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Cap. 6: Gli insediamenti (Il popolamento antico nella m...

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Villae, fattorie e case rurali


Il territorio dell'ager Pisaurensis offriva ed offre tuttora condizioni favorevoli allo sviluppo delle attività agricole. Questo ha portato, di conseguenza, alla creazione, in età romana, d'insediamenti incentrati su villae, fattorie, case rurali e sullo sfruttamento del suolo come risorsa agricola (Campagnoli 1999).

Tale affermazione ha trovato conferma nelle indagini di superficie, che hanno dimostrato uno sviluppo e una distribuzione dei siti, sia lungo i più importanti corsi d'acqua nei ripiani di fondovalle, sia sui rilievi collinari.

Nella maggioranza di questi siti si possono riconoscere abitazioni rurali di vario tipo (villa o semplice casa rurale); in seguito lo scavo potrà confermare l'interpretazione data inizialmente, in base ai diversi rinvenimenti archeologici avvenuti in superficie.

Quando sul terreno affiorano elementi quali tessere musive, frammenti d'intonaco, frammenti di crustae marmoree, in cospicua quantità, si può supporre la presenza antica di un vero e proprio settore residenziale. Talvolta si possono trovare in superficie anche frammenti di laterizi, di tegole o coppi; tale tipo di ritrovamenti sono spesso avvenuti lungo pendii, pianori, paleosuperfici, in località Novilara, nella zona dell'Arzilla (situata tra Fano e Pesaro), in località S. Maria dell'Arzilla, in località San Biagio di Fano.

Accanto al tipo di villae urbano- rustiche che, grazie a tali informazioni, si ipotizzano essere ubicate nel territorio pesarese e fanese, si può ipotizzare, nellager pisaurensis, un altro tipo di villa in cui la pars urbana é semplice e poco estesa, così da essere denominata villa rustica (Ortalli 1994).

Da prendere in considerazione, é il rinvenimento avvenuto a Fano nel 1954, in proprietà Solazzi, zona "Trave", di una villa d'età romana (Vullo 1992).

Tale scoperta ha restituito diverso materiale, tra cui un pavimento interno con mattoni disposti a coltella e a spina di pesce, frammenti vari d'anfore, e un frammento di mosaico a tessere bianche (Vullo 1992).

Lo stato in cui si conserva il sito ci permette di supporre, anche con l'aiuto di ricerche di superficie, se si tratta di una villa, di una fattoria o di una casa rurale, anche se l'ipotesi non può mai considerarsi certa. Ad esempio, se tale terreno (da parte dei contadini) é stato impoverito da ripetute azioni di bonifica che, hanno portato alla perdita dei cosiddetti materiali "di lusso", difficilmente sarà presa in considerazione l'ipotesi della villa.

Quindi, oltre che difficile, può risultare rischioso avanzare delle ipotesi sulla presenza di villae, fattorie e case rurali, soprattutto in territori, come quello del pesarese, caratterizzati da una scarsa documentazione archeologica di superficie (Campagnoli 1999).

A causa dell'assenza di interventi di scavo editi nel territorio pesarese, non possiamo essere a conoscenza dell'aspetto architettonico e planimetrico di questi insediamenti; però possiamo prendere come esempio le zone della vicina Romagna e dell'Emilia centrale.

Nella nostra regione (le Marche) si attesta il ritrovamento di torchi vinari ed oleari, di celle vinarie, a conferma dell'importanza e dello sviluppo dell'attività agricola in tale zona (Mercando 1989, Luni 1991, Vullo 1992). Tali rinvenimenti, attestati anche nella zona da me studiata, sono, oltretutto, una prova dell'esistenza di case rurali o semplici fattorie, visti i numerosi ritrovamenti d'anfore (pareti, anse, puntali) effettuati ad esempio in località il Carmine (Fano), a sud-est dell'agriturismo "Il prato dei Grilli". Un consistente deposito d'anfore é stato anche rinvenuto tra il torrente Arzilla e l'attuale chiesa del Carmine, allora Santa Maria di Marano, che fa supporre, in antichità, la presenza di un insediamento rurale (De Sanctis 1987). In realtà, in un Convegno, tenutosi a Modena, sulle bonifiche con anfore si è arrivati a concludere, che il ritrovamento d'anfore può far supporre che fossero state impiegate per opere di stabilizzazione del suolo (preparono il terreno alla posa in opera di fondazioni d'edifici di varia natura e relativi piani d'uso; rafforzano tratti deboli di carreggiate stradali e d'argini di contenimento). Le anfore erano anche impiegate come intervento di costipamento del terreno oppure per tenere sotto controllo il livello della falda. Sicuramente questi interventi di bonifica, realizzati con anfore, sono successivi alla generale sistemazione del territorio attuata attraverso la regimazione dei corsi d'acqua e il tracciamento di un'efficiente rete di drenaggio delle acque superficiali (Dall'Aglio 1995).

