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Cap. 1: La media valle dell'Arzilla da un punto di vist...

Aspetto geografico e geomorfologico della zona di Novil...

Ipotesi dell'ubicazione del porto fanestre alla foce del torrente Arzilla


La recente segnalazione di resti di materiale riferibili ad un abitato dell'età del Ferro finale dalle pendici di Monte Giove (rilievo che forse può ritenersi che gravitasse sulla valle dell'Arzilla), insieme con altri materiali, riferibili alla fine del VI-inizi IV secolo a.C., ed infine pochi frustuli di ceramica attica a vernice nera, possono far supporre che qui sia stato uno dei nuclei della primitiva Fano e che poi la città si sia impiantata sul terrazzo prospicente il mare, alla foce dell'Arzilla.

La concentrazione di presenze archeologiche, rilevabile nel territorio paracostiero fanestre e in particolare, a partire da quest'età, la segnalazione di un insediamento posto sulla duna costiera esistente nell'ultima ansa creata dall'Arzilla prima di giungere alla sua foce, potrebbero indicare l'esistenza di un approdo (De Sanctis 1988). Particolarmente significativi, soprattutto per la loro localizzazione, appaiono in questo ambito i rinvenimenti avutisi sulla sponda opposta del terrazzo prospiciente l'Arzilla, nelle vicinanze della chiesa del Carmine, alle falde del colle di San Biagio, di una punta di lancia e una fusaiola di ceramica, databili all'VIII secolo a. C..

A questo proposito, se una utilizzazione dell'Arzilla da parte degli abitanti del villaggio omonimo e delle popolazioni circostanti per l'attracco sembra rispondere al desiderio-necessità di poter sfruttare la vicinanza al mare e la conseguente potenzialità recettiva, per assicurare il raggiungimento di altri siti litoranei o paralitoranei nella maniera più rapida, non appare al momento possibile una sua puntualizzazione topografica lungo la fascia costiera compresa tra la foce dell'Arzilla e il settore corrispondente al centro storico di Fano.

Quel che invece appare certo è che la presenza di zone paludose da un lato, tra il Metauro e le estreme propaggini dell'abitato attuale di Fano, dall'altro, al di là del guado fluviale in prossimità del quale s'impiantò il villaggio, segna obbligatoriamente i limiti del settore nel quale poter localizzare la zona di approdo.

Sembrano testimoniare questa situazione, non solo i rinvenimenti di ceramica, sporadici, dalla zona di foce del torrente, ma anche quelli provenienti da singole tombe picene, l'una da un campo vicino Fano e l'altra poco all'interno di Cuccurano, i cui corredi sono inquadrabili cronologicamente intorno alla metà del VI secolo a. C. (Alfieri 1976-77).

A questi deve aggiungersi il rinvenimento a Monte Giove, di una tomba con ceramica attica, la cui datazione oscilla tra il secondo venticinquennio e la metà del V secolo a. C. (Baldelli 1992) ed inoltre altri vasi attici rinvenuti in una vicina piccola necropoli (Alessandrini 1920).

Quindi in ultima analisi, può rilevarsi come, ad una fase più antica in cui l'esistenza di un approdo è dedotta ex silentio, sulla base di considerazioni legate all'ubicazione dell'abitato dell'Arzilla, segua una fase di VI-V secolo a. C. in cui l'indicatore ceramico, evidenziando una sua provenienza ultra-marina, la dimostra inequivocabilmente.

Sulla base di queste considerazioni può ben supporsi che il torrente Arzilla abbia costituito un punto di possibile approdo per i naviganti-commercianti greci e quindi anche un "terminal" a cui l'intero, o comunque parte del territorio fanestre, poteva fare riferimento.

E' probabile che soltanto ad iniziare dalla fase romana (Alfieri 1992), presumibilmente, in base alle testimonianze letterarie, da quella cesariana riferibile al 49 a. C., si provvedesse, con maggior razionalità, a fornire l'antico approdo naturale almeno ad alcune strutture di protezione alla zona fociale.

A questo proposito la notizia vitruviana, riguardante l'arrivo a Fano, dalle zone alpine, di legno di larice, da interpretarsi come esemplificativa della generalizzata utilizzazione di questo materiale nell'edilizia, nella carpenteria, ma anche e forse in maniera preponderante, considerando la presenza di una struttura ricettiva, nelle difese dell'approdo, seppur riferibile a decenni posteriori, credo possa ritenersi valida almeno a partire da quest'età.

