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Da Bocca Serriola al Fosso di Somole (sentieri CAI n.SI, 420 e 420b) (Itinerari – ESCURS)


DA BOCCA SERRIOLA AL FOSSO DI SOMOLE (sentieri CAI n.SI, 420 e 420b) (comune di Apecchio)

Tempo di percorrenza: h 5,5  (percorso a palloncino)
Lunghezza: 15 km
Difficoltà: E.  Dislivello: 600 m
Ultima verifica dell'itinerario: 2024

Questa Foresta Demaniale Regionale si trova al ridosso del crinale appenninico e del confine tra Marche e Umbria. Contiene aree boschive e alcuni vecchi insediamenti umani abbandonati ormai da quasi cento anni. Lo sfruttamento di quest’area in tempi passati ha portato alla creazione di zone calanchive.

Il punto di partenza dell’itinerario è il valico di Bocca Serriola, dove la strada, superato il paese di Apecchio e alcune sue piccole frazioni, giunge al passo da cui poi discende per entrare in Valtiberina e precisamente a Città di Castello. Al valico c’è un bar e alcuni parcheggi dove poter lasciare l’auto.

Per i primi 20 minuti camminiamo sullo stradello che dal valico sale a destra e si allontana dalle case. Ci sono un paio di deviazioni a destra ma le ignoriamo finché alla salita non segue una piccola discesa fuori dal bosco che ci porta al bivio per Cà del Fumo. Ci sono solo alberelli attorno a noi ma fatta la deviazione rientriamo nel bosco all’ombra di grossi cerri. Superata anche una zona di rovi e giovani ornielli usciamo ad una siepe di distanza dal grande prato che ancora sopravvive vicino al fabbricato ormai in rovina. Pochi metri nel pianoro e il sentiero sale a sinistra, allo scoperto, prima di rituffarsi nella foresta. Occhio ai segnavia perché la traccia ben presto diviene meno evidente per via di alcuni smottamenti, poi riprende ad avere le dimensioni di una carrareccia, ancora in salita, fino a giungere al crinale. Qui c’è il bivio a sinistra per Cà del Vano ma noi prendiamo a camminare esattamente sul crinale e sul suo lieve declivio. Il bosco è di cerro e di tanto in tanto ci sono punti senza vegetazione da cui si possono già vedere, a sinistra, le valli dove arriveremo: quella di Carlano, con la casa bianca di Chì Zanchi, e quella successiva di Somole. Poi d’un tratto il bosco non c’è più e il crinale è una lama di calanco da cui possiamo guardare anche a est e vedere il Monte Nerone. Le gobbe del terreno ci fanno fare delle rampe anche ripide continuando a perdere quota. Una curva secca a sinistra e il crinale non c’è più. Un tratto in un giovane bosco ci proietta in un’area con frequenti radure in via di trasformazione, dove i ginepri stanno preparando il terreno per nuovi alberi. Sembra un labirinto ma la traccia si segue bene e poco prima del fosso si rientra sotto le chiome per raggiungere il torrente Carlano. Se l’acqua è alta il guado non è semplice, ma il fondo piatto dell’alveo e alcune cascatelle aiutano. Sull’altro lato si approda in un prato che va semplicemente risalito fino alla strada, dove andiamo a sinistra per trovare, pochi metri dopo, sulla destra, la deviazione che ci fa subito riprendere il sentiero. Da qui coincide con un viottolo piuttosto antico, che poco dopo compie una curva a sinistra e tra cipressi piantati si arriva, dopo un’altra curva stavolta a destra, davanti ai ruderi spettrali della chiesa di Carlano. Il viottolo poi si stringe e riprende a salire portandoci su un altro crinale dove pieghiamo a destra per camminare altri 5 minuti fino ad un nuovo incrocio. Dobbiamo lasciare il crinale e scendere a sinistra, arrivare su uno stradello che termina davanti ad un cancello, oltrepassarlo (è aperto e va richiuso), girare a sinistra, oltrepassare un altro cancello e scendere senza indugio fino al fosso. In quest’ultimo tratto, da che siamo scesi dal crinale, eravamo fuori dalla Foresta Demaniale: ora dobbiamo rientrarci. I cartelli ci mostrano il confine, ma è sufficiente guardare gli alberi più grandi e il bosco molto molto più bello per capirlo. Il sentiero inizialmente sovrasta il torrente e scende alle sue rive solo quando troviamo sulla destra il passaggio stretto e a volte scivoloso in cui occorre fare attenzione. I segnavia ci mostrano la via migliore, che non sempre è vicina all’acqua, e dopo una breve ma ripida salita superiamo una zona di abeti e giungiamo ad un guado e poi ad altri che si susseguono. Ancora salita e poi una deviazione a sinistra ed un’altra, più netta, a destra, per immettersi nella carrareccia che porta a Cà Santucci: questi ruderi meritano di essere osservati per alcune caratteristiche architettoniche davvero uniche. Il sentiero ci passa affianco e poi viaggia in piano fino ad una ultima lieve salita che sbuca sul crinale. Attenzione, a pochi metri c’è la nuova deviazione a destra, da cui inizia una discesa nel bosco, che all’inizio però è tra arbusti e alberi radi. Nel bosco non bisogna perdere la curva a destra, dopo di che la pendenza si attenua e si cammina spesso a mezza costa fino ad arrivare a Chì Zanchi. Poco dopo questa casa ancora in buone condizioni ecco la deviazione per l’ultima parte del percorso. Deviazione che si trova a destra e dopo alcune ginestre ci ritroviamo di nuovo tra i cerri. Ci sono i resti di Cà Pavoni e più in alto, con un po’ di fatica, incontriamo anche quelli di Cà I Pazzi, ormai risucchiata dalla vegetazione. Superato anche questo fabbricato ci sono dei pini e poi un bel passaggio su di un grande calanco. Ancora rimboschimento a conifere e discesa fino alla strada di crinale che coincide col Sentiero Italia. Dobbiamo andare a sinistra e rimanere su questa strada di breccia che ci riporterà in circa un’ora al punto di partenza.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 19.10.2024
    Ultima modifica: 19.10.2024

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