Ritornando al nostro discorso sulla "villa", si può ipotizzare da scavi regolari e noti, condotti nel territorio marchigiano, che non ve n'era un unico modello, ma diversi, che potevano cambiare a seconda della planimetria e della suddivisione interna degli ambienti della villa. Importanti indicazioni ci possono essere fornite da un caso di importanza singolare, di cui ci informa Mario Luni riguardo alla scoperta, in località Colomba di Acqualagna, di un sito identificato secondo gli scavi recenti con un antica villa romana.

Grazie alle ricerche di superficie si é scoperto, per quanto riguarda le tecniche edilizie, che il materiale più usato per la costruzione fosse il laterizio cotto, che talvolta poteva essere prodotto anche all'interno dello stesso podere.

Per gli elevati degli edifici di minore importanza, veniva sicuramente impiegata l'argilla cruda e il legno, mentre il laterizio cotto era usato solo per parti strutturalmente più importanti come tetti, fondazioni e zoccolature murarie.

Ciò pare essere confermato dalla frequente assenza di frammenti di mattoni in siti, dove si riscontra un'abbondanza di tegole e coppi. L'uso dell'argilla cruda e del legno poteva rispondere anche a criteri di costruzione basati sull'economicità (riscontrati anche nella pianura modenese e bolognese); questo forse può essere uno dei motivi per cui, nella maggioranza dei siti del nostro territorio, si riscontra una carente consistenza archeologica (Campagnoli 1999); anche se bisogna tenere conto che, spesso, le azioni di bonifica, da parte dei contadini, hanno portato via o cancellato qualsiasi traccia degli antichi insediamenti.

Per ciò che riguarda i piani pavimentali, anche qui, accanto a pavimenti in mosaico, o in cocciopesto, riservati ad ambienti residenziali, si affiancavano quelli più poveri e modesti come mattonelle fittili o battuti in argilla (Campagnoli 1999).

Frequentemente si sono rinvenute mattonelle per opus spicat, pavimentazione, diffusa nelle Marche, anche per la costruzione di vasche e piani di spremitura (Mercando 1989). L'ipotesi dell'esistenza di piccoli sepolcreti prediali, nei pressi dell'insediamento rurale, pare essere confermata dai cospicui e fortuiti ritrovamenti di tombe, da parte di contadini ed amatori. Quasi sempre si trattava di sepolture ad inumazione, del tipo alla cappuccina, dotate di un povero corredo; ne sono esempio una tomba rinvenuta in località il Carmine, presso Fano, nella proprietà del sig. Uguccioni Franco e tre tombe romane rinvenute a Roncosambaccio di Fano (De Sanctis 1987), e una tomba, rinvenuta sulla riva destra del fiume Arzilla, vicino al luogo detto "il ponte della Trave" in località Fano (C.I.L. XI, 6233; Vullo 1992).

Riguardo alla datazione degli insediamenti rurali nell'agro pesarese vi sono dei problemi. Spesso i reperti, talvolta frammenti ceramici, non sono sufficienti per avanzare un'ipotesi di datazione assoluta del sito, in quanto i ritrovamenti, avvenuti con le ricerche di superficie, sono per lo più casuali e forniscono per lo più valide indicazioni di tipo economico su quella casa rurale. Ad esempio, molte volte, a materiali rinvenuti in un determinato sito, si vuole attribuire un valore assoluto, senza tenere conto che le arature potrebbero non avere intaccato gli strati più antichi perché profondi, mentre lavori di livellamento del suolo avrebbero potuto distruggere i livelli più superficiali del terreno, che si riferiscono alla fase più tarda.

Di conseguenza una datazione, proposta inizialmente, potrebbe in seguito essere facilmente modificata. Occorre quindi muoversi con molta cautela, soprattutto se si vuole conoscere l'evoluzione del popolamento in un certo territorio.

Per questo i dati, che ci provengono da un'analisi di superficie del terreno, devono essere messi a confronto con quelli topografici e storico-archeologici, come le fonti letterarie ed epigrafiche, al fine di ottenere un quadro completo sull'evoluzione del popolamento in quel territorio.

Riguardo la grandezza e la gestione dei fondi apprendiamo da Livio che, nel 184 a. C., a ciascun colono venivano assegnati solo sei iugeri (Liv., XXIX, 40, 10), secondo l'usanza di dare piccoli lotti a chi partecipava alla fondazione di colonie di diritto romano.

Il ricavato, che si otteneva coltivando tali appezzamenti di terra, era integrato dalla possibilità d'usufruire dellager publicus, come zona dove far pascolare il bestiame.