La mancanza di strutture murarie, prescindendo da tarde testimonianze d'eruditi locali, riconducibile all'esistenza di un porto artificiale non sembra casuale, ma piuttosto da attribuire, almeno inizialmente, anche in questo caso, allo sfruttamento delle foci fluviali.

Dalla considerazione della non uniformità altimetrica del terreno su cui si estende l'area urbana di Fano, la quale presenta una pendenza lungo l'asse centrale corrispondente alla via Arco di Augusto, che appare declinare "uniformemente verso il mare con una concavità litoranea", l'Alfieri propone di leggervi la probabile presenza dell'incavo portuale, in analogia con il caso di Ariminum (Alfieri 1976-77).

Tuttavia è probabile che, in analogia con quanto si conosce a Pesaro da scritti degli eruditi locali (dove si rinvennero pali conficcati nel terreno, in zone ormai ben lontane dal mare), le strutture portuali di Fano, costituite presumibilmente in materiale ligneo e forse in ciottoli fluviali, possono conservarsi ancora, in posizione molto arretrata rispetto alla linea di costa attuale, al di sotto delle alluvioni del torrente Arzilla (Alfieri 1990).

Degli impegni assunti da Augusto in relazione all'impianto urbano, particolarmente significativa appare, nello specifico, la costruzione della cinta muraria.

Infatti, mancando resti di essa nel lato verso mare, almeno relativi all'età augustea, è evidente come la ricostruzione del suo percorso possa riconnettersi, seppur indirettamente, al problema dell'esistenza del porto in età romana (Alfieri 1992, Luni 1992).

A tale proposito la notizia, riportata nel '700 dall'Amiani, in parte ripetendo quanto detto nel '400 dall'umanista fanese Antonio Costanzi, informa sul precario stato di conservazione della cinta muraria in questo lato e quindi sulla necessità di numerosi interventi di restauro alle strutture o di semplici escamotage per tentare di salvaguardarle.

Nello specifico tali danneggiamenti sembrano doversi imputare non soltanto ad episodi della guerra gotica ricordata dalle fonti, ma anche all'esistenza di un imponente fenomeno erosivo causato dal mare, presente almeno a partire da età medioevale, come risulta dalla documentazione di archivio (Luni 1992).

Al problema dei continui interventi che dovettero interessare tutta la fascia costiera fanestre può ricollegarsi anche il disegno dell'ingegner Guglielmo de' Grandi, per il porto da realizzarsi alla foce del fiume Metauro.

La presenza in esso, in posizione arretrata rispetto alle nuove strutture poste lungo l'area fociale, di "vestigia del porto antico", se per un verso informa circa il verificarsi di evidenti fenomeni di avanzamento della linea di riva, dall'altro, permette di riconoscere una struttura portuale il cui riferimento cronologico appare comunque l'età medievale.

In età romana, quindi, deve presupporsi una linea di riva assai più arretrata rispetto a quell'attuale e comunque tale da consentire all'urbanista pianificatore augusteo di far erigere una cortina muraria con le relative imponenti torri e di lasciare tra esse e la linea di riva una zona sufficientemente "larga" da impedire i danni provocati dalle mareggiate e tale da rendere possibile le operazioni di attracco delle imbarcazioni e lo scarico delle merci.

D'altra parte il ritrovamento occasionale di una tomba romana alla cappuccina, nel 1940, in via Fabio Filzi, nelle vicinanze della marina (De Sanctis 1940), ora in una zona bassa e già acquitrinosa, che deve ritenersi fuori dal perimetro urbano della colonia romana, può essere valutato elemento utile alla identificazione della linea di riva di età romana.

In questa linea di costa, dunque, il porto doveva essere stato naturalmente posizionato, seguendo criteri di logicità e d'adeguamento alla geografia fisica, nell'insenatura esistente alla foce dell'Arzilla.

