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Monte Pietralata, da Pagino alla vetta (sentieri CAI n.440, 446a, 446, 441b, cresta di nord-est)


MONTE PIETRALATA, DA PAGINO ALLA VETTA (sentieri CAI n.440, 446a, 446, 441b, cresta di nord-est) (Comune di Fermignano)

Tempo di percorrenza: h 4 30’ (percorso a palloncino)
Lunghezza: 8 km

Dislivello: 550 m
Difficoltà: E
Ultima verifica dell'itinerario: 2023

Questa zona del Monte Pietralata è suddivisa in settori di rimboschimento a conifere, dense leccete e prati pascolo che si estendono in tutte le aree poco acclivi della parte sommitale. Tutto il territorio che attraversiamo non è solo parte integrante della Riserva Naturale (istituita nel 2001) ma anche Demanio Forestale istituito negli anni ’30 del 1900.

La partenza del sentiero è la località Pagino: per raggiungerla occorre prendere la strada nei pressi dell’uscita Calmazzo e salire per circa tre chilometri. Il parcheggio del piccolo cimitero è il luogo dove lasciare l’auto.

Alluscita Furlo Calmazzo, andando a destra in direzione proprio di Calmazzo, si incontra dopo 300 metri, sulla sinistra, la strada che sale a Pagino. Zaino in spalla andiamo sulla strada appena percorsa, teniamo la destra e ci troviamo ad un bivio. Il nostro sentiero inizia da qui, andando a sinistra. Non è un vero e proprio sentiero ma una vecchia strada che supera una casa privata e giunge ad unaltra, diroccata, e poi ad unaltra, di proprietà demaniale chiamata Cà Peci. Il sentiero è subito stretto e ci regala una splendida panoramica sulla Gola del Furlo, poi si allarga e appare più marcato ed evidente, col fondo ghiaioso e a tratti roccioso. Ci troviamo in mezzo ad una pineta, inizialmente piuttosto stentata e popolata anche di altre resinose alloctone ma anche di qualche leccio che prova a riprendersi il suo posto. In questa prima fase vediamo un paio di altri sentieri: il primo sale da Villa Furlo, il secondo, viene dal parcheggio poco fuori la Gola. Noi dobbiamo salire e proprio dopo il secondo bivio si inizia a fare sul serio. Una prima rampa impegnativa, poi la pendenza cala e in seguito aumenta ancora fino a che il bosco ritorna quello di latifoglie. Oltrepassiamo un impluvio con alberi ad alto fusto e poi una piccola caverna. Il sentiero prosegue compiendo un ampio tornante e giungendo ad una sbarra preceduta da un incrocio che ignoriamo. Oltre la sbarra troviamo la strada che dobbiamo semplicemente superare per intercettare sullaltro lato il nostro sentiero che ricomincia a salire. Un breve passaggio tra i lecci ed ecco un bivio molto importante nel quale andiamo a sinistra per addentrarci in una bellissima pineta che tuttavia dopo un centinaio di metri, a sorpresa, com’è apparsa scompare, per rituffarci nella lecceta. Stavolta è densa, coprente, così oscura da avere un sottobosco pulito ed un pavimento di foglie cadute. Il fondo del sentiero diviene un pò scomodo e scosceso, poi dun tratto si cammina sulla ghiaia, si percorre un rapido sali e scendi agevolato da una corda e infine si sbuca su uno stradello pianeggiante. Dobbiamo svoltare a sinistra, fare tutto il rettilineo e raggiungere uno slargo, il poggio della Spelonca Alta.

Qui giriamo a destra per continuare a salire, inizialmente tra cespugli di ginepro, poi tra radi pini e giovani latifoglie. Siamo sul crinale che precede i prati. Prati che poco dopo troviamo sempre più aperti, con gli arbusti che faticano a resistergli finché, raggiunta la sommità, ci godiamo lo splendore del vasto altopiano dei pascoli e se ci giriamo su ogni lato vediamo lontano, fin sugli Appennini, fino alla costa adriatica. Non ne ha la fisionomia classica ma siamo sulla vetta del Monte Pietralata. Non arriva neanche a 900 metri ma è la sua posizione a renderla un balcone naturale di rara bellezza: verso nord-est si vede bene il Monte Titano e, più vicina a noi, la città di Urbino; verso nord si alza lo scoglio del Monte Carpegna e sulla sinistra quello più piccolo e squadrato del Sasso Simone; verso nord-ovest, molto lontano, il gruppo dell’Alpe della Luna. Possiamo proseguire stando sul margine destro davanti a noi, tra le piante contorte e spezzate dal duro compito di resistere ai venti e alle gelate e il bordo del prato. Poco per volta si mostra la valle del Metauro e in particolare la città di Fossombrone adagiata alle pendici orientali delle Cesane. Nel frattempo è iniziata la discesa e si giunge velocemente alla strada di breccia che cinge da questo lato i pascoli sommitali. Strada che va superata per proseguire nella stessa direzione di prima, anche se ora i prati sono punteggiati di cespugli e poco a poco di alberi che preannunciano il bosco. La discesa è diventata ripida e si conclude su una piccola sella, Pian di Maglie, dove si trova un incrocio di sentieri. Il nostro è quello che tira diritto, restando sul crinale, tra una densa siepe di leccio e il bosco. Altro bivio: il sentiero nr. 440 curva a sinistra, noi andiamo ancora diritti e percorriamo il vecchio sentiero che scende fino a Cà Peci, dove si chiude il nostro anello. Un primo tratto ripido e si presenta prima di incrociare la strada, dove si approda con uno scalino roccioso a cui prestare attenzione. Fatti 100 metri sullimbrecciata il sentiero prosegue sulla destra con una svolta a gomito. Recenti lavori forestali per un avviamento ad alto fusto hanno allargato la sede del tracciato facendolo diventare un viottolo che compie alcuni ampi tornanti tra latifoglie mischiate a pezzi di pineta, abetina e più in basso anche cipresseta. Si procede comodamente, a mezza costa, ma le cose cambiano dopo pochi minuti e il sentiero prende a scendere con una acclività sempre maggiore, diventando scomodo e insidioso anche a causa dei danni arrecati dal passaggio delle moto. Se il fondo è bagnato c’è da stare attenti, andare piano e utilizzare, se li avete, i bastoncini. Larrivo a Cà Peci è un sollievo. Non resta che riprendere lo stradello andando a sinistra per ritornare al punto di partenza.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 11.03.2024
    Ultima modifica: 09.08.2024

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