Si può ipotizzare che il popolamento di Pisaur fosse in origine caratterizzato dal diffondersi di una piccola proprietà; anche se tale situazione può essersi modificata nel corso del tempo, nel senso che alcuni coloni avranno "ingrandito" il loro fondo a discapito di altri cittadini (Campagnoli 1999), che avranno voluto o dovuto cederlo.

Da indagini topografiche sembra che, per l'età tardorepubblicana e i primi due secoli dell'impero, l'assetto agrario dellager Pisaurensis fosse basato su piccole e medie unità poderali, caratteristica anche riscontrata all'interno del territorio, sui rilievi collinari e sui primi contrafforti dell'Appennino.

Riguardo all'età imperiale abbiamo poche conoscenze per ciò che concerne i modelli di conduzione agraria. La crisi economica, già presente negli ultimi decenni del II sec. d. C., avrà portato all'abbandono di numerosi siti e di conseguenza alla creazione di nuovi e ad una concentrazione della proprietà in mano a pochi proprietari. Questo periodo di crisi e di povertà economica si riscontra nella documentazione epigrafica pesarese, dove si assiste ad una tendenza al rifiuto di cariche pubbliche, un tempo fortemente richieste, come segno di una minore disponibilità economica.

Tuttavia l'accorpamento di più insediamenti in uno solo non sembra aver cambiato le attività agricole di coltivazione e produzione; nelle Marche, per esempio, perdura nelle zone più fertili (media-bassa collina, terreni in prossimità dei corsi d'acqua) un'agricoltura di tipo intensivo, il cui sviluppo forse fu favorito dalla nascita del colonato, che ha portato ad un forte legame del colono con la terra (Capogrossi Colognesi 1986, Vera 1986, Terre 1997).

La continuità, in età tardoantica ed altomedievale, della coltivazione del fondo é ipotizzata grazie anche ad una documentazione di età post-classica (Campagnoli 1999).

Tale documentazione attesta che, non solo le zone sotto il dominio bizantino, come la fascia costiera pesarese, che, con la città faceva parte della Pentapoli, ma, anche quelle sotto il dominio dei Longobardi, avevano una suddivisione della terra in piccole e modeste unità (Campagnoli 1999), tanto da impedire l'affermarsi del modello curtense.

Grandi trasformazioni s'iniziano a far sentire, nell'area marchigiana, a partire dal IV secolo d. C., con il sorgere di villae residenziali come quella scoperta a Colombarone (Pesaro), sito da anni oggetto di scavo da parte degli archeologi dell'Università di Bologna (Campagnoli 1999).

Importanti scoperte, relative a siti archeologici, si sono verificate anche nel periodo precedente l'età romana.

Ricordiamo alla foce del torrente Arzilla, in località "Fornace", il rinvenimento di un sito preistorico, dove sono stati rinvenuti resti di materiale archeologico, risalente all'età del Bronzo (De Sanctis 1988); poi il sito a San Biagio, a nord-est di Fano, a circa 2,5 km dalla città, risalente al periodo eneolitico, che ha portato alla luce suoli d'impianto delle capanne, diversi strumenti di pietra e frammenti di ceramica acroma (Dall'Osso 1915, De Sanctis 1998). Noto é anche il sito eneolitico di Ripabianca sul Monte Rado, scoperto nel Cesano (Martinelli 1995).

Di fondamentale importanza, da tanti anni oggetto di studio, è la necropoli di Novilara. Situata in località S. Croce, ha restituito due sepolcreti, Molaroni e Servici, le cui tombe hanno fornito una ricca documentazione, grazie soprattutto ai loro corredi funerari (Trebbi 1988, Martinelli 1995).

Ipotizzabile é anche la presenza di un insediamento bronzeo, in località S. Croce di Novilara, in un'area, non distante da un'attuale casa colonica e vicino al "Villino Servici". Grazie a ricerche di superficie, sono stati riportati alla luce materiali appartenenti all'età del Bronzo.

Per lo studio del tessuto insediativo risulta essere importante anche il contributo fornitoci dalla toponomastica. I toponimi, riscontrati nellager Pisaurensis, sono formati dal gentilizio del proprietario del fundus, con estensione del suffisso -anus/-anum (Campagnoli 1999). Talvolta la presenza di prediali uguali, all'interno di un'area, potrebbe far pensare a più poderi, però con un unico e medesimo proprietario.

Nel Pesarese tali toponimi si concentrano per lo più nelle aree collinari; questo non sta a significare una minor presenza o mancanza di popolamento, in età romana, nelle valli, ma ciò é solamente riconducibile a mutamenti ambientali, avvenuti in età tardoantica ed altomedievale, che hanno portato ad una parziale o totale cancellatura dell'assetto agrario precedente.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 18.12.2004
    Ultima modifica: 18.12.2004

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