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Modelli e schemi insediativi

Itinerario A: Foce del torrente Arzilla-Carmine-S. Biag...

Cap. 7: Conclusioni e itinerari proposti (Il popolamento antico nella media valle dell'Arzilla)


Premessa

L'analisi storico-topografica evidenzia come, nella provincia pesarese, il paesaggio odierno presenti ancora notevoli somiglianze con l'assetto territoriale attuato dai Romani.

Schemi e modelli insediativi, adottati dai coloni, si sono ripetuti a lungo; solo nei fondovalle principali sono stati recentemente sostituiti da nuovi modelli di sfruttamento del territorio, che rispondevano in maniera maggiore, alle nuove necessità produttive.

La romanizzazione dell'ager Pisaurensis e dellager Fanestris portò alla creazione di diversi collegamenti stradali, per consentire rapide comunicazioni all'interno di queste aree di nuova acquisizione, e fra queste e i territori già da tempo appartenenti allo Stato Romano. Di conseguenza, un ruolo rilevante fu svolto dall'apertura della via Flaminia, nel 220 a. C., che costituì il momento iniziale di un processo, che portò alla creazione di un'ampia rete viaria.

La viabilità romana, nellager Pisaurensis e nellager Fanestris, era caratterizzata da direttrici principali sulle quali convergeva la restante viabilità del territorio.

I collegamenti, con l'area padana da una parte e l'Italia centrale dall'altra, erano assicurati, fino a Roma, dalla Flaminia, una fra le strade più antiche.

La comunicazione verso l'area appenninica avveniva attraverso due strade di grande rilievo: la Pisaurum-Urvinum Mataurense e la Pisaurum-Sestinum, poste rispettivamente a destra e a sinistra del fiume Foglia.

Quest'ultime erano una sorta di vie principali ante litteram, che consentivano un rapido e veloce spostamento, in particolare fra Pisaurum e il restante territorio pesarese.

E' stata studiata anche una viabilità minore, che nei settori collinari si sviluppava seguendo percorsi di crinale, mentre, nelle piane fluviali (fiume Conca e Foglia), tale viabilità coincideva con gli assi centuriali.

Questa viabilità si raccordava poi con le principali direttrici, sopra citate, consentendo un collegamento capillare all'interno del territorio della colonia di Pisaurum.

Per Fanum Fortunae, invece, il torrente Arzilla e, nello specifico, la sua zona fociale sembra essere stata un forte polo d'attrazione. Ciò trova conferma nei numerosi ritrovamenti avutisi nei pressi del corso d'acqua. Forse il torrente Arzilla poté essere sfruttato, grazie alla sua vicinanza con il mare. Sicuramente avrà costituito un importante punto d'approdo, sia per i commercianti della zona, ma anche per i "forestieri", che volevano fare scalo nel territorio fanestre.

Come detto all'inizio, sia a Pisaurum e sia a Fanum Fortunae, la maggior parte dell'attuale viabilità segue percorsi già utilizzati in epoca romana dove ad esempio, a Pisaurum erano per lo più impostati lungo i crinali e le fasce di raccordo fra versanti e ripiano di fondovalle. Questo non significa che il paesaggio sia rimasto immutato nel corso del tempo, ma i cambiamenti, avvenuti nel passato, hanno portato a delle trasformazioni, anche consistenti, che però non sono state in grado di cancellare completamente l'assetto territoriale, attuato alcuni secoli prima.

Ad esempio, nellager Pisaurensis, come in tutta la regione marchigiana, i segni più evidenti delle trasformazioni intervenute con il passaggio all'età tardoantica e all'altomedioevo, si sono avute nelle piane di foce del Foglia e del Conca. Lo dimostrano le alterazioni subite dal reticolo centuriale che, in questi settori, è stato in gran parte cancellato dalle esondazioni o variazioni di corso di fiumi.

Per il territorio pesarese si è cercato di dimostrare che questi mutamenti ambientali, avvenuti in età tardoantica ed altomedievale, sono la conseguenza di un peggioramento climatico.

