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RAPPRESENTAZIONI PITTORICHE E CARTOGRAFICHE DEL TERRITO...

Il Ducato di Urbino ritratto da F. Mingucci

L'opera cartografica di F. Mingucci


CITTA' E CASTELLI DEL DUCATO DI URBINO RITRATTI "AL NATURALE": L'ATLANTE SEICENTESCO DEL PESARESE FRANCESCO MINGUCCI

La cospicua produzione di atlanti di città nei secoli XVI e XVII, accentuando la grande fortuna del tema urbano e ponendo in circolazione una considerevole quantità di prototipi ai quali attingere, contribuì sicuramente alla nascita di raccolte di immagini urbane riguardanti circoscritte realtà territoriali.

Gli atlanti redatti a scala regionale presentano molte affinità con le grandi opere relative alle città del mondo.

Ne è una efficace quanto singolare testimonianza il contributo cartografico di Francesco Mingucci che, nella prima metà del XVII secolo, rappresenta territori e località del Ducato di Urbino.

Conservato nel Fondo Barberini della Biblioteca Apostolica Vaticana, il codice Barberiniano Latino 4434, più noto col titolo "Stati, Dominii, Città, Terre e Castella dei Serenissimi Duchi e Prencipi Della Rovere tratti dal naturale da Francesco Mingucci da Pesaro", è la prima e più significativa delle tre raccolte di disegni dovute al pittore-cartografo pesarese (Almagià, 1960, p. 36).

L'opera viene progettata e realizzata nel periodo in cui, nel Ducato di Urbino, è ormai ineluttabilmente avviata ad estinzione la dinastia dei Della Rovere. Cosicchè l'ultimo duca Francesco Maria II, piegato dagli anni e dalla prematura scomparsa del figlio Federico Ubaldo, acconsente, sotto le forti pressioni papali, a ratificare l'atto di devoluzione che, dopo la sua morte, ricondurrà lo Stato feltresco sotto il diretto dominio della S. Sede (De Angelis, 1991, pp. XLVIII-LIV).

Fra i tanti favorevoli all'avvento del governo pontificio è anche Francesco Mingucci il quale, probabilmente desideroso di trarre personali benefici dalla nuova situazione politica, ritiene di rivolgere direttamente al papa un dono degno di un personaggio colto e raffinato qual era Maffeo Barberini.

Egli dedica dunque ad Urbano VIII, in data 2 aprile 1626, l'opera pittorica che ritrae "dal naturale" le principali città, alcune residenze signorili, i piccoli centri e i castelli del Ducato, di fatto ormai tornato proprietà della Chiesa (Nuti, 1996, pp. 195-196).

Il manoscritto, cui si attribuiscono finalità politiche, encomiastico-celebrative del papato, documentarie sul territorio ducale, fu molto gradito e apprezzato dal pontefice che concesse udienza personale e un lauto compenso economico all'autore (Allegretti, 1996, pp. 48-49).

L'artistico codice mingucciano si compone di 142 tavole contenenti 112 disegni e alcuni testi esplicativi di carattere storico, geografico, politico ed economico sulle maggiori realtà urbane locali, nonchè un elenco riassuntivo dei luoghi del Ducato (7 città, 19 "terre", 279 castelli murati, 236 ville notabili con parrocchie, 20 abbazie).

All'inizio e alla fine dell'atlante roveresco sono poste due carte generali del Ducato di rilevante valore topografico, assai simili tra loro; ad esse si affiancano 10 dettagliate ed originali rappresentazioni cartografiche dei singoli territori di Pesaro, Urbino, Gubbio, Senigallia, Cagli, Fossombrone, San Leo, Vicariato di Mondavio, Casteldurante, Massa Trabaria.

