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Da sempre la necessità di difendersi ha spinto l'uomo a porre tra sè e l'esterno una barriera dapprima naturale e, successivamente, artificiale costituita da sofisticate strutture difensive con entrate fortificate. Fano non fa eccezione: la più antica cortina muraria conservata risale all'epoca augustea, anche se possiamo supporre che già in epoca repubblicana esistesse un primo circuito difensivo.

Porta o Arco d'Augusto

Iniziamo partendo dall'accesso principale, magnifica quinta scenografica alla strada Consolare Flaminia: la Porta d'Augusto, voluta da Cesare Ottaviano Augusto nei primi anni dopo la nascita di Cristo come ingresso alla città e completamento di un'imponente cinta muraria. La porta, impropriamente definita "arco", è stata mutilata dell'attico - costituito da sette arcate poggianti su otto semicolonne - dalle artiglierie del duca Federico da Montefeltro durante l'assedio del 1463. In ricordo dell'aspetto originario, il monumento venne scolpita a bassorilievo sulla facciata dell'adiacente chiesa di San Michele. L'intera facciata fu rivestita con i blocchi provenienti dall'antico abbattuto, come ci testimonia l'iscrizione Augusto a lato del portale. Il frammento apparteneva ad una delle tre iscrizioni che originariamente ornavano la porta. Ne rimangono due: la più antica, da cui si evince - interpretando un probabile errore - la data di costruzione della cinta muraria non posteriore al 10 d.C.; la seconda, databile attorno alla metà del IV secolo.

La porta è dotata di tre fornici, due per il passaggio pedonale; quello centrale per il passaggio carraio. Esternamente è rivestita di pietra bianca proveniente dal monte Nerone che la fa risaltare rispetto all'interno, costituito da grossi conci in arenaria giallastra.
La chiave di volta del fornice maggiore mostrava la raffigurazione di un animale che, secondo la leggenda, fu scalpellato nei primi anni del cristianesimo. Probabilmente allo stesso periodo risale l'incisione di tre croci all'interno del fornice sinistro.

La porta assolveva alla funzione di accesso fortificato alla città, ed era difesa lateralmente da due torrioni con pianta a ferro di cavallo. Di questi rimane quello di sinistra, completamente manomesso da diverse aperture, mentre quello di destra è stato inglobato nelle fondamenta della già ricordata chiesa di San Michele.

Bastione del Nuti e Porta Maggiore

Nel 1227, in seguito all'ampiamento verso Sud-Ovest della città, fu costruita, di fronte alla Porta d'Augusto, una nuova porta detta "Maggiore" che assunse il ruolo di nuovo ingresso fortificato. La foggia architettonica adottata si adattava meglio all'evoluzione della tecnica bellica; tale porta fu rimodernata diverse volte fino a pochi mesi prima del sopracitato assedio delle truppe pontificie guidate dal Duca di Montefeltro.
Durante questo assedio, la Porta Maggiore ed i suoi torrioni laterali vennero distrutti. In seguito, l'incarico della loro ricostruzione fu affidato all'architetto Matteo Nuti.

Il Nuti progettò una porta coperta dotata di beccatelli, con due soli ingressi per il passaggio pedonale e carraio, ai lati della costruzione si conservano due cannoniere, utilizzate per il tiro di fiancheggiamento. Successivamente la porta venne difesa da un bastione aggettante rispetto alla cinta muraria: basso, tozzo, con muri a scarpa e con uno spazio sufficiente a permettere il movimento dei pezzi di artiglieria sia a difesa della porta, sia a copertura di tutto il tratto di mura verso Nord.

Tutta la zona di Porta Maggiore ha subito, soprattutto nell'ultimo secolo, notevoli trasformazioni: le mura che legavano il bastione alla Porta Maggiore sono state abbattute per consentire un più agevole accesso alla città e quindi la vista della porta augustea; a tale scopo furono demolite tutte le case tra le due porte, fu abbassato il livello stradale, venne arretrata la facciata della chiesa di San Michele che ostruiva il fornice destro della Porta di Augusto, fu trasformata a giardini l'intera area del Bastione Nuti. Porta Maggiore venne privata della copertura e le mura di collegamento con l'antica cinta muraria romana furono distrutte.

Mura romane

Le mura augustee fanesi costituiscono il tratto più lungo di mura romane conservate nelle città medio-adriatiche. Degli originari 1750 metri, ne rimangono circa 550. Le mura romane, nel tratto settentrionale, hanno continuato a difendere la città sino a tutto il periodo in cui fece parte dello Stato Pontificio.