Questa tesi è stata ampiamente accettata in tutti gli studi sul territorio pisaurense in età post-romana. Recentemente Pier Luigi Dall'Aglio ha messo in dubbio che le conseguenze sull'assetto territoriale siano dovute solamente ad un peggioramento climatico, ma che vi siano cause d'altra natura. Infatti, nelle fonti letterarie, i ricordi d'alluvioni, nel corso del VI- inizi del VII secolo, non sono poi molti e sembrano riferibili alla normale attività dei fiumi, se non addirittura ad un'attività fluviale inferiore, dove i periodi di siccità avevano ripercussioni ancora più gravi sulla popolazione. Di conseguenza, le vere cause che portarono profonde trasformazioni ambientali, in età tardoantica ed altomedievale, discendono dalla mutata situazione politica ed economica e non da cambiamenti climatici. In primo luogo questi cambiamenti climatici peggiorarono la situazione, già di per sé aggravata, che sfociò, a partire dal III sec. d. C., con la crisi economica e gli eventi bellici. Il risultato fu un progressivo calo demografico, che nel corso del VI secolo assunse dimensioni drammatiche, con la conseguente incapacità di attuare un'attenta opera di controllo sul territorio ed in particolare sui corsi d'acqua.

Nellager Pisaurensis e nell'ager Fanestris la crisi si manifestò già alla fine del II sec. d. C.. Il potere centrale cominciò ad intervenire in maniera sempre più mirata nella vita pubblica ed amministrativa della città.

Comparvero funzionari nominati direttamente da Roma. La presenza di questi rappresentanti del potere, con giurisdizione su un'area che non si limitava al solo territorio della città, ma che assunse una dimensione "sovracoloniale", sembra essere un riflesso di quel processo di provincializzazione dell'Italia avviato con il riordinamento dello Stato romano sotto Diocleziano, alla fine del III sec. d. C.. La crisi economica e demografica peggiorò fino ad assumere dimensioni drammatiche in seguito alle vicende belliche, che si verificarono negli ultimi momenti dell'impero romano e nei periodi seguenti al suo dissolvimento.

Ben più gravi e disastrosi furono i danni provocati sulle Marche, ager Pisaurensis ed ager Fanestris compreso, dalla guerra fra Goti e Bizantini (535-553 d. C.). Questa guerra provocò il collasso dell'economia agricola dell'intera regione ed è proprio in questo periodo che entra in crisi l'assetto territoriale formatosi in età romana. Lo spopolamento delle campagne e l'assenza del mantenimento del precario equilibrio idrico sono tra le cause principali, che determinarono la ripresa dell'incolto nelle aree un tempo centuriate.

Le principali piane di foce iniziarono ad impaludarsi e diversi fiumi marchigiani ruppero gli argini, aprendo un nuovo alveo. Le zone di fondovalle, come già detto, non sono più sedi preferenziali per il popolamento, anche perché s'aggiunge il problema dell'insalubrità, poiché queste zone vengono occupate dalla selva e dagli acquitrini. Ora inizia a svilupparsi l'insediamento d'altura, che inizialmente era stato abbandonato per approdare verso le piane vallive fertili.

La città di Pesaro, in particolare, si sarebbe "ripopolata" solo dieci anni più tardi, nel 545, quando Belisario ne rifece costruire le difese, riutilizzando molto materiale di spoglio dell'età romana. Se vi fu realmente quest'abbandono esso ebbe i connotati di una fuga improvvisa e temporanea, ristretta solo al momento in cui le truppe di Vitige assalirono ed arrecarono danni alla città di Pesaro. Di conseguenza, non sembra che vi siano elementi per ritenere che tale "abbandono" si sia protratto, per dieci anni, fino alla riconquista bizantina.

Importante è sottolineare che fra le città delle Marche, d'origine romana, tutte quelle appartenenti alla Pentapoli sono sopravvissute alla crisi tardoantica e altomedievale e hanno avuto continuità di vita fino ai nostri giorni, proprio perché sono riuscite a conservare, anche nei momenti di maggiore difficoltà, la propria connotazione urbana.

Conclusioni

In questo studio è stato preso in considerazione il bacino dell'Arzilla dal punto di vista geologico, morfologico e geografico, con particolare attenzione alle frazioni di Novilara, Candelara e S. Maria dell'Arzilla. Dopodiché è stata presa in esame la provincia pesarese, ricostruendone tutti gli aspetti storico-archeologici, sin dal tempo del paleolitico.

Dagli studi effettuati si è appreso che testimonianze della presenza dell'uomo sono presenti, in questo territorio, partendo dal Paleolitico sino ad arrivare ai nostri giorni.

Questo è dimostrato da rinvenimenti avvenuti attraverso scavi archeologici, ma il più delle volte in maniera fortuita.

