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Il clima dei Monti del Furlo (Flora e vegetazione dei M...

Piani altitudinali sui Monti del Furlo (Flora e vegetaz...

Storia delle flore dei Monti del Furlo (Flora e vegetazione dei Monti del Furlo)


Nei Monti del Furlo vive oltre un migliaio di specie di piante: nel presente lavoro trattiamo solo della flora vascolare (Felci e Fanerogame), sono quindi esclusi Muschi, Epatiche, Licheni, Funghi e Alghe. Molte piante sono estremamente banali e si trovano po' ovunque nelle Marche; altre invece sono piuttosto interessanti o perché generalmente rare o perché è notevole la loro presenza in questa zona, sia che si tratti di specie termofile o mediterranee (di solito viventi in zone più calde e litoranee), sia che si tratti di specie microterme, generalmente di montagna.

Comunque, le particolari ubicazione e morfologia di queste montagne, la cui caratteristica più saliente è la profonda e dirupata gola che le incide da Sud-Ovest a Nord-Est, la natura del suolo, il clima, tutti questi fattori hanno permesso la concentrazione di specie della più varia provenienza ed ecologia, eredità di lunghe e tormentate vicende geo-climatiche.

Facciamo ora un passo indietro e ripercorriamo la storia delle flore, relativa soprattutto all'Appennino centrale, per comprendere il lungo percorso fatto per arrivare alla struttura e alla ricchezza della flora e della vegetazione di questi luoghi.

Durante il Cenozoico, da 65 a 2,4 milioni di anni fa, si manifesta una grande attività orogenetica, gran parte dell'Italia è emersa e, secondo certi Autori, risalgono a quest'epoca i collegamenti temporanei fra terre che verranno successivamente separate dal mare. Questi ipotetici «ponti» avrebbero avuto un ruolo importante nella migrazione di numerose specie fra varie regioni d'Europa.

L'Eocene è caratterizzato da un clima tropicale umido, quindi la flora è rappresentata da specie di tipo tropicale e temperato-caldo. Compaiono molti generi di tipo moderno e si differenzia un gruppo di piante cosiddetto «paleoequatoriale» che, diffuso all'inizio in gran parte d'Europa, all'avvento del Quaternario scompare quasi completamente. Fra le numerose specie diffuse in Italia durante l'Eocene e appartenenti a questa flora di clima caldo, si annoverano numerose Gimnosperme (generi Abies, Sequoia, Podocarpus, Taxodium), molte Palme (Latanites, Palmoxylon, Hemiphoenicites) e moltissime Angiosperme: Fagacee (Quercus), Moracee (Ficus), Magnoliacee (Magnolia), Papilionacee (Cassia e Dalbergia), Lauracee (Laurus, Cinnamornum, Daphnogene, Benzoin e Persea), Eleagnacee (Elaeagnus), Miricacee (Myrica), Sterculiacee (Sterculia), Ramnacee (Zizyphus), Juglandacee (Carya), Combretacee (Terminalia), ecc.

Durante l'Oligocene si ha più o meno lo stesso tipo di flora, ma nell'Oligocene Superiore il clima va modificandosi divenendo più temperato. Tra l'Oligocene e il Miocene Inferiore la temperatura diminuisce e ciò favorisce le specie di clima temperato, con un aumento di Conifere e Fagacee a scapito delle specie tropicali e subtropicali le quali, tuttavia, si diffondono nuovamente durante il Miocene Medio.

Finalmente, all'inizio del Miocene, si formano i primi abbozzi dell'Appennino Umbromarchigiano che si delinea sempre più chiaramente durante il Miocene Medio e Superiore.