Edificate con la tecnica della costruzione a sacco (due filari esterni in conci di arenaria riempiti di malta cementizia e ciotoli, per uno spessore di centottanta centimetri, invariato dalla base alla sommità), si avvalevano di un semplice ma efficace sistema di difesa, basato sulla iterazione regolare di torrioni, posti, secondo i canoni vitruviani, ad una distanza di un "tiro di freccia" l'uno dall'altro, per consentire la difesa del complessivo perimetro murario. I torrioni - ventotto secondo testimonianze ottocentesche - misurano nove metri di diametro e dodici di altezza, arrivando fino alla base dell'attico della porta augustea, così da permettere lo svolgimento della ronda senza dislivelli.
La distribuzione regolare dei torrioni, non più lontani fra loro di cinquantaquattro metri e il fatto che risultano aggettanti di 3/5, rispetto alle mura, trova conferma nel trattato De Architectura del noto architetto romano Vitruvio, il quale consigliava di costruire i torrioni sporgenti verso l'esterno in maniera che l'angolo di campo fosse il più ampio possibile.

Porta della Mandria e Porta Giulia

Il tratto di mura superstiti, partendo dalla porta augustea, si svolge fino alla Rocca Malatestiana ed è interrotto da una porta romana probabilmente coeva al resto della cinta detta "della Mandria". Da tale porta, con ogni probabilità, usciva la via Flaminia diretta verso settentrione.
In seguito, il pontefice Giulio III fece costruire Porta Giulia chiamata anche Porta Angelica, successivamente demolita nel 1878; al suo posto venne innalzata la Barriera Vittorio Emanuele II a sua volta abbattuta nel 1929.

Rocca Malatestiana

Proseguendo il cammino verso mare incontriamo la Rocca Malatestiana edificata sui resti di un torrione; la struttura era già in uso nel XIV secolo, e venne sistemata nella forma attuale per volere di Sigismondo I Malatesta, ad opera dell'architetto Matteo Nuti.

La Rocca, di forma quadrangolare, era circondata su tre lati da un fossato. All'interno, sulla piazza d'armi, possiamo vedere le celle e la cappellina. Al piano rialzato si trovavano la stalla - attualmente utilizzata come spazio espositivo - e vari ambienti per la manovra delle armi da fuoco.
La rocchetta - ulteriore fortificazione all'interno della rocca - racchiudeva al suo interno una torre fortificata, il mastio, dalla quale si potevano controllare vasti tratti di mura. Della Rocchetta e del Mastio, distrutti durante l'ultima guerra dalle mine tedesche, oggi rimane ben poco.
La rocca fu costruita rispettando i principi codificati da Leon Battista Alberti, secondo i quali la difesa della città doveva essere impostata sullo schema dei cerchi concentrici, tangenti in un sol punto. Le mura a nord del Mastio coincidevano con le mura della Rocchetta, con quelle della Rocca e con le mura cittadine. Un camminamento consentiva la ronda ed un rivellino difendeva la porta di ingresso. In seguito il Sangallo intervenne ristrutturando il torrione, posto a destra dell'ingresso, quasi fosse un baluardo inserendovi l'apertura per una bocca da fuoco, così da colpire, con tiro di fiancheggiamento, le truppe nemiche che fossero riuscite a portarsi in prossimità della porta.

Mura malatestiane e Bastione del Sangallo

Dalla Rocca, parallelamente alla linea di costa, parte il tratto superstite di mura malatestiane. Questo tratto di mura, con andamento a scarpa ed addossate alla falesia, fu voluto da Sigismondo Malatesta nell'intento di riorganizzare tutte le strutture difensive della città.

La cinta malatestiana seguiva l'andamento delle antiche mura romane, fino all'altezza dell'odierna via Garibaldi, proseguendo poi fino all'area in cui, nella prima metà del Cinquecento, Antonio da Sangallo costruì un bastione fortificato.

