè - come vorrebbe la resa realistica - in una cappella absidata. E non sarà azzardato il confronto con "La cacciata di Eliodoro dal tempio" di Raffaello alle Stanze vaticane, dal quale il pesarese, avrebbe sicuramente desunto - se non l'impareggiabile maestria esecutiva - almeno lo schema compositivo.
Chiostro del Convento di S. Paterniano
Ci troviamo ora immersi nella luminosità abbagliante del chiostro di San Paterniano, altro mirabile esempio di sobria eleganza Rinascimentale; da qui, si scorge la mole svettante del campanile ricostruito dopo gli eventi bellici. Entro tanto nitore di spazi - fortunatamente almeno questi scampati alle distruzioni - l'occhio del visitatore cade subito nel bel puteale che da pochi anni ha ritrovato l'originaria funzione di fulcro prospettico al centro dello spazio claustrale, in luogo della precedente impropria funzione ornamentale - durata circa un secolo - nei giardinetti di Piazzale Leopardi. La foggia mistilinea di tale elemento accessorio, conferisce al chiostro l' unico necessario motivo decorativo - già preludio al Barocco, reca infatti la data 1577- entro tanta nuda austerità Rinascimentale. Mentre l'incisione lapidaria "JACOBUS VENES" indusse in passato gli studiosi locali, ad avanzare l'ipotesi di attribuzione dell'intero complesso a Jacopo Sansovino; attribuzione da riferirsi invece con tutta probabilità, al veneziano Jacopo di Stefano, lo scalpellino incaricato di realizzare pure gli elementi decorativi del campanile.
Il nostro punto di osservazione - in divenire, mentre percorriamo il deambulatorio claustrale - conferisce la visione delle facce opposte uguali da qualsiasi punto di vista. E in questo passeggiare, nell'alternanza di pieni - le ventiquattro snelle colonne in pietra d'istria con relativi capitelli corinzi - e di vuoti - la porzione di cielo e di logge opposte - il chiostro mostra tutta la sua elegante semplicità architettonica affine al più puro stile toscano, nonostante le parziali manomissioni dei secoli successivi, ne abbiano modificato alcuni portali nel sottoportico. Opera certa di uno scalpellino milanese - in collaborazione con Magister Augustinus de Mantua e Magister Bernardus de Cummo - quel Giovanni Bosso attivo in quegli stessi anni in numerose altre fabbriche fanesi (si ricordino i cantieri di Santa Maria Nuova, San Michele e delle logge superiori del Palazzo Malatestiano, per i quali, egli eseguì le snelle colonne). Nel chiostro di San Paterniano la sua ideazione interessò oltre le colonne - che recano incise i nomi dei Papi Adriano VI, Clemente VII, Paolo III e Gregorio XIII con relative date, rispondenti con probabilità, a benemerenze pontificali nei periodi della costruzione iniziale e di completamento - pure le cornici dei portali e delle finestre, i peducci delle volte a vela e le fasce marcapiano, tutte opere datate attorno al 1528 e realizzate da Giovanni Bosso anche in qualità di esecutore materiale.
Chiostro della Chiesa di S. Michele
Agli antipodi dello spazioso chiostro di San Paterniano, si pone il delizioso - per quanto minuscolo - episodio architettonico altrettanto Rinascimentale, del chiostrino di San Michele; complesso questo, fortunatamente risparmiato alla rovina. Dietro quella splendida scenografia che è la porta romana di Augusto, e ad essa adiacente, si estende l'edificio monastico del cui retrostante chiostro si prelude nelle cinque arcate della loggia frontale. Si diceva poc'anzi, dell'intervento di Giovanni Bosso in varie fabbriche fanesi; tra queste, vi è appunto, il quattrocentesco complesso di San Michele, sede fin dal XIV secolo di un istituto gestito dalla confraternita omonima provvido alla cura degli esposti e destinato infine ad ospizio dal 1537.
L'intervento dello scalpellino milanese - come in altri cantieri fanesi - si è limitato alla struttura portante dell'edificio claustrale, ossia le otto colonne tuscaniche in pietra d'istria con relativi capitelli di ordine ionico, praticamente "gemelle" delle sette colonne che sorreggono la loggia superiore dell'antico Palazzo Malatestiano. Sono invece da escludere alla sua paternità, le colonne del fronte della loggia poste in opera solo nel 1557-58 sicuramente dai nipoti Antonio, Pietro e Nicola, poichè in questa data, Giovanni era già morto. La tipologia architettonica si differenzia dai sopracitati chiostri, sia per il carattere rustico conferito dal paramento in laterizio, rispetto alla soluzione intonacata adottata nei due precedenti, sia perchè la funzione di spazio aperto e praticabile, si ripete pure al piano superiore dove l'ignoto progettista previde una ulteriore loggia le cui colonne in arenaria - oggi rifatte - alternate ora a fusto rotondo, ora a fusto ottagonale, reggono un sistema di mensole lignee su cui poggia l'architrave che segue l'andamento perimetrale interno. É da attribuire invece al ripristino del 1925 ad opera dell'architetto Alberto Calza Bini - intervenuto con disinvoltura in varie parti interne ed esterne del complesso - il pavimento in cotto con inserti marmorei del deambulatorio, coperto dalle splendide volte a vela sostenute dai consueti peducci. L'episodio architettonico nel suo complesso strutturale, discende da un prototipo di marca toscana e veneziana e rappresenta per la città di Fano un caso isolato, praticamente unico nel suo genere.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.1999
Ultima modifica: 22.11.2004
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