Nel Messiniano (Miocene superiore, circa 7 milioni di anni fa) si verifica la cosiddetta «crisi climatica perimediterranea». In questo periodo le acque del Mediterraneo raggiungono una elevatissima salinità, il loro livello diminuisce fortemente e l'emersione di vaste aree prima sommerse causa la frammentazione di questo mare in vari bacini. Queste nuove terre sono rapidamente invase da numerose specie animali e vegetali e consentono imponenti migrazioni fra regioni prima separate dal mare. Questi avvenimenti devono aver avuto un'importanza notevole nel determinare l'afflusso di numerose specie vegetali da varie parti della regione circummediterranea verso la Penisola. Per esempio dovette essere importante l'arrivo di entità balcaniche e, favorito dalle ricorrenti fasi di aridità, quello di specie steppiche e alofile. Intanto nel piano basale si va consolidando una vegetazione costituita da igrofite, latifoglie termofile (Carya, Quercus, Zelkova, ecc.) e Conifere (Abies, Pinus, Tsuga, Cedrus, ecc.).

Durante il Pliocene si trovano in Italia specie di clima tropicale, subtropicale, temperato e freddo e il prevalere temporaneo di questo o quel tipo pare legato alle oscillazioni climatiche verso il freddo o l'asciutto, oscillazioni che sono di entità tale da limitare solo provvisoriamente le specie di clima caldo e umido. Probabilmente in questo periodo si delineano due importanti formazioni vegetali: la prima, di tipo mediterraneo, vede il prevalere di Querce sempreverdi, soprattutto Leccio (Quercus ilex), la seconda di tipo meso-igrofilo è costituita da Laurus, Taxus, Buxus, Ilex, ecc.

Tra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore i vasti boschi di latifoglie vanno via via impoverendosi di elementi terziari e sono alternati con aree di vegetazione steppica in cui predominano Pini, Artemisia, Cicorioidee, Chenopodiacee, Cariofillacee, Ephedra e specie mediterranee come Ceratonia (Carrubo), Leccio, Olea, Fillirea, Pistacia, Cisti e Myrtus.

Tra il Pliocene e il Quaternario riprende massicciamente una vivace attività orogenetica che porta l'Italia ad assumere all'incirca l'aspetto attuale. Grandiosa è anche l'attività vulcanica che contribuisce alla formazione di isole e montagne.

Mentre nel Terziario il clima si era mantenuto relativamente caldo e le oscillazioni erano state di ampiezza limitata, già dal Pliocene si manifestano delle fasi fredde finché col Quaternario si succedono vari periodi di intenso raffreddamento che vanno comunemente sotto il nome di glaciazioni. Le glaciazioni più importanti o perlomeno quelle che hanno lasciato tracce più evidenti sono quattro e vengono denominate Gunz, Mindel, Riss e Würm. Fra l'una e l'altra sono intercalate fasi relativamente temperate che sono chiamate interglaciali. Le glaciazioni non furono periodi unitari dal punto di vista climatico, ma all'interno di ognuna di esse possono essere distinte fasi più o meno fredde. Lo stesso avvenne durante gli interglaciali. Le glaciazioni furono causate dalla concomitanza di vari eventi geofisici: graduale spostamento del Polo Nord che si avvicinò all'Europa venendosi a situare, per lungo tempo, tra la Terra di Baffin e la Groenlandia, variazione di inclinazione ed eccentricità dell'eclittica e precessione degli equinozi. Durante le glaciazioni vi fu un generale avanzamento dei ghiacciai che durante la fase più fredda (Riss) coprivano interamente l'Europa settentrionale e si spingevano fino all'Europa centrale. Tali fenomeni furono imponenti anche nelle Alpi e sui maggiori rilievi europei come Pirenei e Caucaso mentre negli Appennini settentrionali e centrali furono di assai più modesta portata.

Queste lunghe e drastiche vicende climatiche non mancarono di influire profondamente sulla flora e sulla fauna.