Il Bastione del Sangallo domina, con la sua imponenza, un lungo tratto di costa; esso è suddiviso in due parti: la più bassa consente, attraverso un largo passaggio porticato, l'accesso ai locali sotterranei che probabilmente, essendo la zona più protetta, ospitavano il deposito delle polveri e delle munizioni utilizzate per la difesa dagli attacchi dei ferocissimi pirati saraceni. Le artiglierie potevano essere spostate al piano superiore lungo tutto il perimetro del bastione, utilizzando una semplice struttura di pendenze artificiali sostenute da archetti ancora oggi visibili. La particolare forma dei bastioni consentiva di effettuare, in posizione nascosta dal nemico, tiri di artiglieria, sia lungo la cortina muraria - il cosiddetto tiro di fiancheggiamento - che verso l'esterno.
Nell'angolo esterno del bastione è visibile l'arma di Papa Giulio III, Pontefice nel 1552, anno in cui l'opera fu portata a termine da Luca da Sangallo.
Quest'ultima opera di fortificazione era probabilmente parte di una serie di progettati interventi, rimasti solo sulle carte di Bartolomeo de' Rocchi, cartografo ed assistente dei Sangallo, ora conservate presso gli Uffizi. Secondo queste rappresentazioni cartografiche della città di Fano, la vecchia cinta muraria malatestiana, considerata obsoleta, doveva essere allargata e rinforzata da altri quattro bastioni. Tali progetti rimasero incompiuti, ma divennero la base per le raffigurazioni di Fano durante tutto il Seicento, come la famosa mappa del Blavius (1663).

Il restante tratto di mura malatestiane, che partendo dal Bastione Sangallo si collegava alla Porta Maggiore è stato demolito nei primi anni di questo secolo; le polemiche sul progettato abbattimento furono roventi, anche se non riuscirono ad impedirlo. Più favorevole fu la sorte delle mura romane della Mandria che riuscirono a salvarsi solamente grazie alla coraggiosa opposizione dell'ing. Cesare Selvelli.

Le case-torri

Parlando di fortificazioni e di difesa, è giusto parlare anche di "case-torri".
Si tratta di costruzioni fortificate all'interno della cinta muraria, sviluppatesi durante il periodo basso medievale, quando le città, pur tornate a ripopolarsi, restavano comunque pericolose e piene di insidie.
Edificate per ragioni militari, le torri cittadine non avevano in origine caratteristiche residenziali che, in alcuni degli esemplari superstiti, sono dovute a successivi rimaneggiamenti; il piano terreno, che non aveva accessi sulla strada, veniva utilizzato come deposito per i viveri e le munizioni. Alla torre, in genere priva di finestre, ma dotata di feritoie per il ricambio dell'aria, si accedeva mediante passerelle dagli edifici adiacenti; esse erano suddivise in piani di legno con strette scale di collegamento, che potevano essere ritirate in caso di attacco, isolando, in tal modo, ogni piano dall'altro. I grossi conci di pietra arenaria a forma di parallelepipedo della muratura, erano disposti in modo che i tagli orizzontali formassero una linea continua, mentre i tagli verticali delle linee sfalsate.

A Fano esistevano diverse case-torri di cui però rimanangono esigue tracce, poichè spesso sono state abbassate ed inglobate in altre costruzioni; quelle rimaste e ancora riconoscibili si affacciano lungo via Arco d'Augusto, inserite rispettivamente nell'edificio che ospita la sede della Banca Popolare e nel Palazzo Martinozzi, e tre lungo via Nolfi (dei Bartolelli , di S. Elena ed un'altra meno riconoscibile a fianco del portale della scomparsa chiesa di S. Maria Maddalena).
Sicuramente i resti maggiormente leggibili, comunque, sono quelli della cd. "Torre dei Bartolelli", ubicata all'angolo tra via Nolfi e via de Cuppis. I Bartolelli abitavano questa antica costruzione medioevale già nella seconda metà del Quattrocento. Essi, di professione farmacisti, o, meglio, aromatari, utilizzavano la torre come sede dei loro commerci; osservandola bene, infatti, si notano, sul lato di via de Cuppis, le tracce di una pietra orizzontale che probabilmente fungeva da bancone per la vendita delle droghe.

Un'altra torre superstite, riutilizzata come torre campanaria, è quella detta di Sant'Elena. La torre, restaurata nel 2001, presenta ben evidenti nella struttura i caratteri della fortificazione: grossi conci di arenaria alla base, poche aperture, tutte situate ai piani superiori. All'interno, il pianterreno è molto angusto in quanto le pareti - che in alto si assottigliano - hanno uno spessore di circa un metro; l'ambiente, pressochè buio, è illuminato solamente dalla porta foggiata ad arco a sesto acuto, recentemente rifatto, come il primo piano in legno, raggiungibile da una scala a pioli, da dove parte una antiscala in pietra che raggiunge la sommità.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.1999
    Ultima modifica: 06.01.2010

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