Opere specialistiche
Inquadramento sismotettonico del bacino del Metauro
Sismotettonica della penisola italiana
Le caratteristiche sismotettoniche della penisola italiana dipendono dalla struttura geologica attuale della crosta terrestre, dall'evoluzione cinematica della crosta stessa negli ultimi milioni di anni, dalla sismicità storica e recente.
In questo paragrafo viene brevemente riassunto uno dei più recenti modelli che descrivono le caratteristiche sismotettoniche della penisola italiana, proposto da Scandone et al. (1990). Tale modello è in continuo perfezionamento da parte degli Autori sulla base di sempre nuove conoscenze geologiche e sismologiche della penisola italiana. Su di esso si basano, tra l'altro, i più moderni studi di zonazione sismica del territorio nazionale.
La Figura 1 rappresenta le principali strutture geologiche della penisola italiana: il bacino estensionale del Tirreno in posizione di retroarco, la catena appenninica e l'avampaese padano-adriatico-ionico-siciliano sul cui margine interno sono sovrascorse le unità tettoniche che formano l'edificio appenninico.
Il bacino tirrenico meridionale (a sud del parallelo 41°N), in parte con fondale oceanico, è caratterizzato da elevatissimi valori di estensione (oltre 5 cm/anno), mentre quello settentrionale presenta valori di estensione dell'ordine di 1 cm/anno.
La catena appenninica appare divisa in due archi convessi verso l'avampaese, separati dalla discontinuità nota come linea Ortona-Roccamonfina. Entro la parte concava dell'arco meridionale si collocano terremoti profondi i quali evidenziano una zona di Benioff che immerge verso il Tirreno fino a 500 km di profondità. Lungo il margine padano-adriatico-ionico della catena appenninica vi sono vistose strutture compressive che coinvolgono depositi plio-pleistocenici. A queste strutture compressive fanno da controparte, tra lo spartiacque e il margine tirrenico della penisola, strutture estensionali parallele ai fronti di compressione, troncate da lineamenti tettonici trasversali alla catena appenninica e da archi di ordine minore.
L'avampaese padano-adriatico-ionico-siciliano appare come una placca poco deformata, inflessa ai bordi e immergente sotto la catena appenninica. L'asse di inflessione segue grossolanamente l'andamento dei due archi appenninici e cambia bruscamente in corrispondenza della linea Ortona-Roccamonfina, interpretata come uno strappo della litosfera in subduzione. Alcune importanti faglie attive nel Piocene-Quaternario separano il blocco del Gargano dal blocco delle Murge-Salento e dal blocco Adriatico-Padano.
Sulla base di questa situazione attuale, il modello di Scandone et. al. (1990) propone la seguente evoluzione cinematica della penisola italiana negli ultimi 8 milioni di anni (dal Miocene superiore ad oggi):
- Eventuali processi di convergenza tra avampaese appenninico e blocco sardo-corso non avrebbero avuto un ruolo determinante in questi ultimi milioni di anni, mentre lo avrebbe avuto il rapido arretramento dell'asse di flessione della placca di avampaese in subduzione (roll-back).
- La netta divisione tra Appennino settentrionale e meridionale con differenti velocità di migrazione dei fronti compressivi e di avanfossa (1-1,5 cm/anno a nord e oltre 5 cm/anno a sud) trova riscontro, nelle aree estensionali, nella bipartizione del Tirreno sopra ricordata.
- A partire dal Messiniano, ma soprattutto nel Pliocene e Pleistocene inferiore, si sono sviluppate strutture arcuate fuori sequenza, spesso con rotazione antioraria.
- I due archi appenninici principali, già abbozzati dalla tettonica del Messiniano, assunsero la configurazione attuale nel Pliocene e nel Pleistocene inferiore.
- A partire dal Pleistocene medio, nell'Appennino meridionale cessarono i moti compressivi della catena appenninica, tranne che lungo l'arco Calabro. La linea Ortona-Roccamonfina divenne così uno strappo litosferico trascorrente destro svincolante le due porzioni di catena appenninica che si muovono in modo nettamente diverso tra loro.
Questo modello prende anche in esame i dati disponibili sulla sismicità storica e recente della penisola italiana. In Figura 2 si riporta la distribuzione degli epicentri dei terremoti registrati negli ultimi 1000 anni.
Lo schema sismotettonico che deriva dall'analisi di tutti questi dati può essere riassunto nei punti seguenti:
- Il moto di convergenza tra Africa ed Europa fa sentire i suoi effetti solo lungo il margine settentrionale del blocco adriatico-padano, e si manifesta con la sismicità delle Dinaridi e delle Alpi Meridionali.
- Diversamente si comporta il margine non compressivo della placca adriatica col blocco sardo-corso, dove distensione e compressione sono legate all'inflessione e arretramento di tale placca sotto il Tirreno. Le Figure 3 e 4 schematizzano lo sprofondamento della litosfera adriatica, il cui asse di inflessione retrocede. Le diverse porzioni di litosfera che si inflettono a velocità diverse sono separate da zone di "strappo" che si generano lungo la linea di inflessione; esse corrispondono a faglie dirette e trascorrenti.
- Nell'arco appenninico settentrionale, l'asse di flessione della piastra padano-adriatica divide il segmento di catena in una zona esterna in compressione ed una zona interna in distensione.
- I terremoti avranno quindi meccanismi di sorgente compressivi e trascorrenti nella zona esterna e meccanismi distensivi in quella interna. Nell'Appennino meridionale, dove l'arretramento flessurale è cessato nel Pleistocene medio, i terremoti saranno prevalentemente generati da faglie dirette orientate NW-SE, con minori componenti trascorrenti. Lungo la linea Ortona-Roccamonfina si verificano invece terremoti con meccanismi sia distensivi che trascorrenti, con piano di frattura orientato circa N-S.