All'avanzata dei ghiacci si verifica un generale arretramento della flora verso Sud, soprattutto degli elementi di clima subtropicale e temperato. Intanto, in prossimità dei ghiacciai e sui rilievi rimasti sgombri, si diffonde una vegetazione del tipo della tundra artica mentre più a Sud, nelle regioni più calde, va imponendosi una foresta decidua di tipo temperato. Sulle Alpi la vecchia flora terziaria viene in gran parte spazzata via tranne che in aree di rifugio libere dai ghiacci (nunatakker). Queste aree furono di enorme importanza per la salvezza di numerose specie (per esempio Berardia e Wulfenia).

L'isolamento genetico protratto per lunghissimo tempo favorì spessissimo la formazione di entità nuove, diverse dalla popolazione di origine da cui erano rimaste separate. Questo meccanismo di segregazione e speciazione causato dai fenomeni glaciali si è ripetuto per innumerevoli specie ed è in parte responsabile della grande varietà di animali e piante viventi nell'Arco Alpino.

Durante gli interglaciali, ad ogni temporaneo miglioramento climatico, vi fu un ritorno verso Nord e verso la parte sommitale dei monti delle specie di tipo temperato e subtropicale. Tuttavia, mano a mano, molte specie meno resistenti al freddo scomparvero completamente o rimasero nel Sud della Penisola, per cui questi ritorni verso Nord furono sempre più deboli. Risale a questo periodo la nascita delle specie artico-alpine, delle specie cioè ugualmente presenti nell'estremo Nord d'Europa e nelle vette delle maggiori montagne sudeuropee.

Durante gli interglaciali si rinvengono ancora Tsuga, Cedrus, Thuja, Carya, Pterocarya, Juglans, Magnolia, Zelkova, Rhododendron ponticum, Ficus; scompariranno quasi tutte dall'Italia con gli ultimi periodi di freddo. Intanto nelle parti più calde prosperano boschi meso-igrofili con Laurus, Edera, Buxus, Ilex, Taxus, Rhamnus, Cornus, Ligustrum, Vite (Vitis vinifera), Fraxinus, costituenti il cosiddetto Lauretum.

L'ultima glaciazione (Würm) fu di intensità minore rispetto alle precedenti. Mentre nell'Europa centrale e sulle Alpi era diffusa la tundra, più a Sud la glaciazione si manifestò soprattutto con intensi periodi di pioggia; le foreste di Conifere nell'Italia settentrionale e centrale scendevano in pianura, mentre nel meridione predominavano i boschi decidui di Quercia.

In conclusione le glaciazioni determinarono la decimazione della Flora terziaria; moltissime specie, generi e famiglie scomparvero non solo dall'Italia, ma da tutta Europa. Gli stessi generi che attualmente comprendono alcune delle specie predominanti delle nostre foreste cioè Fagus, Picea, Abies e Quercus che precedentemente erano rappresentate da più o meno numerose specie, sono usciti fortemente impoveriti dai fenomeni glaciali; in Italia, Fagus, Abies e Picea comprendono attualmente una sola specie ciascuno: il Faggio, l'Abete bianco e il Peccio o Abete rosso. La flora attuale risulta pertanto, almeno limitatamente alle specie arboree, estremamente depauperata rispetto alla ricca e varia flora miocenica.

Il periodo che succede alla Glaciazione di Würm, caratterizzato da un clima dapprima più mite, poi decisamente più caldo, comprende due parti: il Tardigiaciale che inizia circa 17.000 anni fa e il Postglaciale (coincidente con l'Olocene) che inizia 10.000 anni fa. Nel complesso questo periodo comprendente alterne fasi di clima freddo, mite e caldo, e che è stato di decisiva influenza sull'assetto della flora europea, viene suddiviso in numerose fasi climatiche.

Dal Dryas I al Boreale si ebbe il periodo continentale anatermico, durante il quale, pur verificandosi grandi variazioni nei valori medi della temperatura fra l'una e l'altra fase, il clima fu essenzialmente di tipo continentale. Dopo il Boreale inizia il periodo oceanico catatermico (che dura tuttora) caratterizzato da clima fondamentalmente oceanico.