Fra le immagini ben 100 sono vedute prospettiche di insediamenti grandi e piccoli, riprodotti sin nei minimi particolari geografici ed architettonici; l'ambiente circostante è generalmente segnato dai tratti tipici del paesaggio mezzadrile e vivacizzato da figure umane o da scene di vita agreste (Nuti, 1984, p. 18). Tali elementi rivelano l'approfondita conoscenza, da parte del Mingucci, di opere pittoriche italiane, del disegno paesaggistico tedesco e fiammingo, di atlanti e "teatri" di città nordeuropei.

In particolare, analogie contenutistiche e tecnico-figurative inducono ad ipotizzare fra le principali fonti ispiratrici del pittore-cartografo pesarese il contributo sulle città dell'Umbria del conterraneo Cipriano Piccolpasso, ma soprattutto il monumentale atlante in 6 volumi "Civitates Orbis Terrarum" di Georg Braun e Franz Hogenberg, pubblicato a Colonia fra il 1572 e il 1618 (Bertini, 1996, pp. 95-97).

IL VEDUTISTA PESARESE FRANCESCO MINGUCCI FRA PITTURA E CARTOGRAFIA

In passato l'attività cartografica, solo in rare occasioni specialistica, era in genere complementare al lavoro di architetti, ingegneri civili e militari, matematici, cosmografi ed anche di pittori ed incisori data la loro abilità grafica e decorativa.
In ambito regionale un caso emblematico, per la struttura e l'ampiezza del contributo, é rappresentato dal pittore pesarese Francesco Mingucci.
Questi, vissuto fra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento, è immeritatamente rimasto una figura di secondo piano nel panorama artistico del tempo, nonostante i positivi giudizi espressi dai suoi contemporanei.
Varie fonti lo ricordano, infatti, come "pittore di quadrerie" (Lanzi, 1809, p. 135), "bravo disegnante" (Malvasia, 1678, p. 447), o ne esaltano l'"egregio valore" (Bonamini, 1996, pp. 97 e 118) e le abilità di "miniatore, pittore paesista e di figure, incisore all'acquaforte bravissimo" (Vaccaj, 1922-23, p.452).
I documenti sinora noti forniscono scarse ed episodiche informazioni sulle sue vicende umane e professionali.
Sconosciuta la data di nascita, essa viene riferita, sulla base esclusiva di alcune notizie indirette (Allegretti, 1996, pp. 46-47), allo scorcio del XVI secolo. Tanto più che egli doveva vantare una esperienza artistica già consolidata nella primavera del 1621 quando, insieme ad altri artisti locali, decorò gli archi trionfali allestiti a Pesaro per festeggiare le nozze di Claudia de' Medici e Federico Ubaldo Della Rovere, unico figlio del duca urbinate Francesco Maria II, premorto al padre due anni dopo in circostanze misteriose (Macci, 1622, pp. 1 Bonamini, 1996, pp. 118-12 Vaccaj, 1922-23, p.453; Brancati, 1985, pp. 320-321).
Il proposito di conservare memoria delle parti più significative dell'opera mediante incisioni in rame sembra sia stato disatteso dal Mingucci, non esistendo al riguardo alcun concreto riscontro (Macci, 1622, p. 17; Bonamini, 1996, p. 122), senz'altro utile per documentare la celebrata maestrìa calcografica del Nostro.
D'altronde la stessa produzione pittorica dell'artista pesarese, esemplarmente presente "nel pubblico palazzo e nella camera del Teatro, in casa Olivieri, ... nella chiesa vecchia de' padri dell'Oratorio" (Bonamini, 1996, pp. 122-123), è andata del tutto perduta in conseguenza di vicissitudini storiche, rimaneggiamenti edilizi ed urbanistici.
L'abilità professionale e l'apprezzamento riservato al Mingucci traggono comunque ulteriore conferma dalla collaborazione a Roma, nel periodo 1625-1627, con il famoso pittore Giovanni Lanfranco, gravitante nell'orbita barberiniana, impegnato ad affrescare la cupola di S. Andrea della Valle (Malvasia, 1678, p. 327; Schleier, 1983, p. 120).
Sole testimonianze superstiti dell'operosità grafico-pittorica del pesarese sono i lavori maturati alla luce dell'esperienza culturale romana, negli anni in cui beneficiò del mecenatismo della famiglia Barberini.