Può forse riferirsi in qualche modo ad esso, consideratene anche la vicinanza topografica, la recente scoperta, in prossimità del tratto terminale del torrente Arzilla sulla sponda sinistra, di parte di un presumibile deposito di anfore (tutte munite di puntale e per lo più intere disposte verticalmente e in doppia fila lungo la scarpata, il rinvenimento si ebbe in occasione dello scavo per lo scolmatore del canale Albani. Baldelli afferma di essere stato condotto da un tal signor Walter Adanti sul vicino argine del torrente Arzilla e che lì gli fu mostrato il punto dove da ragazzo l'Adanti era solito estrarre anfore romane, che poi da adulto provvide a smistare nei paraggi. Il Baldelli specifica come almeno una parte del deposito sia stato asportato durante il taglio della scarpata, per la posa in opera dei gabbioni di pietrame che marginavano tutto il tratto terminale del torrente), (Baldelli 1992, id. 1993), per le quali tuttavia non è possibile fornire alcuna datazione, che va ad aggiungersi ai già numerosi rinvenimenti, seppure sporadici, di provenienza sia terrestre che marina (tra cui un grosso elemento parallelepipedo in trachite pertinente di certo ad un basolato stradale romano venuto alla luce nel settembre 1985 ad oltre un metro di profondità insieme ad altri massi d'arenaria non meglio identificati, in seguito a lavori di scavo eseguiti per la messa in opera di una tubazione sotto la strada che corre a fianco del lato sinistro della chiesa del Carmine, tra questa e l'abitazione del signor Uguccioni Franco che ne ha effettuato il recupero).

La tipologia di tali anfore, presumibilmente prodotte in loco, tra cui le più attestate sono la Dressel 6 e formae similes, le Apule, databili rispettivamente tra la fine del III e la prima metà del I secolo a. C. e a partire dal I secolo a. C., nonché la considerazione del loro utilizzo come trasporto dell'olio e del vino apulo, sembrano testimoniare la presenza di intensi traffici commerciali con l'Italia meridionale e settentrionale.

Inoltre l'osservazione del popolamento di età romana permette di rilevare come, nelle zone poste alla sinistra e alla destra del tratto terminale del torrente Arzilla, si impiantassero delle villae, di cui una bella esemplificazione è quella rinvenuta ai piedi dei colli di S. Biagio ( De Sanctis 1991, Quiri 1991).

Qualora poi si dilati geograficamente il precedente "ambitus", per il quale sembra che abbia potuto esercitare la sua attrazione, non solamente la prossimità del mare, ma anche quella del porto-approdo dell'Arzilla, fino a comprendervi la fascia interposta tra Fano e il Metauro, può osservarsi come, anche in prossimità delle due sponde di questo fiume, tanto in vicinanza della sua zona fociale che procedendo verso l'interno, vi sia una particolare e tipologicamente significativa presenza di testimonianze archeologiche.

Infatti se appare ancora ipotetica l'esistenza di una piccola fornace, presumibilmente annessa ad una villa, identificata, con ricognizioni personali, nel terreno posto in leggero declivio sul lato occidentale, lungo la S.S. Adriatica, all'altezza dello zuccherificio, ben altrimenti documentate sono le due "villae" in località Chiaruccia e i depositi di anfore a Cuccurano(località la Chiusa), (Pietroni 1926), interpretati come "cellae" vinarie annesse ad una villa.

Questa fitta presenza di "villae", per molte delle quali sembra potersi affermare l'esistenza di un annesso, piccolo, impianto produttivo di anfore o comunque di un deposito, rilevata lungo il corso del fiume Metauro e in prossimità di esso, nonché nelle vicinanze del torrente Arzilla, può ritenersi, in un certo qual modo riferibile al porto-approdo fanestre.

Appare confermare ciò la constatazione, che la matrice produttiva di quegli impianti sembra giustificarsi proprio sulla scorta di una qualificante attività recettiva, quale poteva essere appunto quell'offerta dal porto.

Il torrente Arzilla è verosimilmente il Nelur della Tabula Peutingeriana.

La parte terminale del suo corso non sembra aver subito spostamenti degni di rilievo almeno a partire da epoca pre-protostorica.

Il terrazzo fluviale in destra, a 300 metri dal mare, ha restituito abbondanti resti di una lunga frequentazione, più evidente per la media-tarda età del bronzo.

La presenza inoltre, nello stesso sito di frammenti di ceramica a vernice nera rinvenuti recentemente, potrebbe rilevare l'esistenza di un piccolo approdo di foce connesso forse con gli stanziamenti dell'età del ferro dell'immediato entroterra collinare.

La zona di foce al di sotto del terrazzo è probabile fosse paludosa: doveva esserlo durante il medioevo. Da queste parti aveva sede il convento agostiniano di S. Stefano in Padule qui trasferito dal vicino San Biagio di Brettino.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 12.10.2004
    Ultima modifica: 12.10.2004

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