Geologia e clima
La Formazione Marnoso-Arenacea
La Formazione Marnoso-Arenacea è un cuneo sedimentario migrante composito con un volume di 28.000 km³ e spessori che in talune aree possono superare i 3000 metri. Questa formazione, come si evince già dal nome, è composta da tipiche unità deposizionali costituite da una coppia arenaria/pelite formatasi ad opera di correnti di torbida, e si è deposta a partire dal Burdigaliano superiore sino al Tortoniano superiore, in un lasso di tempo, quindi, di circa 10 Ma. Essa attualmente affiora in una fascia lunga circa 180 km e larga 40 km. Nel bacino della Marnoso-arenacea si possono individuare tre depocentri principali corrispondenti ad altrettante fasi sedimentarie: quello Langhiano, quello Serravalliano e quello Tortoniano.
Procedendo dall'Umbria verso le Marche (cioè da SW verso NE) l'età della base della Marnoso-arenacea, che si sviluppa in continuità stratigrafica sopra lo Schlier, passa progressivamente dal Burdigaliano-Langhiano al Tortoniano. Questo marcato diacronismo (superiore ai 5 Ma) è ben documentato paleontologicamente e costituisce un interessante esempio di migrazione sinorogenica della sedimentazione clastica verso l'avampaese.
Analogamente alla base anche il tetto della formazione è diacrono e discontinuo ed è costituito da facies emipelagiche, quali ad esempio le Marne di Verghereto e le Marne di Campo del bacino umbro-romagnolo o le Argille Azzurre (i Ghioli di letto della letteratura geologica) nel bacino marchigiano-adriatico; tali facies sono indicative del colmamento e dell'inizio della strutturazione del bacino torbiditico.
Esiste un'importante interruzione nella sedimentazione della Marnoso-arenacea in corrispondenza del limite Serravalliano/Tortoniano collegata ad una fase tettonica di notevole intensità che ha interessato tutto l'Appennino. Si vengono così ad individuare due distinte sequenze sedimentarie. Nella prima, che si sviluppa nell'intervallo Langhiano-Serravalliano, la Marnoso-arenacea, di norma indicata come "interna" in quanto presente nei settori più interni della catena appenninica, è costituita per lo più da associazioni di facies nelle quali si ha la predominanza di peliti, indicative di un ambiente di piana sottomarina, ed è inoltre caratterizzata da una notevole continuità laterale e dall'accentuato parallelismo della sedimentazione. Ciò può essere osservato non solo in taluni strati-guida: praticamente circa il 50 % degli strati mostra una continuità laterale superiore ai 60 km.
Esaminando i granuli di cui le areniti sono costituite è stato possibile distinguere differenti composizioni degli strati (o petrofacies), ciascuna corrispondente e indicativa di una specifica area-fonte da cui si generavano le correnti di torbida.
Sono risultate di gran lunga predominanti le torbiditi quarzoso-feldspatiche (dette anche silicoclastiche), con provenienza che gli studiosi della materia hanno definita "alpina" per la similitudine tra la composizione dei clasti e le rocce presenti nella omonima catena montuosa. È interessante osservare come in questo tipo di apporti, a differenza di quanto si riscontra nelle successioni torbiditiche appenniniche più antiche (ad esempio l'arenaria Macigno della Toscana), è sempre presente una sorta di tracciante rappresentato da clasti a composizione dolomitica. Ciò sembrerebbe indicare in modo immediato e diretto che una delle fonti del detrito doveva corrispondere all'attuale zona alpina delle Dolomiti e che la stessa non era ancora attiva al tempo in cui si depositavano le formazioni torbiditiche più antiche.
Sono inoltre presenti durante questa fase strati la cui composizione varia da carbonatica a silicoclastica provenienti da numerose altre sorgenti (cosiddette "minori", dato che il loro contributo non supera il 2-3 % dell'apporto totale, o "appenniniche", in quanto localizzate in corrispondenza della catena appenninica in via di sollevamento e, naturalmente, composizionalmente compatibili con le litologie in essa presenti) poste lungo il fianco occidentale e meridionale del bacino (aree tosco-umbra e laziale-abruzzese) e di cui resta testimonianza sotto forma di "conoidi minori" o megatorbiditi.
In definitiva lo schema di trasporto nel bacino della Marnoso-arenacea interna è longitudinale-bipolare, con più punti di immissione degli apporti clastici.
L'ampia piana sottomarina entro cui, nel corso del Serravalliano, si deponeva la Marnoso-arenacea interna inizia a restringersi e colmarsi per il progredire dell'orogenesi verso i settori più orientali; e con il Tortoniano viene definitivamente abbandonata dalla sedimentazione torbiditica, ad eccezione di alcune aree subsidenti residue (bacini satellite) che si originano a ridosso della nascente dorsale umbro-marchigiana (ad es. il bacino di Monte Vicino) alimentate da sorgenti "appenniniche". Il depocentro della sedimentazione clastica si sposta quindi nelle zone esterne dove ha preso forma una avanfossa, ovvero un bacino stretto ed allungato che si sviluppa a ridosso del fronte deformativo della nascente catena appenninica, estendendosi dal bolognese lungo tutto l'Appennino romagnolo fino alle Marche. Entro tale depressione si vanno ad incanalare i flussi torbiditici che andranno a formare la seconda sequenza della Marnoso-arenacea, che qui chiameremo "esterna" per la posizione che viene ad occupare rispetto a quella precedentemente descritta, le cui litofacies erano in passato indicate in letteratura come "molasse tortoniane". Essa è caratterizzata da un incremento del contenuto in sabbia e da una concomitante diminuzione della componente carbonatica, con facies regressive rappresentate da corpi canalizzati ed amalgamati costituiti da sabbie massive o a laminazione grossolana, con intercalazioni conglomeratiche.
Questa seconda fase è caratterizzata da apporti esclusivamente di tipo "alpino" risultano del tutto occasionali apporti di tipo "appenninico".
Dettaglio scheda
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Data di redazione: 01.01.1999
Ultima modifica: 19.02.2004




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