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Il territorio del Vicariato di Mondavio ritratto da F....

Orciano di Pesaro ritratto da F. Mingucci

Mondavio ritratto da F. Mingucci


Racchiusa entro l'intatto scrigno delle mura e distesa, a 280 m di quota, sulle dolci ondulazioni collinari che separano i bacini idrografici del Metauro e del Cesano, Mondavio si è distinta sin dal XIV secolo come capoluogo del Vicariato omonimo, conoscendo il dominio dei Malatesta, dei Piccolomini, della città di Fano e dei Della Rovere.

Accanto a specifici compiti di animazione e coordinamento territoriale sia civile sia religioso, il centro ha peraltro svolto importanti funzioni di carattere militare-difensivo, tuttora testimoniate dalla imponente rocca di Francesco di Giorgio Martini, divenuta simbolo cittadino (Bertini, 1985, pp. 84-85).

Edificata alla fine del Quattrocento per volere di Giovanni Della Rovere, all'epoca signore di Senigallia e del Vicariato mondaviese (Bonvini Mazzanti, 1983), in base a criteri ispirati dalle mutate tecniche belliche del tempo, essa ha contribuito a fare del castello un fondamentale caposaldo strategico del Ducato roveresco (Polverari, 1984, pp. 115-120).

Attualmente, per un fenomeno comune a gran parte dei piccoli centri storici, la realtà urbana si presenta scomposta in due diverse individualità: l'originario nucleo cinto di mura e il più vitale borgo di moderna espansione, cresciuto lungo la principale via di accesso e divenuto gradualmente un polo di attrazione demografica e di sviluppo edilizio.

Lo spostamento del baricentro cittadino verso quest'ultimo, pur accentuando la divaricazione fra le due entità, non ha tuttavia alterato il sottile fascino storico-artistico che, oggi come in passato, emana dall'antico insediamento castellano.

La suggestiva atmosfera del centro fortificato emerge infatti chiaramente, in tutto il suo realismo, nell'immagine delineata all'inizio del Seicento dal pittore-cartografo pesarese Francesco Mingucci per l'atlante illustrativo dei luoghi dominati dai Della Rovere (Città e Castella, 1991, tav. n. 112).

Oltre la distesa dei campi arati e compartiti da densi filari di alberi, il capoluogo vice si staglia nitidamente su un dosso dai bordi scarpati. La veduta "in profilo" del lato rivolto ad occidente mette in evidenza la cortina muraria bastionata e parzialmente merlata, al di sopra della quale si articola il compatto edificato urbano in cui, accanto a comuni abitazioni, si distinguono il palazzo comunale, lo svettante campanile di S. Francesco e quello di S. Pietro.

Per inciso, è interessante sottolineare che la rappresentazione frontale, che pur pone inevitabili limiti alla esaustività dell'immagine urbana, è tecnica tipica della cultura visuale nordica (Nuti, 1996, pp. 86-87); il suo utilizzo riflette pertanto ampiamente l'influsso esercitato sul Mingucci dalla pittura e dalle raffigurazioni cartografiche tedesche e fiamminghe, a lui ben note.

Nel ritratto mingucciano di Mondavio, cittadina che per l'importanza e la supremazia territoriale è definita "terra", la più evidente ed importante emergenza architettonica del centro storico si identifica con la poderosa rocca collocata sul lato meridionale (Adams, 1994, pp. 294-296).

Nell'illustrare con straordinaria maestrìa grafica il maggior monumento dell'arte fortificatoria italiana, il Mingucci evidenzia il possente mastio, elemento predominante dell'intero complesso, e il torrione di guardia al principale ingresso castellano dotato di ponte levatoio, quest'ultimo sostituito in seguito con una struttura permanente.

Su tale ponte, così come sull'altro che custodisce l'accesso secondario al castello sul lato settentrionale, alcuni personaggi, intenti ad entrare o uscire dalla città, conferiscono vita all'immagine.

A sottolineare il quotidiano realismo della scena contribuisce inoltre un gregge di pecore che, sotto l'occhio vigile di un pastore, pascola nel prato antistante le mura urbiche, ricordando peraltro il basilare ruolo dell'allevamento nella locale economia.

Il primo piano del quadro è, anche in questo caso, animato dalla figura di un cacciatore che, accompagnato da un cane, si accinge a colpire alcuni capi di selvaggina posati sulla consueta quercia decorativa, al margine sinistro della rappresentazione. Accanto, a ribadire l'importanza scientifica dello strumento topografico nonch‚ la sua valenza come elemento ornamentale (Tongiorgi Tomasi, 1991, p. XXX), l'immancabile bussola suggerisce l'orientamento, sottolineando fra l'altro che il punto di osservazione del vedutista coincide con il ponente.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.1999
    Ultima modifica: 23.01.2005

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