Nelle fasi più fredde e antiche del periodo continentale anatermico prevale una vegetazione di tundra con Betulla (Betula), Pino silvestre (Pinus sylvestris), abbondanza di Salici (Salix) e Artemisia.

Nelle fasi successive, più miti, le foreste dell'Appennino vengono densamente popolate, accanto al Pino silvestre e alla Betulla, da Noccioli (Corylus avellana), Ontano (Alnus), Abete rosso (Picea abies), Pino nero (Pinus nigra), Pino mugo (Pinus mugo), Querce, Tigli (Tilia), Olmi (Ulmus), ecc.

Nell'ultima parte del periodo, il Boreale, il clima è nettamente continentale e più mite dell'attuale. Le Querce toccano il culmine della loro espansione giungendo fino al crinale dell'Appennino a contatto con la vegetazione del piano montano comprendente fra le altre: Abete rosso, Pino nero, Pino mugo, ecc. I Querceti misti ospitano numerose altre specie, fra le quali, in abbondanza, Noccioli, Olmi, Tigli e, nei settori più freschi, Faggi (Fagus sylvatica) e Abeti bianchi (Abies alba).

Durante il periodo oceanico catatermico vi fu un'eccezionale diffusione dell'Abete bianco e soprattutto del Faggio. Nell'Appennino umbromarchigiano essi costituirono formazioni vegetali pure e con ogni probabilità anche boschi misti in cui sembra che il Faggio dovesse largamente prevalere. Questi consorzi vegetali conquistarono ben presto il piano montano sostituendo ogni altra formazione arborea, mentre le Querce e fra esse la Roverella (Quercus pubescens) continuavano a dominare incontrastate il piano collinare.

Nella seconda parte del periodo catatermico mutate condizioni climatiche favoriscono ulteriormente il Faggio e, mentre l'Abete rosso, il Pino nero e il Pino mugo proseguono il loro declino che li porterà alla scomparsa dalla maggior parte degli Appennini, questa specie di clima oceanico, originaria dell'Europa centrale e occidentale, plastica e adattabile a diverse condizioni di temperatura, umidità ed esposizione, lentamente, ma inesorabilmente soppianta l'Abete bianco quasi ovunque nell'Appennino centrale e meridionale e lo costringe a ritirarsi in poche aree di rifugio. Nelle Marche l'Abete, amante dei luoghi umidi e riparati di montagna, è rimasto localizzato e assediato dal Faggio in poche stazioni, su terreni arenacei, presso Bocca Trabaria e nei Monti della Laga. Il Faggio, pur essendo quasi completamente scomparso dalle località più basse, collinari, in cui doveva essere frequente poche migliaia di anni fa, è ancora la specie arborea di gran lunga più importante dei nostri monti, da circa 1000 m fin verso 1500 m, talvolta in compagnia di Acero montano (Acer pseudoplatanus), Acero riccio (Acer platanoides), ecc.

Una vegetazione termofila del tipo della macchia mediterranea con prevalenza di Querce sempreverdi e, in particolare, di Leccio, è presente in Italia fin dal Pliocene. Dopo le glaciazioni, impoverita di elementi terziari, ma arricchita di nuovi arrivi, soprattutto durante i periodi caldi degli interglaciali e del Tardigiaciale, e nel Postglaciale, questa vegetazione raggiunge un grande sviluppo nel Boreale contemporaneamente alla generale avanzata del Querceto. Successivamente periodi climatici più freschi hanno relegato la vegetazione mediterranea nelle zone più calde della Penisola. I numerosi nuclei di Leccio sparsi sui nostri monti stanno a testimoniare questi eventi. Nelle Marche una macchia mediterranea molto impoverita si trova soprattutto sul M. Conero e, ridotta a qualche lembo, lungo la costa e nel suo immediato retroterra dal M. Conero verso Sud.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.2000
    Ultima modifica: 04.09.2004

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