Si tratta di tre preziosi codici di immagini, riferite ad altrettanti temi molto in voga e particolarmente apprezzati a quel tempo presso la corte papale, custoditi oggi nel Fondo Barberini della Biblioteca Apostolica Vaticana.
Il primo e più prestigioso, noto come manoscritto Barberiniano Latino 4434, reca il significativo titolo "Stati, Dominii, Città, Terre e Castella dei Serenissimi Duchi e Prencipi Della Rovere" e comprende carte e vedute di centri del Ducato di Urbino, ritratti con raffinata eleganza "dal naturale" a penna, acquerello e tempera. La dedica, datata 2 aprile 1626, lo qualifica come un omaggio offerto al papa Urbano VIII (Maffeo Barberini) vivamente interessato a riannettere alla S. Sede lo Stato roveresco.
Connotabile come un vero e proprio atlante regionale, il volume rappresenta uno dei più autorevoli esempi di vedutismo geografico nelle Marche del primo Seicento e si colloca sulla scia di vari repertori e "teatri" di città di matrice nord-europea, specializzati nella rappresentazione realistica del paesaggio.
Oltre a quest'opera, cui va il principale merito della recente riscoperta e rivalorizzazione del pittore pesarese, il secondo codice in ordine cronologico, con segnatura Barberiniano Latino 4326, illustra, come sottolinea il titolo "Fiori diversi al naturale", un'ottantina di esemplari esotici o rari, magistralmente miniati. L'"erbario dipinto" è dedicato, in data 21 agosto 1639, al cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII e Legato di Urbino dal 1633 al 1643 (Marcolini, 1883, p. 451), attento estimatore di "cose di natura" e appassionato cultore di botanica (Tongiorgi Tomasi, 1991, p. XVI).
Non datato, ma di poco posteriore al volume sui fiori e rivolto al medesimo destinatario è il terzo manoscritto, cioè il Barberiniano Latino 4327, la cui esecuzione è preannunciata nella dedica del precedente.
Denominato "Uccelli diversi coloriti al naturale da Francesco Mingucci da Pesaro", esso propone oltre un centinaio di variopinti disegni della ricca avifauna italiana.
Intesi a visualizzare alcuni aspetti del "gran libro della natura", questi ultimi due codici sono tipiche espressioni della cultura del tempo, contraddistinta, fra l'altro, dal fervore per gli studi botanici, sostenuti in particolare dall'Accademia dei Lincei, dalla passione per il giardinaggio e il collezionismo di specie vegetali singolari o esotiche, dalla diffusione di prodotti editoriali illustrati di soggetto naturalistico (Tongiorgi Tomasi, 1991, pp. XVI-XVIII).
In quest'impresa artistica al Mingucci non devono pertanto essere mancati spunti e modelli offerti sia dalle suggestive essenze floristiche coltivate nei giardini principeschi, sia dai numerosi manuali di botanica e dai trattati ornitologici adorni di splendide immagini, così come da "erbari miniati" e "florilegi" nordeuropei (Tongiorgi Tomasi, 1991, pp. XXII-XXVI; Tongiorgi Tomasi, 1986, pp. 277-306), da cataloghi e, forse, da cicli pittorici di genere, come quello degli uccelli affrescato sulla volta della Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano (Gambi, Milanesi, Pinelli, 1996, p. 102).
Oltre alle tre citate, non esistono altre opere certe del Mingucci. Con la morte del pontefice Urbano VIII e il conseguente tramonto dell'astro barberiniano, la preannunciata illustrazione di tutti i possedimenti della famiglia papale deve essere infatti rimasta solo un progetto, dato che non se n'è mai rinvenuta traccia.
D'altro canto, restano sinora in gran parte ignote le vicende dell'ultimo scorcio della vita dell'artista, così come è sconosciuto dove e quando si sia conclusa la sua avventura terrena.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.1999
    Ultima modifica: 16.10.2006

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