Il modello sismotettonico sopra riassunto ha portato in questi ultimi anni alla realizzazione, da parte degli Enti di ricerca nazionali, di una accurata zonazione sismogenetica della penisola italiana, cioè alla delimitazione e caratterizzazione di una serie di aree o lineamenti tettonici che sono sede di attività sismica. La Figura 5 riporta la versione più recente di tale zonazione (GNDT, 1998c). Le aree colorate poligonali in figura rappresentano altrettante zone sismogenetiche definite dagli Autori, le quali sono raggruppabili in:
- Zone di interazione tra piastra adriatica e piastra europea (Alpi e Sudalpino) e zone di interazione tra piastra adriatica e sistema dinarico (Dinaridi ed Ellenidi fino allo svincolo di Cefalonia). L'asse di compressione massima, suborizzontale, segue i vettori di spostamento dell'indenter insubrico.
- Zone legate al margine interno della piastra padano-adriatico-ionica in subduzione sotto la catena appenninica (fascia padano-adriatica, intermedia, tirrenica, Arco Calabro?).
- Zone legate al recente sollevamento della catena appenninica, successivo ad una lunga storia di migrazione spazio-temporale del sistema catena-avampaese (fascia Appenninica meridionale, margine tirrenico).
- Zone legate ad un regime compressivo giovane impostato su un precedente regime distensivo (Mar Ligure, Liguria occidentale).
- Zone di rottura all'interno della piastra di avampaese e lungo i suoi margini in flessione (Belice, Iblei, Scarpata Ibleo-Maltese, Gargano-Tremiti, Canale d'Otranto).
- Zone vulcaniche (Ischia, Flegrei, Vesuvio ed Etna).
Sismotettonica del bacino del Metauro
Nell'ottica del modello sismotettonico della penisola italiana sopra descritto (Scandone et al., 1990; GNDT, 1998c), il bacino del Metauro attraversa più zone sismogenetiche. Queste ultime sono tutte legate al margine interno della piastra padano-adriatico-ionica in subduzione sotto la catena appenninica.
La zona costiera del bacino del Metauro risulta inclusa nella fascia sismogenetica padano-adriatica in compressione, la quale si estende dal pedeappennino e la bassa pianura emiliano-romagnola fino a tutta la costa marchigiana e abruzzese. A causa del campo di sforzi tettonici presenti in tale fascia, i terremoti che vi si generano hanno meccanismi di sorgente prevalentemente di tipo compressivo e trascorrente.
Tutta la fascia interna (collinare e montana) del bacino del Metauro risulta inclusa in una zona sismogenetica distinta dalla precedente, la quale è intermedia tra quella padano-adriatica (in compressione) e quella tirrenica (in distensione). In questa zona, i meccanismi di sorgente dei terremoti sono di tipo misto, comunque prevalentemente distensivi.
L'area metaurense è quindi collocata in una zona della penisola italiana nella quale i processi endogeni (le forze tettoniche) sono in piena attività e tendono incessantemente a modellare "dall'interno" la crosta terrestre e la sua superficie topografica. Relativamente ad altre zone d'Italia, si può dire che il tasso di attività sismotettonica locale, quindi l'entità dei fenomeni geologici che ne derivano, risulta essere di medio grado.
Gli effetti più vistosi di questa attività sismotettonica locale sono: i terremoti grandi e piccoli che si verificano in queste zone; la strutture morfoneotettoniche rilevabili nell'area, quali i rilievi montuosi geologicamente giovani, le superfici topografiche relitte, gli alvei di corsi d'acqua ringiovaniti e deviati, i lineamenti neotettonici superficiali, ecc. (Cencetti, 1988; Nesci et al., 1978).
Per ulteriori approfondimenti si vedano anche Regione Marche (1991) e Ciccacci et. al. (1985).
Un recente articolo fornisce un quadro interpretativo di ulteriore dettaglio della sismicità e della neotettonica distensiva dell'Appennino Umbro-marchigiano settentrionale (Boncio et al., 1998). Esso si basa sulla presenza, evidenziata dalle prospezioni geofisiche CROP-03, di una importante faglia diretta (faglia Altotiberina) affiorante lungo il bordo interno della Valle del Tevere ed immergente verso est fino ad una profondità di circa 12 km. la geometria di questa faglia viene analizzata in dettaglio dagli Autori sulla base dei dati geologici integrati coi dati geofisici, in particolare di altri profili sismici.
L'analisi della sismicità locale storica e recente, compresa quella rilevata dalle moderne reti sismiche, evidenzia, secondo gli Autori, come la distribuzione della sismicità sia sostanzialmente controllata dalla geometria della faglia Altotiberina e delle altre faglie ad essa coniugate. Sulla base di queste osservazioni, gli Autori propongono un modello sismogenetico secondo il quale la faglia Altotiberina separerebbe un blocco di crosta terrestre in estensione e traslazione verso nordest, all'interno del quale è confinata la sismicità, da un blocco sottostante pressoché stabile e asismico, cioè privo di sismicità (Fig. 6). Il volume di crosta terrestre immediatamente ad est della faglia Altotiberina (es. zona di Gubbio) sarebbe sede di una incessante attività sismica, comunque moderata, mentre l'area sorgente dei più forti terremoti storici (n.d.s. tra i quali oggi possiamo aggiungere quello del settembre 1997) sarebbe collocata sotto l'area di catena appenninica, nei settori più esterni e profondi del blocco attivo sopra la faglia Altotiberina.
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.1999
Ultima modifica: 28.07.2004
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