Materiali, risalenti al Paleolitico, il periodo più antico della preistoria, si rinvengono, nel territorio ricadente tra Fano e Pesaro, soltanto in giacitura secondaria per lo più a cominciare dalle colline sul lato destro del fiume Metauro. In seguito, le alluvioni dei fiumi hanno restituito manufatti in selce e, ben documentata dai rinvenimenti, è una fase del Paleolitico medio, cioè il Mousteriano.

Il periodo successivo, il Neolitico, è rappresentato sia da rinvenimenti sporadici, ma in particolare è da ricordare il villaggio neolitico portato alla luce a San Biagio di Fano, a 2.5 km dalla città, in posizione prospiciente il mare. Del villaggio furono rinvenuti i pozzetti d'impianto delle capanne.

Le età dei metalli, Bronzo e Ferro, sono quelle meglio rappresentate. Per l'età del Bronzo ricordiamo un insediamento ubicato a Novilara, in località S. Croce, dietro il Villino Servici, nell'area dove è stata rinvenuta la necropoli. Importante è anche l'insediamento rinvenuto nel sito chiamato "La Fornace", poco distante dalla foce del torrente Arzilla. L'insediamento risale, come già detto, all'età del Bronzo per la fase della sua massima espansione. Non è da escludere un precedente orizzonte neolitico ed anche eneolitico. Tale ipotesi è basata sul grande complesso di reperti litici e ceramici caratteristici di quei periodi.

La successiva età del Ferro è rappresentata dalla necropoli di Novilara, dal rinvenimento, vicino Roncosambaccio, di una tomba picena, dal rinvenimento fortuito di una punta di giavellotto in bronzo con incisione, datata all'VIII sec. a. C. (seconda fase della civiltà picena) e da un abitato, portato alla luce sulle colline di Monte Giove, che ha restituito materiali archeologici risalenti alla civiltà picena per quasi tutto il periodo della sua durata.

Sulle tre frazioni, sopra citate, e nel restante territorio pesarese, sono state condotte, personalmente, delle ricognizioni di superficie che hanno consentito d'acquisire nuove conoscenze sul popolamento e sull'organizzazione territoriale d'età romana nel territorio pesarese e fanese. In particolare, quello che è emerso, è la grande capacità avuta dai romani di saper interpretare le caratteristiche fisiografiche di una regione fertile, con grandi potenzialità economiche, ma allo stesso tempo condizionata da una complessa situazione morfologica e idraulica, che richiedeva una forte e sapiente attività di governo e di controllo. Il grande merito dei coloni è stato quello di saper perfettamente adattare le scelte, legate al processo d'antropizzazione, in particolare quelle insediative, al pieno rispetto di queste caratteristiche.

I siti studiati sono posti per lo più nei ripiani di fondovalle e sui rilievi collinari, tra di essi i più interessanti sono rappresentati dalla già citata Necropoli di Novilara, posta in località S. Croce, dall'insediamento risalente all'eneolitico e all'età del Bronzo alla foce dell'Arzilla, da quello, sempre dell'età del Bronzo, rinvenuto in località S. Croce dietro il "Villino Servici".

Le ricognizioni sul terreno, da me effettuate, hanno anche evidenziato che, durante l'età romana, le paleosuperfici sommitali, i pianori lungo pendio, i versanti poco acclivi, i conoidi, i fossi e i terrazzi fluviali più antichi (di secondo e terzo ordine), posti lungo i fondovalle principali, erano sedi preferenziali per il popolamento.

In conclusione si può affermare che i risultati conseguiti dal mio lavoro di tesi non sono completamente esaurienti. Logicamente si è consapevoli che vi sono ancora molti aspetti, relativi al popolamento d'età romana, che rimangono da indagare ed approfondire, perché, per esempio, sono insufficienti e frammentari i dati relativi alla cronologia dei siti. Si tratta di lacune che l'indagine topografica non può certo colmare e alle quali si è cercato di fare fronte con il riferimento ad ambiti territoriali simili a quello da me studiato.

Lo scopo ultimo del mio lavoro è quello di proporre una serie d'itinerari, che permettano di valorizzare l'area da me studiata e presa in considerazione.

Questi percorsi o itinerari sono solamente un prototipo per dimostrare che queste ricchezze, dislocate svariatamente nel nostro territorio, possono essere raggruppate, studiate, osservate in maniera univoca in modo da permettere al turista o a qualsiasi altro cittadino d'usufruire di queste informazioni attingendo ad un'unica banca dati, dove si potrà avere un quadro completo e dettagliato di ciò che si vuole visitare con tutte le notizie a riguardo.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 19.11.2004
    Ultima modifica: 18.12.2004

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